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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
19/03/2025
Beatrice Rana plays Frederic Chopin
EVENING FLOW
Paolo Conte nella sua "Aguaplano" diceva che dove c'è un pianoforte, intorno c'è sempre gente che fa baccano, ma anche il silenzio può essere rumoroso. Questo articolo inizia con l'immagine di un pianoforte in riva al mare per provare a capire come attualizzare la fruizione musicale classica. Non è sempre vero che il passato sia una terra straniera.

Nel silenzio del buio sale uno sciacquo
dove passano voci e risa remote;
s’accompagna al brusio un colore vano
che è di sole, di rive e di sguardi chiari.
Un’estate di voci. Ogni viso contiene
come un frutto maturo un sapore andato”.
(Paesaggio VIII, Cesare Pavese)

 

Le impressioni che seguono nascono da alcuni versi tratti dalla raccolta poetica Lavorare stanca di cui Paesaggio VIII fa parte e che si innestano nel video di cui consiglio la visione prima di leggere.

 

 

Non appena ho visto la clip in cui Beatrice Rana esegue lo Studio n. 7 tratto dall’op. 25, si è affacciata alla mente la poesia in esergo; versi che ci portano in un mondo in cui le immagini evocano ricordi di un passato che la mente vorrebbe fermare, cristallizzando quegli istanti vissuti. Studiatissimo nelle pose, nell’ambientazione e negli sguardi dell’interprete, il video è il chiaro segno del cambiamento avvenuto in termini di consapevolezza da parte degli artisti del proprio talento e dei mezzi con cui promuoverlo.

 

Penso, per contrasto, alla voce remota di un pianista che per me è stato un punto di riferimento e di cui quest’anno ricordiamo i trent’anni dalla scomparsa: ce lo vedete Arturo Benedetti Michelangeli in riva al mare a piedi nudi, lui, così distaccato, proveniente da un‘altra dimensione rispetto alla nostra presenza nel mondo che posa per un video che sarà pubblicato su YouTube?

 

Le Danzatrici di Delfi
Ogni viso contiene come un frutto maturo un sapore andato

Eppure un legame permane perché proprio grazie ai social di cui oggi godiamo è possibile recuperare immagini del passato di per sé difficilmente fruibili, creando un ponte, un passaggio di consegne ideale tra un padre e una figlia entrambi pianisti.

La gestualità di quest’ultima (Beatrice Rana) ferma ma allo stesso tempo in lento movimento, richiama quella delle Danzatrici di Delfi, custodi di un oracolo antico (le stesse che danno il titolo al preludio di apertura del Primo Libro dei Préludés di Claude Debussy, magistralmente inciso nel 1972 da Michelangeli).

Le statue, immobili sulla colonna detta di Acantus, imprimono con il braccio alzato un movimento, quasi di danza, che si reincarna nella pianista mentre muove i suoi passi in riva al mare. La filiazione con i predecessori dal sapore andato non è, tuttavia, un rinchiudersi nell’accademismo, come testimonia la sua ideazione del festival Classiche Forme che si svolge d’estate nella terra natia.

Ecco il manifesto programmatico che appare sul sito www.classicheforme.com: “Eliminare le barriere tra palcoscenico e pubblico, accostare le tradizioni popolari salentine alla musica classica, presentare artisti dall’affermata carriera a fianco a giovani emergenti, commissionare opere nuove, discutere su temi di attualità musicale, investire sul rinnovamento del pubblico: sono queste le prerogative fondanti di Classiche Forme”.

Ed è in questo attaccamento alle radici che rivivono le danzatrici greche, custodi di un passato che deve essere riattualizzato, come sostiene una grande figura della Musica (purtroppo non più tra noi), Piero Rattalino. Nelle sei puntate che compongono la serie prodotta dal Festival Pianistico Internazionale di Bergamo e Brescia (dal curioso titolo: Con le note sbagliate), Il musicologo afferma l’importanza della Rete come strumento determinante per il futuro della fruizione musicale, nel solco di quanto affermava Gustav Mahler per cui “custodire la tradizione non è adorare le ceneri”.

 

 

 

Le voci morte assomigliano al frangersi di quel mare.

Nel video con l’Etude di Frederic Chopin, vediamo ogni nuova onda andare a rifrangersi sulla battigia per poi tornare indietro riecheggiando voci vive. La pianista che con i piedi sfiora l’acqua mi fa tornare al ragazzino protagonista dei 400 colpi di François Truffaut, che una volta arrivato al mare indietreggiava con timore, metafora della paura nell’affrontare il passaggio all’età adulta. Nel suo sguardo finale si percepisce tutta l’incertezza rispetto al susseguirsi della vita, nel suo continuo accendersi e spegnersi ad ogni tramonto, nel suo metterci di fronte a quella domanda di senso che sempre Cesare Pavese si (e ci) poneva ne Il mestiere di vivere: “Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché aspettiamo?”.

 

 

Penso in parallelo al diverso calpestare l’acqua da parte di Beatrice Rana, lento e grave come scritto da Claude Debussy nella partitura del suo Danseuses de Delphes. Nulla ci è dovuto, la vita scorre incessantemente come le onde che lambiscono i suoi piedi, ricorrenti come la nota di uno dei preludi più famosi di Frederic Chopin, La goccia d’acqua (Preludio n. 15, op. 28), con quella nota (sol) che per tutto il brano si ripete con una cadenza martellante per poi andare a scemare, sospesa come se tutto stesse per finire.

 

Ogni occhiata che torna conserva un gusto di erba
e cose impregnate di sole a sera sulla spiaggia.
Conserva un fiato di mare.

 

Negli sguardi di Beatrice Rana, nel suo prendere in mano la sabbia vedo l’immagine evocata dai versi di Cesare Pavese, quell’essere delle cose impregnate di sole che rimanda all’attaccamento alla terra. Questo radicamento trova un rimando nella tecnica del rubato che la stessa pianista descrive nel libretto interno al cd dedicato agli Etudes op.25, “come un’oscillazione tra la libertà di un accrescimento emotivo (con anima, come scritto nella partitura da Frederic Chopin) nell’interpretazione e il rispetto della metrica del brano, nelle sue battute”.

Libertà e rispetto della metrica: oscilliamo tra il mantenere l’eredità del passato e la proiezione nel futuro con lo stresso movimento scolpito nel braccio alzato delle danzatrici di Delfi ferme su una colonna, ma slanciate in avanti nel tempo.

 

Come un mare notturno è quest’ombra vaga di ansie
e brividi antichi, che il cielo sfiora e ogni sera ritorna.

 

Ed è proprio in questo ritornare, che riecheggia la frase del filosofo Martin Heidegger per cui “ciascuno, ogni volta, è in dialogo con i suoi antenati più ancora e più segretamente con i suoi discendenti”: passato e futuro si tendono la mano (nell’edizione del 1943 di Lavorare Stanca - che è stata il germe da cui è nato questo articolo, nda - Cesare Pavese suddivide i versi per sezioni di cui una ha come titolo Antenati). Al minuto 3’21 sembra che il brano stia terminando con i suoni che si spengono a poco a poco: si tratta solo di un accenno, una pausa per guardare un’ultima volta il sole che, prima di calare (minuto 5’16), sembra a sua volta un occhio osservante le umane fortune.

 

I ricordi cominciano nella sera
Sotto il fiato del vento a levare il volto.

 

E intanto fugge questo reo tempo.

(Ugo Foscolo, Alla sera)

 

Evening Flow

Les sons et le parfums tournent dans l’air du soir

Nei primi istanti del video, mentre si sente solo il rumore del mare, dal lato sinistro dell’inquadratura appare il viso della pianista ("ogni volto contiene come un frutto maturo") che si appresta a suonare il pianoforte piazzato sulla sabbia.

I colori e l’atmosfera del video sono gli stessi di un dipinto di Jack Vettriano dove, sempre in riva al mare, è ritratta una donna seduta a un tavolo attorniata da musicisti mentre è servita da un cameriere.

Jack Vettriano, Elegy for a dead admiral

 

Il titolo del dipinto lascia pensare che la donna stia elaborando un lutto. Non mi sono mai informato sulla narrazione a cui è legata quest’opera né voglio farlo ora. Seguo in questo senso i dettami di una frase dello scrittore James Graham Ballard presente nel suo articolo dal titolo: Io credo:Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi di cacciare la notte, di trascendere la morte”.

Questa frase mi accompagna nella visione che ho voluto evocare: una sospensione dalla quotidianità per fermarsi a considerare il fluire della vita, anche con il suo dolore, e a contemplare i suoni e i profumi che danzano nell’aria della sera (titolo di un Preludio di Claude Debussy, nda) mentre sale uno sciacquo dove passano voci e risa remote.

 

Lo stesso spostamento in un’altra dimensione, questo potere delegato all’immaginazione lo trovo anche in un altro video pubblicato da Beatrice Rana, dove esegue il terzo movimento della Sonata n. 2, op.35 di Frederic Chopin, meglio noto come Marcia Funebre, anche se in questo caso di  funereo grazie alla sua esecuzione non c’è nulla. 

Il video inizia con un carrello (linguaggio preso da quello cinematografico) che si muove verso la pianista mentre suona al centro di una chiesa con gli archi delle navate che danno un’impressione di chiusura. L’atmosfera è dolente, il raccoglimento è nei suoni, ma già al minuto 1 26” le note iniziano un altro discorso, teso verso l’alto come a voler uscire dalla chiesa e infatti, al minuto 3.00 quando la musica sembrava proiettarci verso il silenzio del commiato, mediante un impercettibile stacco ci troviamo in un bosco con le piante che richiamano gli stessi archi delle navate. La pianista è vestita in un altro modo e la camera scorre verso di lei come all’inizio del video. L’impressione è quella di stare dentro ad una delle cattedrali vegetali di Giuliano Mauri grazie all’immaginazione che plasma il mondo. La stessa visionarietà delineata nel racconto di Raymond Carver, non a caso intitolato Cattedrale, dove un cieco insegna a un vedente a chiudere gli occhi per disegnare una cattedrale lasciandosi guidare dalla sua mano.

 

Una veduta da due “chiese” per un’unica immaginazione

 

Ma io ho continuato a tenere gli occhi chiusi. Volevo tenerli chiusi ancora un po’. Mi pareva una cosa che dovevo fare. - Allora? Ha chiesto (il cieco, ndr), la stai guardando? - Tenevo ancora gli occhi chiusi. Ero a casa mia, lo sapevo”.

Lo stesso lasciarsi trasportare, fluire, per cui alla fine del video con la marcia funebre le immagini della chiesa e della foresta si compenetrano in un’unica dissolvenza.

Credo nel potere che ha l’immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi di cacciare la notte, di trascendere la morte” (James Graham Ballard).

 

To Flow.

Questo articolo è stato chiuso pochi giorni dopo la notizia della morte di Jack Vettriano.

Dedico a lui questo fluire. Come un mare notturno è quest’ombra vaga di ansie e brividi antichi, che il cielo sfiora e ogni sera ritorna.

 

Evening Flow.