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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
27/03/2018
(e si fotta Beep Beep)
Elogio a Wile E. Coyote
A Wile non regala niente nessuno. Lui se ne sta lì, nel vuoto della propria stoica solitudine, come un militare di frontiera che scruta l’orizzonte per cogliere anche il più impercettibile movimento in lontananza.

Amo i Looney Tunes. Li amo anche oggi, esattamente come li amavo da piccolo, quando, insieme a Carosello, rappresentavano il palinsesto televisivo delle mie giornate. E li amo tutti, indiscriminatamente, dal primo all’ultimo, anche se il mio preferito in assoluto era (e resta tuttora) Wile E. Coyote.

Bugs Bunny, Duffy Duck, Titti e Silvestro mi erano tutti egualmente simpatici, li avevo adottati in blocco, li consideravo come ingranaggi imprescindibili di un mondo di fantasia in cui i buoni e i (presunti) cattivi vivevano in una simbiosi artistica resa necessaria dal canovaccio della sceneggiatura. Tanto che, in un surplus di immaginazione, mi ero convinto che una volta terminato il cartone, e quindi le esigenze di scena, Titti e Silvestro, ad esempio, tornassero alla loro routine quotidiana di convivenza pacifica e addirittura amicale.

Con Wile, invece, era tutta un’altra storia: buonismo e condiscendenza andavano a farsi fottere, e durante la visione del cartoon (ma davvero era solo un cartoon?), io mi trasformavo in un partigiano, in un ultras, in un militante incapace di ogni forma di razionalizzazione. Stavo dalla parte del coyote, ovviamente. E non mi limitavo a parteggiare timidamente per lui o, per converso, a manifestare con moderazione la mia antipatia per il Road Runner. No, decisamente no. Il bambino solitamente composto e ben educato che ero, si trasformava nel più sguaiato degli scaricatori di porto, in un camionista frustrato da ore di viaggio e inacidito da seri problemi di digestione. Fioccavano parolacce, improperi, cori da stadio e gesti scurrili non annoverati nel decalogo oxfordiano su cui i miei genitori avevano improntato la mia partecipazione a quel consesso civile chiamato società.

Anche oggi, riflettendoci bene, sono convinto che parteggiare per il Coyote, e in modo così sanguigno, fosse cosa buona e giusta. Il fatto è che Beep Beep, oggi come allora, mi sta decisamente sul cazzo. Con quel collo secco secco come la scoreggia di un usignolo, con quella coda perennemente ostentata nella protervia del saccente, con quello sguardo stolido che a tratti si illumina di lampi a metà strada fra la canzonatura e il dileggio, è il prototipo fatto e finito dello stronzo.

Mentre il Coyote se ne sta lì, in mezzo al deserto, da solo, lontano da amicizie e affetti, in un contesto di perenne attesa, come il tenente Drogo alla fortezza Bastiani, il fottutissimo Beep Beep ha un vita.

Se la sciala, il bastardo. Lo vedi comparire e poi sparire, in un adrenalinico rincorrere chissà cosa, con la consapevolezza però che per lui ci sia un prima e un dopo, qualcuno che ha lasciato o qualcuno che incontrerà, non appena le nuvolette sollevate dalla sua frenetica corsa scompariranno dietro l’ennesima curva. Beep Beep probabilmente ha anche una relazione sentimentale, un divano su cui riposarsi, un cazzo di lavoro impiegatizio e un reddito fisso, una villetta a schiera con il giardino curato, la partita a calcetto del lunedì, come appuntamento settimanale con gli amici.

Wile, no. A Wile non regala niente nessuno. Lui se ne sta lì, nel vuoto della propria stoica solitudine, come un militare di frontiera che scruta l’orizzonte per cogliere anche il più impercettibile movimento in lontananza. Consapevole del fallimento dell’attesa, eppure mai domo, pronto a ricevere la milionesima secchiata di merda riservatagli dalla vita, senza tuttavia che il proprio inossidabile ottimismo venga mai meno.

Il coyote è un mediano che pressa ancora quando gli altri vincono 3 a 0 a cinque minuti dalla fine, è un maratoneta che supera la crisi e continua a correre, anche se quel terribile ultimo chilometro che lo separa dal traguardo sarà solo lacrime e sangue. Wile crede in un'idea, in un sogno, ha una speranza, e la persegue, con coraggio, nonostante tutto e tutti. Il suo sguardo arriva sempre un poco più in là, perché è un visionario, e anche se non è veloce come Road Runner, fa della pazienza, della pertinacia, del ragionamento e dell’intuizione la rampa di lancio da cui partire per cambiare il mondo.

Ci prova, ma non ci riesce, perché c’è sempre un masso che inopinatamente si stacca dallo strapiombo e lo spiaccica a terra. I greci la chiamavano Tuke, il fato, e se ti perseguita non ci sono cazzi, sei costretto a spalare letame in eterno. Un destino condiviso da tanti, da tutti coloro, cioè, che continuano a mangiare il pane duro della vita, convinti però che, prima o poi, arriverà anche un piatto di ostriche. Li puoi mandare al tappeto, ma si rialzano sempre, illusi, forse, ma coraggiosi come tigri e mai domi. E se li guardi poco dopo che hanno ricevuto l’ennesimo colpo, è facile che tu li veda anche sorridere. Perché stanno già architettando un nuovo piano. In culo a Beep Beep e alle sue certezze da privilegiato.