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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
15/07/2017
Toad The Wet Sprocket
Dulcinea
I Toad The Wet Sprocket non si inventano nulla, ma sono bravi a inserirsi nel contesto musicale del tempo, fondendo con intelligenza i suoni che vanno per la maggiore nell’allora attuale panorama rock: l’Americana solare dei Jayhawks, gli struggimenti malinconici dei Counting Crows, e l’energia radio friendly del movimento post grunge

Mi sono sempre chiesto come mai gruppi o artisti che negli States vendono milioni di dischi, da noi sono patrimonio esclusivo di pochi onnivori appassionati. Prendete i Toad The Wet Sprocket, ad esempio: nella prima metà degli anni ’90, la band originaria di Santa Barbara (California) è stata una presenza fissa nelle classifiche americane, aggiudicandosi, anche, un paio di dischi di platino; da noi, il silenzio quasi totale. Se andate a dare un’occhiata alla pagina Wikipedia inglese, passerete una buona mezz’ora a leggere; nel web italiano, invece, i riferimenti al gruppo sono radi come i capelli sulla testa di Telly Savalas. Davvero strano. Soprattutto, perché i Toad The Wet Sprocket (il nome bizzarro lo hanno preso in prestito da uno sketch dei Monty Pyton), di canzoni appetibili anche per il pigro e impreparato pubblico italiano, ne hanno scritte davvero tante. Fondatisi nel lontano 1986, i TTWP, appena adolescenti, si sono fatti le ossa con una lunga (e consueta) gavetta di concerti in piccoli locali e di album autoprodotti; poi, nel 1990, la Columbia li mette sotto contratto, ripubblicando i primi due dischi. Il passaggio a una major, come spesso succede, procura alla band di Santa Barbara quella visibilità che prima non aveva, e i continui passaggi a MTV dei singoli All I Want e Walk On The Ocean, lanciano il nuovo album, Fear (1991), in vetta alle classifiche statunitensi, (il tutto certificato da un disco di platino). Nei due anni successivi, l’attenzione dei media resta alta, le vendite si mantengono consistenti, e le loro canzoni vengono inserite nella colonna sonora di un paio di film di cassetta, tutte circostanze che sanciscono per i TTWS lo status di stelle nazionali del(l’alternative) rock. Bisogna, però, battere il ferro finché è caldo e bissare il successo del disco precedente, per non perdere la cresta dell’onda. Detto, fatto. Nel 1994, esce Dulcinea, che si mangia a colpi di singoli le charts a stelle e strisce e si aggiudica l’ennesimo disco di platino, nonostante una copertina inguardabile e un titolo, dai riferimenti letterari spagnoli (il Don Chiscotte di Cervantes), per i più davvero poco appetibile. Il motivo di tanto successo sta ovviamente nelle canzoni, tredici per la precisione, vestite tutte di abiti orgogliosamente mainstream e dotate di un appeal melodico (e radiofonico) che riuscirebbe a conquistare anche il cuore del rocker più incallito.

I Toad The Wet Sprocket non si inventano nulla, ma sono bravi a inserirsi nel contesto musicale del tempo, fondendo con intelligenza i suoni che vanno per la maggiore nell’allora attuale panorama rock: l’Americana solare dei Jayhawks, gli struggimenti malinconici dei Counting Crows, e l’energia radio friendly di quel movimento post grunge che, a partire dall’anno precedente, sta ingolfando le case discografiche di gruppi mediocri, ma dall’alto potenziale economico. La band capitanata da Glen Philliphs (voce e chitarra ritmica) e Todd Nichols (chitarra solista), rielabora il tutto con gusto e intelligenza, dando vita a un sound, che forse non sarà mai immediatamente riconoscibile, ma il cui appeal è a dir poco irresistibile. E poi, ci sono le canzoni, tutte orecchiabilissime, tutte possibili hit, ma non prive di quel fascino adulto (i testi indulgono anche verso tematiche religiose e riferimenti letterari di cui sopra) che tiene ben lontano la band dall’essere patrimonio esclusivo dei teenagers. Il disco vende benissimo, il primo singolo, Fall Down, arriva alla prima piazza delle classifiche di genere, il secondo singolo, Something’s Always Wrong, entra nella top ten. Ma la storia dei Toad The Wet Sprocket finisce praticamente qui: l’anno successivo, si raschia il fondo del barile, con un’inutile raccolta di b-side (In Light Syrup) e nel 1997, esce Coil, ultimo capitolo della band, che si scioglierà nel 1998, per sopravvenute divergenze artistiche (in realtà, è Glen Phillips che scalpita per iniziare una carriera in solitaria). La reunion, datata 2013, produce, grazie al crowdfunding, un disco, New Constellation, che viene accolto tiepidamente dalla critica e dal pubblico, e che suscita più di un rimpianto fra i numerosi fans americani (e i più sparuti fans europei), per quel gioiello di mainstream rock dal titolo Dulcinea.