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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
16/01/2023
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con… Phomea
Ci sono alcuni dischi con cui il feeling scatta fin dal primo ascolto, anzi, fin dalle primissime note, ed è esattamente ciò che è accaduto con Me and my army, l’ultimo album del toscano Fabio Pocci, in arte Phomea. Un disco che racconta la verità dei nostri giorni e lo fa con grande delicatezza e gentilezza e, naturalmente, anche con tanta bellezza.

Me and My Army è uscito l’11 novembre 2022, ed è sostenuto da tre etichette: Beautiful Losers, Beng! Dischi e Beta Produzioni. Il CD contiene 12 pezzi a cui hanno partecipato venti musicisti, tra cui Alessandro Fiori e Flavio Ferri. È disponibile in supporto fisico, ma anche in versione liquida, su Spotify.

Il feeling a cui accennavo prima è scattato anche a livello estetico, perché la veste grafica del CD è davvero accattivante e rispecchia totalmente il mood dei pezzi che contiene.

Una scaletta densa e intensa, pregna di malinconia, ma non di quella malinconia arrendevole, quanto, piuttosto, pienamente consapevole dei momenti bui che stiamo vivendo e che, nostro malgrado, finiscono con il condizionare il nostro quotidiano e i nostri umori. Così, ecco che ogni tanto affiora l’esigenza di isolarci da tutto e tutti per proteggerci e per provare a ritrovare il nostro equilibrio interiore.

L’arte, in tal senso, può essere un mezzo potentissimo per leggere e interpretare la realtà circostante e la musica una vera e propria medicina narrativa. 

Quello descritto da Phomea attraverso i suoi testi e la sua musica è un mondo in cui l’intelligenza artificiale sembra in grado di mescolarsi e confondersi con l’intelligenza emotiva umana. Un mondo in cui la realtà si fa sempre più virtuale e l’uomo, sempre più solo e travolto dalla ferocia del quotidiano a cui non è in grado di opporsi, è costretto a interrogarsi su cosa significhi essere, e soprattutto restare umani, e qual è la strada migliore per riuscirci.

Testi davvero belli, piccole poesie in musica, che inducono a riflessioni profonde sulla condizione umana e sul bisogno di continuare ad alimentare sogni e speranze, come fossero la chiave per resistere e vivere davvero e non semplicemente sopravvivere.

Un disco che racconta la verità dei nostri giorni, e lo fa con grande delicatezza e gentilezza e naturalmente, anche con tanta bellezza.

 

 

 

Ciao Fabio e grazie per il tempo che vorrai dedicare a me e ai lettori di Loudd. Come e quando hai iniziato a fare musica? Che tipo di formazione hai e quali sono i tuoi riferimenti musicali?

Allora, allora, la faccio breve. Ho iniziato da piccolo, 4 anni di pianoforte preparatori per il conservatorio. Purtroppo, una bruttissima frattura al braccio sinistro (a 12 anni, esattamente il 19 agosto, pochissimo prima dell’esame) non mi permise di fare l’esame di ammissione e rimasi fermo per 2 anni.

Piano piano iniziai da solo ad imparare la chitarra seguendo come riferimento mio fratello maggiore. Imparai che era possibile imparare da soli, crearsi un proprio percorso. Iniziai quindi a suonare la batteria con un gruppetto di amici, facevamo cover dei Placebo e dei Verdena ma anche pezzi nostri. Nel mentre il mio progetto Phomea era nato come laboratorio personalissimo e segreto, suonavo e registravo in casa senza mai condividere con nessuno tranne amici fidati.

Negli anni sono stato in vari gruppi, i più importanti per me sono stati sicuramente i S.U.S. e gli Sparflatz. In tutte queste occasioni ho avuto la possibilità di sperimentare anche con altri strumenti e approcci. Sono state tutte esperienze importantissime.

Nel 2012, insieme a 2 amici, in formazione a 3, abbiamo fatto il primo E.P. con il nome Phomea. La vita ci ha poi separati e mi sono richiuso un pochino a riccio, tranne per i live che riuscivo a trovare, fino a quando, semplicemente, non ce l’ho fatta più e ho dovuto provare a spostare verso l’esterno il progetto Phomea iniziando con quello che probabilmente rimarrà l’album più importante: “Annie”.

C’è poco da dire in fatto di riferimenti musicali. Non mi ispiro direttamente a nessuno ma sicuramente gli ascolti in “tenera età” avranno sempre una loro voce in quello che faccio, quindi direi che il mondo musicale degli anni ’90 può essere considerato come riferimento.

Devo dire che ci sono parecchi riferimenti (sia voluti che non) ai Radiohead, in questo disco.

 


Nel mio incipit a questa intervista ho fatto riferimento alla veste grafica del tuo CD. Cosa puoi raccontarci delle bellissime illustrazioni che accompagnano il tuo lavoro? E soprattutto, puoi svelarci chi, o cos’ è J.B.? Che tra l’altro è anche il titolo di uno dei pezzi contenuti nel disco?

All’inizio della lavorazione del disco, quando avevo 4 o 5 provini fatti, mi feci una semplice domanda. Era l’inizio del 2020, si stava iniziando a parlare di intelligenza artificiale applicata alle immagini.

Il concetto di armata, guerra contro noi stessi, abitudini e imposizioni era chiaro ma sentivo che c’era ancora qualcosa che mancava. Il lavoro che stavo facendo sarebbe, inevitabilmente, sbarcato nel mondo dei servizi streaming, popolati da algoritmi sempre più complessi.

Mi chiesi quindi: ma cosa vede una intelligenza artificiale nel testo di una canzone? Non c’erano ancora tutti i servizi di adesso per generare immagini con l’intelligenza artificiale quindi ho dovuto fare un po’ di ricerca e “affittare” un server grafico dove far girare degli algoritmi VQGAN+CLIP per generare delle immagini partendo dai testi delle canzoni. L’idea era quella di far generare 12 immagini diverse, una per ogni canzone, partendo da spezzoni del testo.

Queste immagini sarebbero poi servite per comporre l’artwork del disco.

In questa armata doveva esserci anche quello che definiamo intelligenza artificiale perché, semplificando, il modo in cui la istruiamo è molto simile a quello che succede per l’essere umano, solo in minor tempo. Le diamo in pasto una quantità enorme di dati e connessioni da mettere poi in relazione gli uni con gli altri per andare a risolvere dei problemi trovando somiglianze. Non credo sia così diverso da quello che succede a tutti noi a partire dalla nascita.

Nell’immaginario del disco questa intelligenza artificiale ha preso il nome di J.B. ed ha partecipato non solo alla creazione dell’artwork ma anche a livello musicale.

Il pezzo J.B. infatti è un suo “ritratto sonoro”, totalmente composto con pattern pseudo-casuali che mi piace associare a questa fantomatica intelligenza artificiale.

 

Sono un’amante dei libri e leggendo i tuoi testi non ho potuto fare a meno di notare che scrivi veramente bene. Mi sembri una persona molto empatica, una di quelle che sentono sulla propria pelle con grande intensità tutto ciò che gli accade attorno e poi, attraverso l’arte, cercano di dare un senso alle cose e, allo stesso tempo, di placare e dare voce al proprio tormento interiore. La mia sensazione è giusta?

Nella musica ho sempre trovato il mio linguaggio, un modo per esprimermi e dialogare con gli altri ma anche con me stesso.

Mi sento molto vicino a quello che leggo in questa domanda. Spesso sono semplicemente sopraffatto da quello che mi circonda, dalle piccole cose quotidiane così come da temi molto più importanti. Devo dire che vivo molto male soprattutto quando noto, da parte di altre persone, approcci alla vita, alla moda, l’arte o banalmente alla routine quotidiana, molto diversi dai miei, a volte, per me, senza senso. Provo sempre ad immedesimarmi negli altri ma spesso non capisco, non riesco a farlo totalmente o ad avere un dialogo costruttivo.

La musica, scrivere e comporre, mi aiuta anche in questo. Mettere ordine, farmi domande, a volte suggerire anche delle risposte ma soprattutto fare un altro passo in avanti in un percorso di crescita personale, provare a capire sempre di più cosa mi circonda ed il mio approccio al mondo e condividerlo con chi ha voglia di conoscerlo e lasciarsi andare.

 

Il tuo disco mi ha conquistata fin dalle prime note, ed è stato un crescendo. Trovo la tua voce calda, accogliente e rasserenante. Hai un modo genuino di “raccontare” le cose. Amo tutti i tuoi pezzi, ma ce n’è uno che mi sono ritrovata ad ascoltare in loop, e sto parlando di “Me and my army”. Puoi raccontarmi qualcosa in più su com’è nato?

Grazie! Me and my army è nata da una suggestione suggeritami dal pezzo “You and whose army” dei Radiohead. Thom Yorke in realtà, a quanto ho letto, aveva scritto quel pezzo direttamente contro una persona. Ma quel titolo mi aveva creato un’immagine in testa. Mi sentivo di poter far parte di un’armata che intendesse la musica, l’arte, il mondo un po’ come lo intendo io. Volevo provare a raccogliere queste persone in un movimento che risvegliasse un approccio che forse ci stiamo perdendo un po’ per strada.

 

C’è un altro pezzo che mi emoziona moltissimo, “The swarm”. La tua voce, accompagnata dal suono dolce della chitarra, sembra quasi una carezza. È struggente. E c’è un passaggio in cui ti chiedi “Am I human?”. Cosa significa per te “essere umano”?

Potrei parlare ore riguardo al concetto di “essere umano” ma solo in un contesto condiviso. Mi risulta abbastanza difficile scriverlo qua senza avere un dialogo interattivo.

E anche questo credo faccia parte di quello che considero essere umani. Forse potrei riassumerlo con: farsi domande.

 

 

Tra tutte le canzoni contenute nel tuo disco, ce n’è una che ti sta particolarmente a cuore? Se sì, quale e perché?

Ti direi “Ruins of gold” per come è nata, sottovoce, tutto storto, chitarra e voce davanti a un microfono. Mi ci sono divertito molto ad arrangiarla con tutti quei glitch e interventi casuali del beat repeater sui vari strumenti.

Sono molto legato anche a “Unplease me” e “What about us” perchè, per la prima volta nella mia vita, ho arrangiato e cantato testi scritti da un’altra persona. E quanto li sento miei! (questa persona è Michele Mingrone)

 

Quanto c’è di te in questo disco, del tuo vissuto e di tutto ciò che racconti attraverso i tuoi testi?

Direi che ogni cosa che scrivo nasce assolutamente dal mio vissuto o dalle domande che mi frullano in testa in quel periodo. A volte nascono dal nulla già completi, a volte solo in forma di frasi disconnesse.

Mi capita spesso, in realtà, di ritrovarmi davanti ad un testo e rileggermelo, ricantarlo e approfondire per trovarci magari significati o emozioni diverse da quelle pensate inizialmente. In questo, i pezzi che scrivo, non solo nascono dal mio vissuto, ne fanno parte.

 

Cosa nutre la tua ispirazione? Ci sono prima le parole o la musica? Ci sono altre forme d’arte che ami oltre alla musica?

Totalmente random vale come risposta? Nel senso, non ho un “metodo” preciso per comporre. A volte un pezzo nasce da una suggestione, da un film, da un evento particolare nella mia vita, può nascere anche dalla noia. Capita che mi vengano in mente dei testi già praticamente pronti e che poi li metta in musica, o delle frasi, immagini, che poi assemblo in canzone. Capita a volte, invece, che il testo nasca dopo la musica e sia quindi lui a seguire il mood (ad esempio "Lover", prima di tutto è nato il giro finale di chitarra che, nella primissima versione, doveva essere un ritornello).

Capita anche di partire da musica e cantato in finto inglese brocciolato per poi scriverci sopra il testo (magari in italiano).

Mi piace mantenere questo approccio molto libero e spontaneo senza avere strutture rigide. Nasce tutto fondamentalmente da chitarra o pianoforte, ma a volte mi è capitato di veder nascere l’idea di un pezzo anche dal basso o dalla batteria.

Tutto ciò che porta alla creazione di qualcosa mi affascina, che sia una “forma d’arte” classica o quello che chiamiamo più comunemente artigianato.

 

Ho fatto ascoltare il tuo disco a un amico, senza svelargli che sei italiano. Quando gliel’ho detto, non voleva crederci, mi ha guardata a bocca aperta per una manciata di secondi. E in effetti, penso che questo sia un altro punto di forza del tuo lavoro e della sincerità che si respira. Si sente che sei totalmente a tuo agio, e non è affatto scontato. Come mai hai scelto l’inglese per raccontare le tue storie?

Diciamo che non l’ho “scelto consapevolmente”. Scrivo sia in inglese che in italiano, le metriche sono diverse, la mia voce è diversa, mi piace sentire come cambia l’approccio cambiando la lingua. Quando mi sono reso conto che Me and my army doveva diventare un disco, c’erano già 4 o 5 provini, erano nati tutti in inglese e in quel momento mi sentivo di continuare in quella direzione.

Vorrei dirti che questa è stata una scelta ponderata per abbattere le frontiere italiane e portare la mia musica all’estero ma non è stato così. Anzi, a dirla tutta, quando parlai con un mio amico discografico della mia intenzione di continuare con il disco tutto in inglese, lui mi disse che sarebbe stato un grandissimo errore perché dovevo continuare ad affermare quello che avevo creato con il primo disco in italiano (Annie), la mia immagine di cantautore italiano. Quell’affermazione, se possibile, mi convinse ancora di più che era giusto seguire la mia intenzione iniziale.

Questa cosa del “sentirmi a mio agio” mi fa estremamente piacere! Credo che ogni cosa, se fatta con un certo approccio, possa avere questo risultato.

Si tratta di essere credibili, con se stessi e con gli altri. Il modo migliore per essere credibili al 100% è semplicemente essere se stessi, per come si è in quel preciso istante.

 

Stai pensando a un tour per promuovere il tuo disco? Se sì, vuoi segnalarci qualche data?

Diciamo più che sto “sperando” ad un tour per promuovere il disco. Per adesso abbiamo fatto 5 bellissime presentazioni da quando è uscito il disco: al Monk in apertura a Nada, a Torino con Alessandro Fiori, dagli amici di Riserva Indie con un mini-live in radio, a Lo Spazio a Pistoia, dall’amico Mauro, tutto in acustico e la presentazione “vera e propria” al Circolo Progresso di Firenze il 23 dicembre.

“Sto sperando a un tour” dicevo… Sì, perché trovare date è difficile. Come è difficile, quasi impossibile, trovare un booking che voglia collaborare con una realtà così piccola, quindi stiamo facendo il possibile per arrangiarci da soli, io e le etichette che lavorano con me sul progetto.

Stiamo comunque lavorando per trovare altre date che spero di poter annunciare a breve!

 

Caro Fabio, grazie mille per la tua disponibilità. Ti faccio un grandissimo in bocca al lupo per Me and my army. Per tutto ciò che verrà e, naturalmente, per tutto ciò che ti sta più a cuore.

Grazie mille a te per questa bellissima intervista! Speriamo di poterci beccare in giro una volta!