Quando i Fab Four entrarono in studio per registrare Revolver, la loro apertura agli stimoli esterni era massimale: l'amore e gli studi di George per la cultura indiana, la voracità con cui Paul studiava la poesia, la letteratura e l'arte, la sperimentazione di nuove droghe da parte di John, e il suo onnivoro interesse per la politica e la filosofia nietzchiana, lo studio di nuove modalità di drumming da parte di Ringo.
Per Paul fu anche un periodo di approccio alla musica classica e in particolar modo ad Antonio Vivaldi, che iniziò ad ascoltare su suggerimento di Jane Asher, la bella attrice con cui McCartney si fidanzò ufficialmente l’anno successivo e la cui casa era diventata un punto di ritrovo per le serate dei quattro Beatles. E fu proprio a Vivaldi che Paul e George Martin si ispirarono per l’arrangiamento di Eleanor Rigby, portando in sala di registrazione un'orchestra di otto elementi, formata da quattro violini, due viole e due violoncelli.
Se la veste formale del brano era assolutamente inusuale per i tempi, ma anche rispetto al mood generale dell’album, maggiormente virato verso il rock, lo era ancor di più il testo, che, in contro tendenza rispetto al glamour rutilante della Swinging London, aveva, più o meno, l’effetto di una coltellata al ventre morbido del perbenismo e della superficialità dell'epoca.
Vado a memoria, ma non ricordo nel repertorio di McCartney una canzone più triste di questa: in Eleanor Rigby tutto è disperazione, miseria e solitudine, e non c’è la ben che minima concessione alla speranza, visto che il brano si conclude con la morte della protagonista.
Eleanor è una donna sola, che non ha famiglia o amori e che vive ai margini di una società che l’ha privata anche della dignità. L’incipit, in tal senso, è folgorante: "Eleonor Rigby picks up the rice in the church where a wedding was been", cioè raccoglie il riso in una chiesa dove c’è stato un matrimonio e "lives in a dream, waits at the windows" (vive in un sogno, aspettando alla finestra). C’è, dunque, un evidente disagio sociale ed economico, che spinge Eleanor a raccogliere il riso per potersi così sfamare; e c’è anche una disperata solitudine, quella di “una vita tetra e senza più attese” di maupassiana memoria.
In quella stessa chiesa, vive Father McKenzie, un prete che “writing the words of a sermon that no one will hear” (scrive le parole di sermoni che nessuno ascolterà) e che “darning his socks in the night when there’s nobody there” (rammenda i suoi calzini di notte, quando non c’è nessuno). E’ la storia di un’altra vita ai margini, che si affianca e poi si sovrappone a quella di Eleanor.
Due solitudini feroci, dunque, che il destino (o forse le convenzioni della società) tengono lontane e che si incontreranno solo una volta, quando Eleanor muore e viene seppellita proprio da Father McKenzie, che celebra un funerale a cui nessuno partecipa ("Eleanor Rigby died in the church, and was buried along with her name, nobody came, Father McKenzie wiping the dirt, from his hands as he walks from the grave").
Il funerale di Eleanor si svolge, quindi, in vuoto fisico ed emotivo (nobody come), e la donna viene sepolta insieme al suo nome, perché così nessuno si ricorderà mai che è esistita (she was buried along with her name). L’immagine che, però, lascia pietrificati e che trasmette un senso di livida desolazione difficile da scordare è quella contenuta nel verso successivo: padre McKenzie pulisce la sporcizia dalle sue mani, mentre cammina via dalla tomba. E ancora: “No one was saved”, recitano le ultime parole della canzone, nessuno fu salvato: non c’è salvezza per gli ultimi, né in terra né nel regno dei cieli.
McCartney ha sostenuto che Eleanor Rigby fosse un nome di fantasia, nato dalla fusione fra quello di Eleanor Bron, una bella attrice britannica, e quello di un negozio di Bristol (Rigby), che aveva attirato l’attenzione del musicista. Tuttavia, nel cimitero della chiesa di St. Peter a Liverpool, esiste la tomba della famiglia Rigby e sulla lapide compare anche il nome di Eleanor. Casualità? Forse. Quel che è certo è che la donna non può tornare dall’eternità per raccontarci se la sua vita fu davvero tanto triste come quella raccontata da Paul. Ed è incredibile pensare che lo stesso autore delle dolci Yesterday e Michelle e di altre splendide silly songs, possa aver scritto una canzone di così rassegnata disperazione.