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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
06/12/2024
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con… Are You Real?
Dopo un silenzio durato cinque anni è tornato AYR?, un artista che, attraverso la sua musica, dà vita a un viaggio nell’immaginario. Mai come in questo caso, si tratta di un viaggio multidimensionale. "Unicorn", infatti, è una fiaba urbana caratterizzata da sonorità dream pop e glitch, uscito come singolo, video d’animazione e silent book. Ne parliamo direttamente con l'autore.

Secondo Freud i sogni rappresentano una proiezione del nostro inconscio, vale a dire di tutti quegli stati d’animo, desideri e paure che il nostro io razionale fatica o non vuole vedere, e di conseguenza accettare. E infatti, ne L’interpretazione dei sogni, scriveva che "Il sogno è un fenomeno psichico pienamente valido e precisamente l’appagamento di un desiderio".

Anche i surrealisti, rifacendosi alle teorie del noto psicoanalista, vedevano nella rappresentazione artistica del sogno una via d’uscita rispetto a una realtà che fagocita senza lasciare via di scampo. Così, attraverso quelli che, spesso e volentieri, sembrano veri e propri film, all’apparenza privi di senso, diretti da chissà quale registra bislacco, il sogno ci lancia messaggi, ci mette in guardia, ci parla, portandoci, quantomeno, a porci la fatidica domanda: “chissà che cosa significa”.

Ed è proprio in questo modo che i sogni tentano di aprirsi un varco dentro di noi, di attirare la nostra attenzione e cercare di creare un canale di comunicazione che coinvolga non solo il nostro io razionale e quello irrazionale ma, ricorrendo alla metafora di Gurdjieff, anche tutta la nostra carrozza.

Gurdjieff, attraverso l’immagine della carrozza, ha rappresentato l’essere umano dormiente, quello che non decide la direzione della propria vita ma ne è succube, perché totalmente schiacciato e influenzato dagli eventi, incapace di opporvisi. La carrozza, nello specifico, rappresenta il corpo che viene trainato da cavalli, spesso imbizzarriti, vale a dire le nostre emozioni (istinti, desideri, pulsioni, rabbia), il cocchiere è la mente (il nostro io più razionale), e il (povero) passeggero è la nostra anima, sempre più bistrattata e inascoltata.

In questo presente che corre sempre più veloce, in cui sembra non esserci più posto per i desideri, si fa sempre più fatica ad ascoltarsi, a guardarsi dentro e comprendersi per ciò che si è davvero. La nostra anima urla, ma non riesce a farsi sentire, perché il rumore in cui siamo immersi sovrasta tutto e i doveri, sempre più pressanti, ci cingono mani e piedi, spingendoci ad abbracciare, per forza di cose, una vita fatta esclusivamente di concretezza e materialità, a discapito della bellezza, della riflessione, dell’introspezione e dei sogni che, in realtà, non dovremmo tenere rinchiusi in un cassetto, ma sempre in bella vista, su mensole, costantemente sotto i nostri occhi, così da nutrirli e prendercene cura. Dovrebbero stare accanto a tutte le cose più care che abbiamo, che ci definiscono, ci danno un senso e rendono questa vita, breve o lunga che sia, degna di essere vissuta.

 

Andrea Liuzza però, classe 1983, in arte AYR? (Are You Real?), dimostra di andare controcorrente. E infatti, questa lunga premessa che, all’apparenza, sembrerebbe non avere alcuna attinenza con la musica, in realtà ce l’ha eccome, perché il suo ultimo e ispiratissimo lavoro nasce proprio grazie a un sogno.

Un sogno che, dopo cinque lunghi anni di silenzio, ha smosso l’inconscio di questo artista poliedrico (musicista, compositore, cantante, produttore e video-maker), portandolo a rimettersi dietro un microfono per dare alla luce "Unicorn", che non è “semplicemente” una bella canzone, ma un progetto molto più articolato, che comprende un video d’animazione e un silent book. Una vera e propria fiaba urbana o, per come la vedo io, una fiaba in musica.

La sensazione che si prova, lasciando partire in cuffia "Unicorn", è proprio quella di ritrovarsi in un mondo ovattato e fantastico, dove tutto, attorno, sembra non avere più alcun peso. Il testo è semplice, pulito, e apre la mente all’immaginazione. Il suono è suggestivo, delicato, ipnotico. Le voci di AYR? e quella soave di Gintsugi si rincorrono e ci si sente leggeri e liberi. Sereni. Ed è proprio con questo spirito leggero e sognante che voglio dare il benvenuto ad Andrea Liuzza.

 

 

Ciao Andrea, benvenuto su Loudd, sono felicissima di poter scambiare due chiacchiere con te e di scoprire qualcosa in più sul tuo ultimo progetto

Ciao Mary, grazie mille. Sono felice anch’io che Loudd dedichi attenzione a progetti non famosi, come il mio.

 

Come dicevo poco più su, sei un artista poliedrico: musicista, cantante, produttore (la tua etichetta discografica indipendente è la Beautiful Losers) e video-maker. Sei anche uno che va controcorrente: in un’epoca in cui (quasi) tutti sono affetti da manie di protagonismo e presenzialismo, tu hai deciso di “scomparire” per cinque lunghi anni. Come mai?

Penso che scomparire sia uno dei superpoteri migliori. Sottrarsi allo sguardo degli altri ti permette di ritrovare la tua libertà quando ne hai bisogno. Ma c’è anche un’altra ragione. Tre anni fa è nato mio figlio, quindi volevo stare con lui e la mia compagna.

 

Durante questi anni di silenzio, non te ne sei stato con le mani in mano, hai fatto cose importanti, e mi riferisco alla produzione di dischi e video per molti artisti, alcuni dei quali, tra l’altro, abbiamo già avuto il piacere di ospitarli tra le pagine di Loudd, e mi riferisco a RosGos, Capitano Merletti, Phomea e Gintsugi. In quali panni ti senti più a tuo agio? In quelli di produttore o cantante? E soprattutto, a livello emotivo, cosa cambia?

Fare il produttore è più facile. Mi affido alla mia cultura e alla mia intuizione. Generalmente riesco a collaborare molto bene con gli artisti. Invece per essere un artista devo cercare di dimenticare tutto quello che so e scoprire qualcosa di nuovo. Non sempre ci riesco.

 

Che valore hanno per te i sogni? E non mi riferisco solo a quelli del mondo onirico, ma soprattutto a quelli che fai a occhi aperti. Ai sogni intesi come desideri. Sei uno che ci crede? Oggi qual è, se ce l’hai, il sogno che se ne sta ancora lì, in attesa di essere realizzato?

Per me i sogni non sono desideri. Sono una dimensione della realtà diversa da quella concreta. Ne ho assoluto bisogno, fin da piccolo vivo con un piede di qua e un piede di là.  Invece ai desideri non do troppo credito, vanno e vengono.

 

"Unicorn" nasce proprio grazie a un sogno. Ce lo vuoi raccontare? Sei riuscito, in qualche modo, a decifrarlo e ad attribuirgli un senso più razionale e concreto?

Ho visto questo unicorno in mezzo al traffico. Associo l’unicorno al mondo delle fiabe e dell’infanzia, alla magia. Erra come se un pezzo di quel mondo si fosse rotto e fosse caduto nel nostro. In una delle situazioni quotidiane meno magiche in assoluto, stare bloccati nel traffico. Poi ho sovrapposto altre immagini, cercando di non razionalizzare troppo. Mi sorprendono i commenti che sto ricevendo perché molte persone la stanno interpretando meglio di me. Una ragazza ha detto “parli della magia ferita del nostro tempo”. La mia compagna mi ha detto che l’unicorno ferito che si illumina, alla fine, ricorda il celebre verso di Cohen “there is a crack in everything / that’s how the light gets in”. Ho avuto un brivido perché è così, e non ci avevo realmente pensato.

 

Per riuscire a diventare musicista, anche tu, come molti, hai dovuto scontrarti con un contesto fatto di razionalità e pregiudizi rispetto a quella che è una professione considerata, da molti, come un gioco? Come un qualcosa che “non ti dà da campare”?

Non avrei mai sperato potesse diventare la mia professione. Invece ora vivo come produttore. Sono stato molto fortunato. Ma credo anche che, quando trovi la tua strada, la cosa che sai fare davvero bene, e insisti, prima o poi le circostanze ti aiutino a farcela.

 

Com’è stato tornare a pubblicare qualcosa di tuo, dopo tutto questo tempo?

Sono felice dell’affetto con cui chi mi segue ha accolto il progetto. È molto difficile invece confrontarsi col mondo della grande stampa, delle playlist. Lì domina l’hype e non è una battaglia che mi va di combattere.

 

Quello di "Unicorn" è un vero e proprio progetto, in quanto oltre al singolo, dove troviamo Gintsugi come seconda voce, hai dato vita anche a un video e a un silent book, attraverso cui, grazie alle splendide illustrazioni di Riccardo Ambrosi, il tuo sogno, fotogramma dopo fotogramma, disegno dopo disegno, prende vita. Ho avuto modo di vedere alcune delle immagini contenute in questo libro, e devo ammettere di essere rimasta molto colpita dall’estetica. Puoi raccontarci qualcosa in più a riguardo?

Lascerei la parola a Riccardo.

Riccardo: Con Andrea abbiamo lavorato alla stesura dello storyboard decidendo inquadrature, palette e atmosfere. Ho poi realizzato su carta tutti i fotogrammi. È stato un processo lungo ma incredibilmente bello. Mi sono servito di strumenti come grafite, gessi e acrilici, ma anche grasso per motori, materiale a me molto caro. Tra le centinaia di frames ne abbiamo selezionati alcuni per il libro, in cui le immagini statiche si susseguono in silenzio per terminare con il testo del singolo.

 

Sei un esperto di musica, seguo sempre con molto piacere il tuo podcast su YouTube “Contro la musica di plastica”. Quando e come hai cominciato a fare musica, quali sono stati e quali sono i tuoi riferimenti musicali? Cosa ami e cosa odi dello scenario musicale odierno?

Ci sono artisti che mi porto dietro da una vita e mi hanno influenzato a ogni livello, per l’attitudine prima che per il sound: i Microphones, Lisa Germano, Sinéad O’Connor. Più recentemente, mi sono sentito influenzato dal dream pop, dal post rock e dall’elettronica. Dello scenario odierno odio l’hype, che con i social è diventato ancora più tossico.

 

Un’ultima domanda, ma sono davvero curiosa. A proposito del tuo nome d’arte “Are You Real?”, quando lo hai scelto, a cosa pensavi? A me sembra una di quelle domande che mi pongo spesso, quando mi ritrovo dinnanzi a tutte quelle cose o eventi che sono troppo belli o troppo brutti per essere veri… E allora mi interrogo, in senso retorico, chiedendomi se siano reali o meno.

La frase è una battuta de La leggenda del re pescatore di Terry Gilliam. Lei chiede a lui se è reale, perché non crede che una cosa così bella possa esistere. Quindi sì, il senso è proprio quello che dici tu. Alla fine, è quello che ti chiederesti di fronte ad un unicorno…

 

Caro Andrea, grazie di cuore per la pazienza e la disponibilità, ti ho tartassato, lo so, ma sono certa che i nostri lettori saranno felici di leggerti e scoprire qualcosa in più su di te e sul tuo mondo. 

 

Unicorn, il libro illustrato stampato in un’elegante edizione numerata, potete trovarlo presso il sito dell’etichetta Beautiful Losers.

https://www.beautifullosers.net/