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REVIEWSLE RECENSIONI
10/10/2023
EDLESS
Editing a Dream
L’equilibrio perfetto tra la dimensione elettronica e quella analogica, le parti di Synth e tastiere a dialogare con le chitarre, con una voce sempre versatile nell’utilizzare i vari registri. "Editing a Dream" è il nuovo disco degli Edless, una band che non ha mai smesso di lavorare alla propria visione e inseguire i propri sogni e che rappresenta nel suo piccolo una grande eccellenza italiana.

Rimanere vivi a dispetto di tutto, lavorare alla propria visione e inseguire i propri sogni, pazienza se poi andranno editati per adeguarsi alle circostanze e occorrerà, ogni tanto, scendere a compromessi per salvare l’essenziale. Non so se sia questo il vero senso dietro al nuovo disco degli Edless ma è quello che mi viene in mente pensando alla traiettoria del gruppo in questi ultimi anni.

Belotus, il loro secondo EP, è del 2016 ed è tuttora il loro ultimo lavoro in studio. La vittoria al Pending Lips di quell’anno aveva procurato qualche apertura a band internazionali (per esempio ai Nothing) ma non era riuscita a porre l’attenzione adeguata su un gruppo con una proposta che in Italia non è mai stata molto comune.

Sono stati anni di dura ricerca, di tentativi di trovare la formula migliore per districarsi tra l’evoluzione stilistica e il mantenimento dell’identità.

Hanno scritto tanto, hanno scartato e selezionato, sono andati vicino allo scioglimento ma alla fine, a tratti contro ogni previsione, il nuovo disco è uscito. E, fatto che ha ancora più dell’incredibile, sopratutto in questi tempi effimeri, hanno mantenuto la line up inalterata, incluso il tastierista Leonardo Musumeci, che non fa più parte del gruppo da un bel po’ ma che ha suonato ugualmente alcune parti.

 

Editing a Dream vede il ritorno del gruppo nella famiglia di Costello’s (anche se solo dal lato agenzia), tra i primi che hanno creduto in loro, e vanta il contributo prezioso di Taketo Gohara in sede di missaggio, che ha affiancato il lavoro di produzione del chitarrista Giorgio Pasculli, ormai sempre più a suo agio dietro la consolle.

Difficile fare paragoni sul passato, quando sono trascorsi sette anni dall’ultimo lavoro in studio; eppure (e anche questo è un dato più che sorprendente) gli elementi principali sono rimasti invariati. L’equilibrio perfetto tra la dimensione elettronica e quella analogica, le parti di Synth e tastiere a dialogare con le chitarre, la voce di Fabio Bonvini sempre versatile nell’utilizzare i vari registri. In aggiunta a tutto questo, un processo di crescita che se da una parte sarebbe stato anche lecito aspettarsi, dopo così tanti anni passati a lavorare sui brani, dall’altra non va comunque scontata e denota grande coscienza dei propri mezzi.

Il dato che balza maggiormente all’occhio è, probabilmente, che mentre in passato c’era una comprensibile volontà di sperimentare e di stupire, insistendo su soluzioni poco convenzionali e lavorando molto su singoli frammenti, qui al centro dell’attenzione c’è la canzone in quanto tale. La cura della forma canzone, dunque, la vecchia e sana preoccupazione che un brano debba funzionare nell’insieme, completo e rifinito in tutte le sue parti ma allo stesso tempo con un’idea centrale forte a trainarlo.

 

Considerati tutti questi elementi, potremmo sottoscrivere l’affermazione secondo cui Editing a Dream sia un disco più immediato dei due che lo hanno preceduto (che comunque, va precisato, erano degli EP, dunque con una minore possibilità di sviluppo).

Lo ripetiamo, il marchio di fabbrica è sempre quello ma è tutto molto più rifinito, più lineare. C’è una grande attenzione alle melodie vocali, costruite benissimo e valorizzate da un Fabio Bonvini che canta ancora meglio che in passato e dona un tocco di classe in più ad episodi di per sé già perfetti: “Youth” e “The Guest” da questo punto di vista sono molto significativi, oltretutto godono entrambi di uno splendido lavoro ritmico e di un sapiente impiego dell’elettronica, questo soprattutto nella prima.

La capacità di riempire e di svuotare è altrettanto ammirevole: “Blank”, per esempio, che si carica di strati e aumenta d’intensità dopo una prima parte più lenta e minimale, con tanta chitarra acustica (strumento che in questo disco è stato particolarmente centellinato), ma anche il modo in cui in “Zero” si lanciano in una fuga strumentale dai lontani echi Dream Pop.

Addirittura, sembrano aver acquisito una certa propensione a creare partiture easy listening, con un certo appeal radiofonico: l’iniziale “Staring at the Sky” (che non a caso è stato anche il primo singolo estratto) ha un bel tiro ed un certo mood ossessivo, con una parte di chitarra ossessiva e ipnotica attorno alla quale viene costruito tutto il brano; “At Last” potremmo quasi considerarla una ballad, molto dolce a dispetto del suono secco di batteria, melodie vocali delicate e ritornello azzeccatissimo. Nonostante una certa leggerezza di fondo, c’è sempre una grande lucidità negli arrangiamenti, in questo caso con l’entrata di una tastiera nella parte centrale e con un finale molto più carico, che provoca un certo cambio di atmosfera.

A scombinare ulteriormente le carte, e a confermare l’impressione di un lavoro molto più vario di quel che non sembrerebbe al primo ascolto, ecco arrivare la cavalcata di “Groundhog Day”, chitarre gelide e atmosfere Cold Wave in stile Soft Moon, pur con una declinazione timbrica Fedele alle caratteristiche del gruppo.

 

Cambiare tutto perché tutto rimanga com’è” diceva il personaggio di un celebre romanzo italiano, con una proverbiale formula negli anni fin troppo citata. La riprendiamo per gli Edless, ma questa volta non la usiamo in senso dispregiativo. Il quartetto milanese è tornato dopo un lungo silenzio, è sopravvissuto allo scioglimento e ai mutamenti del panorama musicale, per ritrovarsi del tutto uguale a se stesso; eppure, allo stesso tempo, profondamente diverso e decisamente migliorato.

Uno dei come back più a fuoco degli ultimi anni; ancora più prezioso, se si pensa che in Italia un genere così non lo fa quasi nessuno.