Venghino, Signori! Venghino! Ma che fine ha fatto il regista gotico, quello delle fiabe nere, dei personaggi strani ed emarginati?
Venghino, Signori! Venghino!
Ha inizio un nuovo spettacolo: la Disney di nuovo alle prese con il riadattamento di un suo classico.
Già, dopo La Bella e la Bestia, Cenerentola e Il Libro della Giungla e prima di Aladdin, Il re leone e Mulan, è il turno di... Dumbo!
Ma non temete, questa volta le cose sono cambiate, questa volta cambiano un po'.
Non è un semplice adattamento in live action; si manipola, si adatta.
Si parte da un film del 1941, insomma, triste come pochi, il cui protagonista non parlava e -proprio per questo- durava a malapena 64 minuti.
Invece, lo spettacolo versione 2.0 tiene conto del pubblico di oggi, di bambini che vanno protetti dai traumi, di adulti che quel Dumbo lo conoscono bene. Raddoppia la sua durata, si inseriscono nuovi personaggi, una nuova storia, visto che Dumbo continua a non parlare.
Nel bene e nel male, quindi, Dumbo diventa un nuovo film per famiglie, con tutti i pregi e i difetti che questo ha in una produzione Disney.
Quindi sì: momenti commoventi, momenti emozionanti, azione esagerata, sviluppo piuttosto intuitivo, frasi ad effetto e l'inevitabile lieto fine.
Venghino, Signori! Venghino!
Ha inizio un nuovo spettacolo, quello di Tim Burton che sembra non voler più rinascere dalle sue ceneri.
Non sembra più lui, in effetti.
Che fine ha fatto il regista gotico, quello delle fiabe nere, dei personaggi strani ed emarginati?
Certo, Dumbo, come i piccoli Farrier e tutti i fenomeni da baraccone del circo Medici, strani lo sono, emarginati in parte, ma su questo si punta poco. Giusto il tempo di alzare la testa e le ali/orecchie, fare sberleffo e tirare acqua in faccia ai bulli di turno. O schiacciarli.
Ormai, Tim si è adattato alla luce del sole, alla Disney soprattutto, lui che per primo ha partecipato all'operazione "rifacimento in live action" con Alice in Wonderland. E il risultato, meglio non ricordarlo.
Qui gli va meglio, certo. Ma ancora non sembra lui.
Nemmeno se lo si confronta con il luminoso e romantico Big Fish, da cui si porta dietro il circense Denny DeVito.
Al suo posto potrebbe esserci qualunque mestierante Disney che sa giocare con il green screen e con gli effetti speciali (un plauso per il tenero e cartoonesco piccolo elefante, comunque), con buona pace della sua nuova musa Eva Green e di Colin Farrell, o la nuovamente maschera di se stesso Michael Keaton.
D'altronde, se si è disneyzzato pure il fido Danny Elfman, con musiche scontate che sottolineano in modo enfatico ogni passaggio di emozione, come poteva sfuggire Tim?
Venghino, Signori! Venghino!
Questo nuovo Dumbo ha allora inizio, un Dumbo che rispetta il suo passato richiamando le scene indimenticabili (per poco, pochissimo, quella delle cicogne, qualche motivetto -ma no, non i tre corvi canterini- e ovviamente lo spettacolo degli elefanti rosa) ma che guarda al futuro, arricchendo la sua storia con umani che lo vogliono aiutare, con cattivi che lo vogliono sfruttare, con un grande Dreamland a cui -spiace per la Disney, ma è inevitabile- a Disneyland fa pensare.
Non mancano quindi i messaggi buonisti, ecologisti, animalisti. Non manca il lieto fine, che mette in pace i cuori di chi a più riprese per quegli animali in gabbia si arrabbia e si commuove.
Insomma, lo spettacolo è garantito.
Ma non è memorabile e non è nemmeno troppo deludente.
Anzi.
Fa quasi strano non poterlo demolire, affossare di critiche, armati fino ai denti come si era partiti.
E non ci si può dire follemente innamorati di una storia che si sa già che piega prenderà.
Senza infamia né lode, questo Dumbo lo si accetta.
Resta uno spettacolo non così spettacolare: venghino a vostro rischio e pericolo, signore e signori.