Membro del collettivo Ora, di cui abbiamo presentato Amalgam, Andrew Chalk perviene, in questo East Of The Sun, ad un monocromatismo ambientale estremo, che poi sfocerà nel descrittivismo minimale dei paesaggi sonori successivi.
L'opera si compone di due tracce, “Winter Arc” (49'12'') e “The Plain” (13'43'').
La prima consiste in un bordone in lentissima rotazione variegato da rimbombi, suoni naturali, echi temporaleschi, modesti interventi elettronici; queste screziature, però, accompagnano e mai prevaricano la linea principale: si suscita nell'ascoltatore, quindi, anche in virtù della durata, un mondo dalla vita sospesa, attutito, in cui la natura, ora letargica, pulsa debolmente sotto la scorza della stagione morta. Difficile, ancora una volta, descrivere a parole le suggestioni provocate: l'impressione generale non è fondata su singoli momenti definiti, ma su uno stato dell'animo ingenerato, minuto dopo minuto, da questo incedere implacabile e quasi ieratico. Solo la letteratura fantastica di stampo anglosassone, con M.P. Shiel (La nube purpurea), E.A. Poe (Gordon Pym), A. Blackwood (I salici), ha lasciato, seppur a tratti, descrizioni naturali che possano rendere queste vaste desolazioni sonore.
“The Plain” condensa in minor tempo le evocazioni di “Winter Arc”, ma le rende ancor più cupe e minacciose.
Ancora una volta, da un'occasione descrittiva (una stagione, una plaga pianeggiante), il musicista inglese, inserito nella tradizione più vicina al lato romantico tedesco, concreta due poemi sonori quali metafore di stati dell'animo.