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REVIEWSLE RECENSIONI
Electric Lady Sessions
LCD Soundsystem
2019  (DFA Records / Columbio)
POST-PUNK/NEW WAVE ELETTRONICA ALTERNATIVE POP
8,5/10
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21/02/2019
LCD Soundsystem
Electric Lady Sessions
Il ritorno degli Lcd Soundsystem nell’autunno del 2017 era stato l’evento dell’anno in ambito musicale; riascoltato oggi a distanza di tempo, “American Dream” conserva intatti fascino, ispirazione e grandezza, ingredienti che hanno permesso a James Murphy di sbaragliare la concorrenza e di attestare nuovamente la sua creatura tra le cose migliori esistenti nel panorama contemporaneo.

“Electric Lady Sessions” è il secondo tassello discografico di questa reunion (ma sarà giusto chiamarla così? Forse l’espressione “seconda parte di carriera” sarebbe più appropriato) ed è quello che mancava per completare il quadro di una band che, seppure si tenda a considerarla come un mero one man project dello stesso Murphy, rappresenta in realtà un collettivo numeroso, coeso ed affiatato.

L’Electric Lady è uno dei più importanti studi degli Stati Uniti: qui gli Lcd si sono ritrovati per registrare, rigorosamente dal vivo, brani del loro repertorio e alcune cover. Ne è uscito un disco di 12 brani, per una settantina di minuti di musica, che sono l’ideale compendio di quel che si è potuto vedere sui palchi europei e americani nel corso del lungo tour che li ha visti impegnati da settembre 2017 alla scorsa estate. Un live in studio di registrazione che è di fatto il secondo capitolo di quelle “London Sessions” uscite nel 2010 e che, da un certo punto di vista potrebbe anche apparire un controsenso. Sicuramente c’è una parte di noi che avrebbe preferito un disco dal vivo canonico, considerato anche che l’unica testimonianza esistente in proposito, il chilometrico concerto d’addio al Madison Square Garden, rischia ora di risultare troppo datata. Vero però che questa è la formazione che abbiamo visto sui palchi di recente e che il suono e l’energia ricreata sono esattamente gli stessi.

È proprio questo a colpire, degli Lcd Soundsystem: per quanto siano un gruppo derivativo, accusati a più riprese di non esprimere nulla di originale, alla fine riescono sempre ad incantare. La loro musica flirta essenzialmente con la Disco, con la Dance, incorpora a più riprese elementi House e New Wave ma dal vivo, non importa da che angolazione la si guardi, accentua tantissimo gli elementi rock. Ci sono le chitarre (tante chitarre), ci sono le percussioni (tante percussioni) e i Synth sono tutti rigorosamente suonati dal vivo. Il risultato è un wall of sound di inaudita potenza, una stratificazione di elementi che, sommati insieme, sprigionano una miscela irresistibile.

Ripetizione, crescendo, riempimento progressivo, esplosione: sono questi gli ingredienti delle composizioni di James Murphy e soci che qui, nelle sale dell’Electric Lady, acquistano nuova vita. Chiunque li abbia visti dal vivo almeno una volta, si ritroverà appieno in queste elettrizzanti versioni, nelle quali c’è inscritto tutto il devastante potenziale di questa band.

La scaletta è incentrata per la maggior parte sull’ultimo “American Dream” ed è cosa buona, visto che di questi brani non c’era ancora una versione live. C’è la title track, che è quella dove James Murphy offre probabilmente la sua performance vocale più intensa; ci sono “Tonite”, e “Call the Police”, tiratissime ed esplosive; e ancora, “Oh Baby”, con il suo Synth ipnotico e avvolgente, “Emotional Haircut”, con chitarre sparate a mille, il cui finale è una delle cose più potenti che i newyorchesi abbiano mai inciso. Da ultimo, una “I Used To” se possibile ancora più cupa della versione originale.

Non sono molti gli episodi dai dischi precedenti ma sono di quelli che pesano: “You Wanted a Hit” e “Get Innocuous”, proposte in rapida successione, hanno il potere di evocare la bolgia di sudore e il clima impazzito dello stipatissimo club di Copenhagen dove li vidi proprio a inizio tour.

Poi c’è una sequenza mozzafiato con “Home”, che si evolve naturalmente da “Tonite” e sfocia poi in “I Want Your Love”, la divertente cover degli Chic che aggiunge un tocco Funk a questa performance e ci mette davanti come questo sia un collettivo di performer pazzeschi.

Belle anche le altre due cover della raccolta: “Seconds” degli Human League, che apre il set in maniera un po’ interlocutoria ma che cresce nel prosieguo e la conclusiva “(We Don’t Need This) Fascist Groove Thang” degli Heaven 17, il cui ritmo si sposa perfettamente col repertorio originale di Murphy e soci.

Un documento imprescindibile, per chi li ha visti e per chi se li è persi, che senza eccessivo sforzo ribadisce per l’ennesima volta come questa sia la band più importante degli anni Zero.

Il modo migliore per ingannare l’attesa del prossimo disco, sperando che abbiano davvero voglia di farlo.