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REVIEWSLE RECENSIONI
Expert In A Dying Field
The Beths
2022  (Carpark Records/Ivy League Records )
INDIE ROCK POP
7,5/10
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12/10/2022
The Beths
Expert In A Dying Field
I neozelandesi The Beths arrivano al terzo disco e, con Expert in a Dying Field, dimostrano ancora una volta di essere in grado di fotografare la situazione umana nel contesto odierno con grande acume e notevole efficacia espressiva.

Dopo Future Me Hates Me (2018) e Jump Rope Gazers (2020), i neozelandesi The Beths arrivano al terzo disco e, con un titolo come Expert in a Dying Field, dimostrano ancora una volta di essere in grado di fotografare la situazione umana nel contesto odierno con grande acume e notevole efficacia espressiva. Elizabeth Stoke ha spiegato di avere agito, per quanto riguarda la scrittura dei testi, come una sorta di documentarista, andando a raccontare quel che succede quando una relazione finisce, soprattutto negli strascichi e nelle conseguenze che essa lascia dietro di sé.

C’è molto di personale, in queste nuove canzoni, ma c’è anche qualcosa di non perfettamente definito che sentiamo abbia a che fare un po’ con l’epoca che stiamo vivendo, dove stanno saltando un po’ tutti i riferimenti e trovarsi “esperti in un settore in declino” non è poi un qualcosa di così estraneo alla condizione comune.

La Nuova Zelanda, per quanto riguarda il Covid, se l’è passata un po’ meglio di altri ma ha raggiunto certi obiettivi al prezzo di chiusure generalizzate forse peggiori delle nostre. Il risultato, per i The Beths, è stata la cancellazione di un tour ed il conseguente ripiegamento sulla scrittura di un nuovo disco perché, come hanno raccontato, quando non si hanno prospettive sul ritorno alla normalità, aggrapparsi ad un progetto stabile, fatto di regolari scadenze, può essere l’unico antidoto alla follia.

Alla fine comunque il tour l’hanno fatto, sono stati in America e in Europa (sono passati anche da Milano ma io ero a sentire i King Hannah, che contrariamente a loro non avevo mai visto), ragion per cui questo terzo album, uscendo a 20 mesi dal precedente, rafforza l’impressione di un collettivo che sta davvero andando avanti a marce forzate.

 

Registrato nello studio del chitarrista Jonathan Pearce, nei pressi di Auckland, e mixato a Los Angeles nel pieno del tour, Expert in a Dying Field suona esattamente come ci si aspetterebbe: tanto Jangle Pop, tanto Power Pop, un tocco di Flying Nun giusto a ricordare che siamo pur sempre in quel paese lì, un’eco lontana di The Go-Betweens, che hanno puntualizzato di amare molto “nonostante siano australiani” (ironia d’obbligo, ovviamente).

L’idea era quella di scrivere un disco che potesse funzionare bene dal vivo, i cui brani fossero semplici da suonare; effettivamente, se proprio vogliamo trovare una differenza rispetto ai primi due, è che qui c’è una maggiore linearità nelle strutture, i pezzi sono più “dritti” e sono quasi del tutto scomparse quelle parti di chitarra elaborate che in precedenza avevano caratterizzato la loro impronta sonora. Non è che parlassimo di Progressive Rock, intendiamoci, però c’era un certo ricamare sui dettagli che adesso è stato accantonato, in favore di una maggiore componente in your face.

Elizabeth Stoke, dal canto suo, rimane una songwriter di primo livello e confeziona ancora una volta un compendio perfetto di Indie Pop, idealmente in bilico tra il senso di ansia ed insicurezza trasmessa da testi che sembrano dire tutta la fatica dell’imboccare la strada giusta, e brani musicalmente spassionati e divertenti, dall’irresistibile carica melodica.

 

Un lavoro tirato dall’inizio alla fine (fatta eccezione la conclusiva ballata “2am”), piuttosto eterogeneo nelle soluzioni sperimentate: se la title track dà il via alle danze proponendo il classico brano a la The Beths, seppure con un bridge contemplativo ed un refrain un po’ più trattenuto del solito, “Silence is Golden” presenta delle chitarre insolitamente aggressive, con un andamento ritmico abbastanza vicino al Metal. Poi c’è il romanticismo in chiave Sixties di “I Want to Listen”, il Power Pop frizzante di “Head in the Clouds”, col suo ritornello da urlare a squarciagola, le melodie da Sarah Records di “Change in the Weather”, il mid tempo arioso di “When You Know You Know”, le schitarrate di “A Passing Rain”, la quasi Punk “I Told You That I Was Afraid”, che pure conserva tutta la sua carica melodica e alla fine risulta essere una delle migliori.

C’è qualche giro a vuoto (“Best Left” non arriva più di tanto, la già citata “2am” rimane un po’ lì sospesa) ma nel complesso è un’altra prova convincente da parte di una band che difficilmente riuscirà ad andare oltre la dimensione dei piccoli club (suonano anche un genere datato, in questo senso il titolo del disco è anche una metafora della loro situazione) ma che rappresenta ormai una realtà consolidata nell’ambito della musica indipendente.