Il Tener-a-mente è senza dubbio una delle rassegne concertistiche più suggestive d’Italia. Si tiene all’interno del Vittoriale degli Italiani, la residenza a Gardone di Riviera, che lo stato italiano donò a Gabriele D’Annunzio e che lui allestì come una sorta di museo che ne glorificasse vita e opere. All’interno di un piccolo teatro all’aperto da 1400 posti, scenograficamente collocato in modo tale che gli spettatori godano di una meravigliosa vista sul lago di Garda, nel mese di luglio si susseguono circa una quindicina di esibizioni; spesso si tratta di nomi internazionali, ma ogni anno arrivano anche alcuni tra i più significativi artisti del nostro paese. Al di là della validità della proposta, che vede coinvolti act di sicuro prestigio e che spazia tra generi diversi, a costituire molto di più di un valore aggiunto è la location, senza dubbio tra le migliori in Europa per quanto riguarda la musica dal vivo.
In attesa della serata inaugurale, che avrà come protagonista Mannarino e si terrà l’1 luglio, abbiamo fatto due chiacchiere col direttore artistico Viola Costa, che oltre a segnalarci alcuni degli appuntamenti da non perdere, ha evidenziato i punti di forza di questa rassegna, anche alla luce del complicato contesto della musica dal vivo in Italia.
Come al solito anche quest’anno avete messo insieme un cartellone di tutto rispetto, tra nomi italiani e internazionali. Ce n’è qualcuno di cui andate particolarmente fieri? Qualcuno che avete sempre pensato di portare ma che non eravate mai riusciti ad avere?
Ce ne sono due o tre che inseguivamo da tempo. Quello più eclatante è sicuramente Herbie Hancock, che non è più un ragazzino, e non era quindi scontato che dopo aver cancellato il tour del 2020 e aver rimborsato i biglietti, si riuscisse a recuperare. Con molta serietà da parte sua, oserei dire, sapendo appunto di non essere giovane, aveva preferito restituire i soldi al pubblico, per cui mi fa davvero piacere che sia riuscito a riprogrammare le date, così che ci sarà la possibilità di vedere sul nostro palco l’ultimo elemento ancora in vita della band di Miles Davis, un pezzo della storia del Jazz, dunque.
Ricordo tra l’altro che Tener-a-mente nasce da una settimana Jazz al Vittoriale nel 2010, diciamo che questa è la sua vocazione originaria. Dopodiché ci sono due momenti legati al Pop, di due artisti a cui stiamo dietro da diverso tempo: uno è Hozier, alla sua unica data italiana quest’anno, che è andata sold out in pochissimo tempo; è da diversi anni che volevamo averlo con noi ma non c’era mai la coincidenza esatta dei periodi: lavorando tanto con gli internazionali, dobbiamo ovviamente riuscire ad incastrarci con le loro disponibilità. E l’altro è Damien Rice, uno di quelli che ci sarebbe piaciuto ospitare sin dalla prima edizione. È un po’ sovradimensionato per il Vittoriale, di solito ha platee molto più ampie di quelle che il nostro piccolo teatro consente; quest’anno però ha programmato un tour importante, con tante date, di conseguenza ha la possibilità di suonare anche da noi, che tra parentesi è il posto perfetto per il suo tipo di sonorità. Saranno due concerti molto intimi, di due piccoli gioielli e sono oltretutto uno dopo l’altro, si tratterà di una bella infilata!
Sul fronte dei nomi storici, invece, ho trovato molto interessante la scelta di chiamare Nick Mason, che coi suoi A Saurceful of Secrets ha forse dato vita ad uno dei tributi ad una “leggenda del rock” tra i più intelligenti che ci siano in giro.
Trovo che anche quello di Stewart Copeland, che si esibirà la sera prima, lo sia. È vero che dei Police c’è in giro ancora Sting, però l’anima musicale della band parte da lui, sarà sicuramente un bellissimo appuntamento. Senza dubbio sarà anche interessante a livello creativo, perché si tratta di una rivisitazione dei pezzi principali dei Police, quello di Nick Mason sarà più fedele alla band originaria. Stiamo comunque parlando di due giganti.
Credo poi che un altro artista su cui abbiamo puntato con coraggio, perché è molto più famoso in Italia che all’estero, sia Nils Fraham: grandissimo pianista, grande inventiva, gusto neoclassico ma allo stesso tempo moderno; senza dubbio è il concerto perfetto per noi, anche se in Italia non è ancora conosciutissimo. È chiaro che se parli con me sono tutti figli di mamma, è difficile scegliere. Per esempio il 23 luglio ci sarà Jacob Collier, che ha cinque Grammy in bacheca, un talento pazzesco, e che non ho mai visto dal vivo per cui anche da lui mi aspetto grandi cose.
Vedo anche che, dopo Frah Quintale nel 2021, quest’anno avete chiamato Venerus: avete quindi tenuto ancora una volta presente la quota giovane e, oltretutto, in lui si sposano due anime perché è vero che proviene dalla scena Urban, però alcune delle caratteristiche della sua proposta lo avvicinano a molti degli artisti che nominavi prima.
Hai citato giustamente Frah Quintale: quella è stata un’edizione sui generis, eravamo a ranghi ridotti, abbiamo chiamato quasi solo artisti italiani. Adesso siamo tornati alla nostra vocazione originaria, che è prevalentemente internazionale, però c’è sempre il desiderio di tenere d’occhio la scena indipendente italiana, ovviamente chiamando artisti che siano in armonia col contesto generale; in questo senso hai ragione su Venerus, anche da lui mi aspetto un concerto di alta qualità.
L’anno scorso purtroppo non sono riuscito a venire. Ti chiederei dunque un piccolo bilancio su com’è andata, anche in rapporto all’edizione precedente, così particolare nel suo svolgimento.
Innanzitutto ti dico che dobbiamo essere veramente grati, oltre alla Fondazione Vittoriale degli Italiani che ci ospita, anche al Comune di Gardone Riviera, che soprattutto nel 2021 ci permise letteralmente di salvare il festival. Fu comunque una stagione tutta italiana, a parte Patti Smith e Robben Ford, che però ha rispecchiato bene l’identità del festival. Lì ci aprimmo, con risultati molto positivi, alla scena indipendente, con una rassegna speciale all’interno del festival intitolata “Indicativamente”, che ci permise di dare spazio ad artisti di quella scena musicale, alcuni dei quali avevano probabilmente anche bisogno di quel tipo di dimensione, e che in generale ci hanno permesso la soddisfazione di vedere che, nonostante le difficoltà geografiche, il Vittoriale si è aperto ai giovanissimi: con Frah Quintale per la prima volta sono arrivati i minorenni, che per ragioni logistiche devono per forza venire accompagnati dai genitori. L’anno scorso invece abbiamo avuto finalmente un’edizione tornata alla sua identità originaria. È stato bellissimo e mi sembra che il pubblico, così come non ci ha mai fatto mancare il suo affetto nel 2021, sia tornato molto in fretta a sostenerci e a partecipare.
Mi spieghi meglio?
Il 2021 è stato un anno particolare: pochissimi posti sono riusciti a mantenere una propria rassegna, per cui l’impressione che ho avuto è che gli eventi che abbiamo organizzato abbiano visto la partecipazione soprattutto di quelle persone che magari erano estranee al nostro contesto ma che avevano voglia di musica dal vivo in generale. Nel 2022 invece ho avuto la sensazione che il nostro pubblico abituale sia tornato in massa. E questo nonostante la sovrabbondanza dell’offerta estiva. Non è banale per noi, se pensi che teatri e cinema nella maggior parte dei casi non sono riusciti a riprendere come prima.
Ma non è che forse la vostra fortuna sta nella location? In più, con tutti gli stranieri che sono lì in vacanza, potreste avere la possibilità di guadagnare un bacino d’utenza più ampio.
Temo di no, perché il pubblico internazionale non supera il 10%. Arriva sì da diversi paesi, ma non dai turisti. Anzi, succede il contrario: gente che vive all’estero e che avrebbe voglia di fare un viaggio in Italia, quando inizia a programmarlo prova a vedere quello che di interessante succederà e allora ci chiede consigli su dove dormire e su cosa vedere. Però si fermano un giorno, non c’è nessun travaso tra i turisti e il festival, per ragioni che adesso non ci interessa sviscerare. Però è vero che abbiamo la fortuna di avere una location meravigliosa, per cui aggiungendo bellezza alla bellezza dei concerti, il pubblico degli appassionati riconosce quella come una situazione ideale per ascoltare i propri beniamini. Di conseguenza negli anni abbiamo creato un pubblico composto interamente dai fan dell’artista. Che può essere un punto di forza ma anche una debolezza: non abbiamo un pubblico fidelizzato a prescindere, che viene perché il brand Tener-a-mente garantisce artisti di qualità. Raggiungiamo sempre il pubblico degli artisti, che è disposto a raggiungerci un po’ da ogni parte e che, anzi, a volte ci sceglie nonostante ci siano anche date più vicine a loro, proprio perché la fruizione del contesto è un valore aggiunto.
Forse la fidelizzazione del pubblico potrebbe essere realizzata creando un vero e proprio festival: se ci fosse un evento su più giorni con un biglietto unico, questo potrebbe attirare un pubblico più variegato, che ne pensi?
Assolutamente sì, infatti ci stiamo lavorando da parecchi anni, già da prima della pandemia. Per la prossima edizione ci stiamo concentrando su un’edizione focalizzata su un genere particolare, non ti racconto tutto per scaramanzia, non è detto che ce la faremo. Il problema vero per quello che dici è che bisognerebbe avere una situazione con tanti palchi e con grandissime capienze, noi queste cose non ce le abbiamo. Quindi o troviamo degli sponsor, dei contributi che permettano di coprire parte dei costi, oppure il pubblico dovrebbe pagare biglietti troppo alti, non in linea coi festival europei. Tieni conto che Tener-a-mente si regge al 90% sulla vendita dei biglietti.
Ed è quindi ancora più importante far notare come, in un’epoca in cui i biglietti dei concerti non sono mai stati così cari, voi stiate riuscendo a contenere i costi in maniera eccellente.
Ti ringrazio, per noi questo è un equilibrio delicatissimo. Anche noi abbiamo dovuto alzare i prezzi, ovviamente, per cui c’è gente che si lamenta, però è anche vero che cerchiamo di non superare mai una certa soglia, di tenere prezzi che siano sensati per quel musicista nello specifico. E poi bisogna considerare anche che, essendo in un teatro, non possiamo fare servizio bar, cosa che per molti organizzatori rappresenta un’entrata non indifferente. Di conseguenza per noi è ancora più complicato, ed è un ulteriore fattore che dimostra come tutti noi facciamo quello che facciamo perché mossi da una grandissima passione, altrimenti non sarebbe possibile.
Beh, siamo in Italia, la gente si lamenta a prescindere! Detto questo, è indubbio che un concerto da voi costi molto meno di uno all’ippodromo di San Siro e rappresenti un’esperienza di godibilità decisamente diversa.
Certo! Tieni anche presente che da noi anche il settore più economico, che è quello delle gradinate non numerate, considerato in genere il più infelice, è comunque a 15 metri dal palco: è quasi come avere un musicista nel salotto di casa, è evidente che cambi completamente la percezione dello spettacolo!
Uno dei tratti più celebri del vostro teatro è che la luna splende proprio sopra il palco, costituendo uno spettacolare valore aggiunto. Tanto è vero che di solito, per creare aspettativa, indicate, accanto alla data di ciascun concerto, anche la fase della luna che ci sarà quel giorno. Purtroppo ho visto che quest’anno non siete riusciti ad organizzare niente quando la luna sarà piena: è per via del problema degli incastri di cui si parlava prima?
Esattamente. Non riusciamo a pianificare i concerti sulla base delle fasi lunari, di solito una volta incastrata la data andiamo ad indicare la fase di riferimento, perché in ogni caso, che sia anche solo una falce o una metà, è comunque uno spettacolo. L’unico delitto è in quelle rare occasioni in cui c’è luna nuova, che lì ci dispiace davvero, ancora più dell’assenza della luna piena.