"Sfogatevi contro la cattiva musica, ma non la disprezzate! Più la cattiva musica viene eseguita o cantata, più è densa di lacrime, di lacrime umane. Occupa una posizione marginale nella storia delle arti, ma una di primo piano nella storia delle emozioni del consorzio umano. Il rispetto per la musica stupida non è in sé stesso una forma dì carità, ma la consapevolezza del ruolo sociale della musica. La gente ha sempre gli stessi messaggeri e alfieri di cattive notizie nei periodi di calamità e di radiosa felicità: i cattivi musicisti... Uno spartito di povere melodie, con le pagine sgualcite per il grande uso, dovrebbe commuoverci quanto una città o un monumento funebre. Che cosa importa se gli edifici civili sono privi di stile, o se le pietre tombali scompaiono sotto stupide iscrizioni?"
Marcel Proust - I Piaceri e i Giorni (1896)
Henri Rousseau detto "Il Doganiere" - La zingara addormentata (1897)
Più passa il tempo, più aumentano le esperienze d'ascolto, più mi rendo conto di essere ormai perfettamente in grado di distinguere ciò che mi piace da ciò che non mi piace. Una banalità? Non credo, non per me almeno; per formarsi un autonomo gusto personale occorrono tempo, pazienza e sbagli di vario tipo. Eppure a fronte di questo, mi rendo conto che faccio sempre più fatica a definire la “cattiva musica”.
Anni fa ero intollerante e vanitoso: mi dava fastidio stare in macchina con qualcuno sintonizzato su una radio di musica dance, odiavo San Remo, Festivalbar e compagnia bella perché toglievano spazio alla "musica vera"; poi, come abbiamo fatto in tanti, me la sono presa anche con MTV, rea di fornire un panorama parziale e fazioso, interamente prostrato al “presente”, all'ultimissima uscita dell'ultimissimo fenomeno da talent show.
Poi, il tempo ha iniziato a portarsi dietro i dubbi. Cos'è che rende certa musica “cattiva”? Si possono veramente attribuire caratteri estetico-morali così definitivi: bella e buona o brutta e cattiva?
Tanta musica che non mi piace, che ho sempre ritenuto spazzatura, fa divertire i ragazzini sulle spiagge; suggerisce ad adolescenti insicuri le parole giuste in amicizia o amore; fa cantare in coro le persone alle feste di paese. Può essere cattiva, pur facendo questo? È uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare; sporcarsi le mani con il nazionalpopolare è una comoda scusa, una necessità o una sincera vocazione? “Che cosa importa se gli edifici civili sono privi di stile, o se le pietre tombali scompaiono sotto stupide iscrizioni?”
Anch’io mi sto abituando a sfogarmi, ma senza rancore o disprezzo assoluti. È un segno di cedimento?
Del resto non possiamo nemmeno abdicare arrendevolmente alla vecchia storia del gusto..."de gustibus"...eh, ma allora neghiamo anni di storia dell'arte che ci hanno insegnato che Van Gogh è meglio di George Karl Koch o che il vero genio era Mozart e non Salieri. Piombiamo in un relativismo talmente spinto da perdere ogni tipo di riferimento e valore estetico. Tutto è lecito? In Arte si è soliti dire di si. Ma forse non è poi così vero… Servono pure dei parametri, se non oggettivi, almeno condivisibili, che ci aiutino a dare il vero (o meglio il più giusto) valore alle cose, anche a quelle artistiche, nella fattispecie musicali.
Mi sto abituando a pensare alla musica sotto una prospettiva, come dire, darwiniana. Non credo più esista una musica buona e una cattiva; credo che ne esista una fatta per durare nel tempo, e una fatta per essere rapidamente consumata e dimenticata. Come le maltodestrine a rapido assorbimento che il ciclista in fuga si prende prima della salita finale: energia veloce, usa e getta. Mica te ne ricordi come di una mangiata all’Osteria del Sole…ma in quel preciso momento, per quella precisa persona è ciò che serve.
La prova del tempo, anche breve, non parliamo certo di ere geologiche, è una buona discriminate (non la definitiva…la definitiva non credo esista…) per non ricadere nei soliti dubbi sulle qualità degli Antichi e dei Moderni e sulle diatribe tra Arte e Spettacolo. Il problema? Occorre avere pazienza.