Ruby Force: Evolutionary War suona un po’ come il titolo di un nuovo lungometraggio targato Marvel. Invece, dietro il moniker Ruby Force, non si nasconde un super eroe, bensì Erin McLaughlin, songwriter e cantante californiana che esordisce sulla lunga distanza con un disco di dieci canzoni, in cui è l’alt country a farla da padrone (anche se rivisitato con l’aggiunta di qualche chitarra elettrica e un po’ di synth). Sarebbe tuttavia riduttivo parlare di alt country tot court: nella musica della MacLaughlin confluiscono, infatti, disparati elementi, e oltre al roots vero e proprio si possono ascoltare echi di Sheryl Crow, Lucinda Williams, Nikki Lane, solo per citare alcune artiste con cui si potrebbe azzardare paragoni. Country, dunque, ma anche rock, pop e folk. Erin, che ha imparato a cantare fin da piccola nel coro della chiesa vicino a casa, ci mette poi la sua bella e duttile voce, che quasi sempre sta al centro della scena per raccontare storie di vita e di amori vissuti. Non è un disco immediato, Evolutionary War, e ci vuole qualche ascolto per entrare in sintonia con un songwriting apparentemente lineare, che solo lentamente, invece, svela una buona vena e qualche brillante intuizione che rendono la scaletta varia e ricca di ottime canzoni. L’inizio è affidato a Church And State, un classico e sonnacchioso country con cui Erin racconta la propria città natale e la propria infanzia (nessun riferimento politico, nonostante il titolo induca a crederlo). Memory è una splendida ballata di americana in purezza con cui la songwriter ricorda un amore importante della sua vita. Il registro, però, cambia con Ode To Vic Chesnutt, mid tempo dai cromatismi indie e dal ritornello irresistibile, con cui la singer californiana rende omaggio al grande musicista morto a Athens nel 2009. Cowboy, il primo singolo tratto dall’album, sviluppa sonorità più classiche vicine all’honky tonk, che sono le stesse che animano sotto traccia Damn Your Love, un’intensa ballata elettroacustica. Le carte migliori Erin se le gioca quando esce un po’ dagli schemi, sfoderando il riff rumorosissimo di Dancing As I go (il pensiero va direttamente a Lucinda Williams) o giocando sul parossismo della tensione nella conclusiva e drammatica Why Do You Leave, saliscendi emotivo di elettricità e tristezza. Un disco solido, dunque, in bilico fra classicità e alternative, con cui la ragazza californiana dimostra di poter far bene entrambe le cose, senza perdere il bandolo della matassa. Non è certo un super eroe, Erin, ma con questi poteri non è escluso che riesca ad arrivare molto, molto in alto.