Verso Occidente l’impero dirige il suo corso[1] (Americana pt. III)
A mia moglie, mentore ed editor dei miei scritti, che ha letto questo libro prima di me.
“From father to son the blood runs thin
See faces frozen still against the wind”
Red Hill Mining Town - U2
Fiamme.
Non sono certo la prima cosa che viene in mente quando si pensa all’Alaska. Eppure è così. La cifra stilistica di questo romanzo sono le fiamme, il fuoco che divampa nei boschi di una terra, le cui coordinate geografiche portano talmente in alto, che basta una piccola rotazione del mappamondo e ci si trova in Russia. Del resto, una volta questa terra non era americana (niente all’origine era americano, volendo) e già questo introduce al discorso che sto per iniziare, vale a dire l’idea di un viaggio dentro le coordinate di un mondo, di una realtà che del “sogno”, dato che stiamo parlando di America, oggi, mantiene poco.
Ghiaccio.
Più facilmente nella vostra testa figurerà il bianco del ghiaccio, lo stesso che ricopre le facce ferme, che resistono al vento narrato nella canzone degli U2 in esergo[2], in cui si parla di una città mineraria, della fatica del vivere e dell’aggrapparsi alla forza di un legame. Nel mondo delineato in questa song appare, però, anche il rosso, il fuoco del sangue che scorre da padre a figlio, ed è in questo avvicendamento che si torna a uno dei romanzi chiave di questo terzo millennio; un testo che pone l’essere on the road su una linea distopica rispetto a quella tracciata da Jack Kerouac. Mi riferisco al futuro post-atomico di La Strada di Cormack McCarthy (uno che l’America la conosce a fondo), dove un padre e un figlio vagano in un mondo brutale e ormai desertificato, cercando di sopravvivere.
“Io mi aggrappo a te / Sei tu l'unico appiglio rimasto a cui aggrapparmi
E sto tenendo duro / Tu sei l'unico appiglio rimasto a cui aggrapparmi”
Red Hill Mining Town - U2
Fuoco. Ghiaccio. Genitori e figli.
“Noi portiamo il fuoco, papà?
Sì, noi portiamo il fuoco”
La strada - Cormack McCarthy
Ecco i temi principali dell’ultimo romanzo di Eggers, figlio adottivo d’America dopo aver perso entrambi i genitori ed essersi fatto carico del fratellino, esperienza narrata nel suo primo, intensissimo romanzo[3], apparso per la prima volta nel 2000 e pubblicato in Italia nel 2002. Le date sono importanti, soprattutto se pensiamo all’intervallo che sta nel mezzo e che ci riconsegna a un anno fatale, quel 2001 che ha dato inizio a un millennio nel segno dell’odissea. Dave Eggers, dicevo, fondatore di Valencia 826: una scuola, un luogo di formazione creativa per ragazzi che vivono in una condizione problematica. Questo è il segno di quella parte di America fatta di persone capaci di sentirsi un corpo unico (quasi in comunione) con lo spirito di aiuto, soccorso ed empatia (nelle emergenze, ma non solo).
Tutto questo preambolo per entrare, finalmente, nel plot del romanzo che questa volta non è incentrato su un padre e un figlio, ma su una madre e due figli on the road[4]. Sì, proprio la strada, mito iconico di tanta America, di tanta narrativa e di moltissimi film che hanno raccontato una condizione, un modo di essere, simile a quello di Josie che a bordo di un camper malconcio, noleggiato da un tizio che non l’ha raccontata giusta in merito alle condizioni del veicolo, è fuggita dall’Ohio verso l’Alaska. Eggers intraprese egli stesso un viaggio su un minivan attraverso l’America in cerca di un punto di convergenza per la sua esistenza dopo la morte dei genitori: qui, invece, troviamo una donna che ha operato un taglio netto, chirurgico, con la sua vita passata. Lontano da tutto e da tutti, soprattutto dal marito da cui si è separata; via con i figli, senza avvisarlo, in tutta fretta per evitare che qualcosa si frapponga nel mezzo.
Ed eccola lì, ferma in un’area di parcheggio, mentre il bambino e la bambina dormono, intenta a bere vino e a pensare ai suoi figli (soprattutto alla bambina col suo animo sveglio e irruento) così diversi nel carattere. E se ti addormenti? E se qualcuno entra nel camper uccidendo tutti quanti? Cosa stai cercando Josie? Un riparo?
“Come in, she said, I’ll give ya shelter from the storm”.
Un riparo, una protezione come cantava Bob Dylan[5] nell’album che sgorgava da un dolore personale, da una separazione, appunto. Lo stesso “riparo dalla tempesta” che hanno cercato tutte le persone in fuga in quel tragico settembre del 2001.
“Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c'erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa. Avevano fazzoletti premuti sulle bocche. Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt'intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili”.
L’uomo che cade - Don De Lillo
Figli.
“America, America,
God shed his grace on thee
America, America,
keep the children free”
America - Prince
Dave Eggers fa parte di una generazione di scrittori i cui primi racconti sono riuniti nella raccolta dal titolo The burned children of America, titolo che si incastona perfettamente in questa narrazione che parla di fuoco e di figli. Ricordo ancora la copertina che vedevo campeggiare nelle librerie del tempo: c’erano stampati i nomi di giovani promettenti scrittori e tra questi uno in particolare che, nel tempo, avrebbe assunto un’importanza enorme per i destini della Scrittura: David Foster Wallace. Dave compariva nella raccolta con un breve racconto dal titolo agghiacciante: Incarnazione di bimbi bruciati, narrazione minima nel numero di parole, ma potentissima nel figurare un incidente domestico. In Italia questa raccolta stava per essere pubblicata da Minimum Fax pochi giorni prima dell’attentato di New York, ma ovvi motivi ne ritardarono la pubblicazione. Quel titolo…
Bruciare.
“See the flames, higher and higher”
Bullet the Blue Sky - U2
Si torna al fuoco che insegue Josie, spintasi nel cuore della wilderness, nelle terre selvagge, dopo aver “rapito” i propri figli, senza dire nulla a nessuno; quel fuoco che in una notte li costringerà ad abbandonare il camper su cui avevano viaggiato per giorni, per approdare in una palestra dove sono accampate anche altre persone. Lo stesso fuoco per cui sarà costretta ad abbandonare la zona del bosco dove aveva incontrato una coppia che viaggiava a bordo di un’auto attrezzata con una sorta di casa sul tetto, un uomo e una donna che avevano deciso di mollare tutto e di visitare l’Alaska per scendere fino in Canada. Affascinata da queste due persone, capaci di liberarsi dagli obblighi dell’essere cittadini e del vivere in una comunità[6], Josie molla ulteriormente gli ormeggi e durante una bella serata conviviale si addormenta quasi ubriaca. Ci penserà il fuoco a svegliarla e a rimetterla subito in marcia; il divampare dell’incendio la costringe a scappare e a perdere il contatto con la coppia. Lungo la strada, le si fora una gomma e così, persa nella notte, senza la possibilità di chiedere aiuto, viene miracolosamente soccorsa da una squadra che Josie pensa essere formata da pompieri, ma che poi scopre essere composta da detenuti assegnati agli interventi di soccorso. Sentirsi un corpo unico, scrivevo, con quello stesso spirito che anima i volontari nella palestra dove Josie e i suoi figli troveranno riparo; un’idea di fratellanza ed empatia che spinge queste persone a impegnarsi offrendo cibo e sostegno psicologico e organizzando laboratori per intrattenere i bambini. Lo stesso impegno, la stessa catena di solidarietà che abbiamo visto all’opera all’indomani dell’11 settembre.
Guerra.
“She's the refugee
her mama say one day she's gonna
live in America”
The Refugee - U2
Un riparo, seppur provvisorio, per Josie, figlia di due medici coinvolti nello scandalo del Candyland (dal nome con cui i pazienti chiamavano l’ospedale di cura per gli ex-veterani della guerra in Vietnam): troppi morti suicidi a causa di un’eccessiva somministrazione di psicofarmaci[7]. Eccessivo da portare il peso di quest’esperienza, dalla quale Josie vuol tenere alla larga i suoi figli, così come vuole tacere della morte di Jeremy, di cui si sente responsabile per averlo sostenuto nella decisione di arruolarsi per andare in Afghanistan, contrariamente al volere dei suoi genitori. Jeremy che là voleva costruire scuole e ospedali. …solidarietà, umanità in un mondo prevalentemente in guerra.
Non è più il vecchio West (Old West, non a caso, è anche il nome di una rivista che si trova a bordo del camper) con una chiara linea di confine, geografica e mentale. Durante i viaggi nelle zone dell’Alaska, Josie spesso ascolta alla radio una rubrica intitolata “Sentieri sbiaditi” alla quale gli ascoltatori si rivolgono in cerca di notizie sugli avi appartenenti al proprio albero genealogico, in cerca perciò di radici molto profonde. L’epica dei sentieri selvaggi delineati dall’epopea dei film western si è sbiadita al punto che, nell’incontrare un veterano dell’Afghanistan[8], la donna scopre che in America ci sono persone che non sanno dire se il loro Paese sia ancora in guerra oppure no:
“Aveva pensato a quanto qualcuno di quella parte del mondo, avrebbe trovato interessante, persino spiritoso, che un americano che aveva combattuto in un conflitto finito nel dimenticatoio non sapesse che il suo Paese era ancora impegnato in una guerra diversa, più grande, e questo dal lontano 2001. Che ridere! La maggior parte degli americani non sapeva che questa guerra era ancora in corso, che noi lì c’eravamo ancora, che uomini e donne come Jeremy stavano ancora combattendo e morendo, che anche gli afghani stavano ancora morendo e combattendo”.
Cosa resta, allora? Cosa raccogliere da questi sradicamenti, da queste perdite di legami, di senso e di orientamento? Stiamo ancora portando il fuoco?
Forse sì. Una piccola speranza rimane prima che sia buio e che in giro non si senta nemmeno il mormorio di una preghiera[9]; Eggers la colloca in un contesto ben preciso, quello dell’incontro di Josie con alcuni musicisti che stanno suonando all’aperto per puro divertimento: lei li spia timidamente da dietro un albero, ma viene scoperta e uno di loro la chiama chiedendole di avvicinarsi. “Sai suonare? Vuoi che ti suoniamo qualcosa? Dicci una canzone che ti piace e noi te la suoneremo”, la incoraggia uno dei membri del gruppetto; la donna si ferma a riflettere e dopo un po’ le irrompe nella testa una musica, una canzone dei padri, il cui titolo fa parte del patrimonio, di quelle radici umane condivise nel segno della fratellanza che speriamo siano ancora vive: This land is your land.
Into the Wild (side).
Questa serie di articoli (Americana I, II, III) prende il nome dal primo romanzo di Don De Lillo, Americana, in cui è narrata la storia di David Bell, dirigente televisivo di successo che a un certo punto della sua vita avverte un vuoto gigantesco, un deserto[10]. Arrivato a quel punto decide di intraprendere un viaggio su di un camper nel cuore dell’America profonda (è questa la Frontiera del titolo del romanzo di Eggers?) in cerca di una rigenerazione, attraverso una catarsi, esito di un distillato di semplicità. Ogni uomo lascia una traccia dietro di sé, scriveva l’altro grande romanziere americano Philip Roth[11], una traccia che si sviluppa di passaggio in passaggio (ai figli in questo caso, o comunque a chi verrà dopo di noi), da un presente sul punto di divenire passato a un presente che diviene futuro, ciclicamente.
“Mi bastò guardarlo per sentire il terrore della trivella, anche se Les era già tornato a sedersi sul suo secchio; col gelido candore del lago tutt’intorno a quella macchiolina che era un uomo, l’unica traccia di una presenza umana in tutta la natura, come la croce di un analfabeta su un foglio di carta. Ecco, se non tutta la storia, tutto il quadro. Solo raramente, alla fine del nostro secolo, la vita offre una visione così pura e pacifica come questa: un uomo solitario seduto sopra un secchio che attraverso quaranta centimetri di ghiaccio pesca in un lago in cui le acque si rinnovano continuamente in cima ad un’arcadica montagna dell’America”.
La macchia umana - Philip Roth
Fine del viaggio.
Scendiamo da cavallo allora per rinnovarci cedendo il passo, come fece Clint Eastwood nel suo Gli spietati, film che diede inizio alla decostruzione del mito: con quei cowboys stanchi e vecchi, ultimi testimoni di un mondo scomparso.
Gli eroi non ci sono più.
Fine del viaggio (Alternative ending).
Scendiamo da cavallo allora per rimetterci in gioco sul lato selvaggio della strada. Seguiamo il soliloquio del vecchio sceriffo di Non è un paese per vecchi (sempre McCarthy), smarrito di fronte ad un mondo violento come il suo, ma senza più quelle regole dettate da una sorta di codice etico; un mondo dove tutto dipendeva da quello che “(…) uno è disposto a diventare. E credo che in questo caso bisognerebbe mettere a rischio la propria anima”.
Perché, come campeggia a metà dell’ultima pagina del libro di Eggers, una pagina bianca al cui centro splende un’unica riga:
“Poi, però c’è domani”.
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Post-tutto (nelle puntate precedenti…)
Americana pt. I
Americana pt. II
[1] Il titolo dell’articolo è preso da un’opera di David Foster Wallace in cui un gruppo di persone, che in passato avevano recitato in uno spot di McDonald’s, viaggiano per tutto l’Illinois per approdare alla Grande Riunione di tutti quelli che allo stesso spot presero parte. La narrazione, in questo caso, si ricollega volutamente a La casa stregata di John Barth, padre a cui Wallace si richiama in termini di scrittura creativa.
[2] Le citazioni sono tratte dal testo delle canzoni contenute nell’album The Joshua Tree che, come è noto, decretò la conquista d’America da parte della band, con quella copertina che raffigurava un albero, a forma di croce, nel deserto. Deserto americano, terra dei nativi sterminati.
[3] La struggente opera di un formidabile genio - Mondadori, 2002
[4] Gli amanti del Cinema, a questo punto non possono far altro che pensare a Alice non abita più qui di Martin Scorsese, altro segugio delle pecche del sogno americano.
[5] Blood on the tracks, per l’appunto. Dato che stiamo parlando di sangue.
[6] Nel precedente libro di Eggers Il cerchio, la protagonista, in un momento di fuga da una società dedita al controllo, incontrava una coppia che viveva su una sorta di zattera e che si era ritirata da quel mondo.
[7] Alcuni decessi ebbero luogo durante un turno di notte in cui erano presenti i genitori di Josie e, in seguito allo scandalo, il padre si trasferì in Cambogia. Tale senso di perdita delle proprie radici si riproporrà, per la donna, quando il marito abbandonerà il tetto coniugale.
[8] Mentre scrivo, mi accorgo dell’uso che faccio nel nominare uno Stato per richiamarmi alla guerra condotta in quel Paese.
[9] Qui alludo spudoratamente alla song Not dark yet di Bob Dylan.
[10] Si torna sempre in questo luogo, come all’inizio di “Lucky (Americana pt. I)”.
[11]La macchia umana, 2001. Ultimo capitolo della trilogia costituita da Pastorale Americana e Ho sposato un comunista.