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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
12/09/2017
CCCP Fedeli alla Linea
Enjoy CCCP
I CCCP, almeno in Italia, furono la retroguardia sardonica e angosciata di un esercito in rotta, quello del Novecento e del pensiero forte.
di Vlad Tepes

Forse il miglior gruppo rock italiano di sempre. Arrivarono tardi: tardi per il socialismo e il punk e la controcultura; anzi, tardissimo: in pieno riflusso, fra la decomposizione dell’Italia profonda nata dalla Resistenza e le maggiorate di plastica del Drive-in, eppure, come scrive un amico, l’esordio Affinità-divergenze tra il compagno Togliatti e noi è un disco “che spezza in due gli anni ’80, che sconvolge l’Italia”.

I CCCP furono tra i rarissimi gruppi italiani a non patire esteticamente la derivazione: non imitavano nessuno, non adoravano nessuno, non avevano punti di riferimento precisi, non facevano dediche o prediche, non s’inginocchiavano a chicchessia.

Essi riuscirono a miscelare in una sintesi semplice e diretti elementi diversi e apparentemente irriducibili che galleggiavano ormai dimenticati nel brodo di coltura della sinistra comunista: era presente in loro lo sberleffo del Movimento del ’77 contro la piccola borghesia e il perbenismo (“Battagliero”), l’apostolato operaista (la carne che muove l’acciaio), il compiacimento per l’ortodossia sovietica (la piccola patria che schiacciò il nazismo da Stalingrado in poi: “A ja ljublju SSSR”), il messianismo apocalittico, il disagio psicotico (“Curami”, “Noia” e la scheggia immortale di “Io sto bene”: “Non studio, non lavoro, non guardo la TV, non vado al cinema, non faccio sport”), l’anticonsumismo (“Morire”: “Produci, consuma, crepa!... sbattiti, fatti, crepa!”, le parodie pubblicitarie di “Profezia della Sibilla”), il recupero della provincia emiliana profonda e della tradizione (anche cattolica) alla precisa luce di un antimodernismo pasoliniano (“Madre”) e, perciò, assimilabile a quello storico di destra (Pound, Mishima, Céline); e tutto vemiva filtrati da brucianti ascensioni punk (soprattutto agli inizi) e da una teatralità distaccata propria di cabarettisti alla fine del loro viaggio politico (“Depressione Caspica”); "Non si svende non si svende anche se non funziona ... grande la confusione sopra e sotto il cielo osare l'impossibile osare perdere" recita Ferretti in “Manifesto” sopra il tappeto chitarristico di Zamboni mentre le percussioni battono liturgicamente il crepuscolo degli dei dell’ideologia.

La disperazione dell’inattualità… la dissoluzione dell’utopia e del rifugio che essa offriva contro l’inaccettabile realtà… Non sarà un caso che, in seguito, lo sbertucciato Ferretti troverà ricovero presso l’ultimo sistema articolato di valori in ballottaggio con il presente: la Chiesa cattolica. Una mossa urtante, ma assolutamente conseguente rispetto alle premesse antioccidentali.

I CCCP, almeno in Italia, furono la retroguardia sardonica e angosciata di un esercito in rotta, quello del Novecento e del pensiero forte.

Ora su tutte le vette è pace.