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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
07/02/2024
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Six Impossible Things
Sfruttando una serata live all’Agorà di Cusano Milanino abbiamo avuto modo di intervistare i Six Impossible Things, tra chiacchiere a proposito di dream pop, di "Alice attraverso lo specchio" di Lewis Carroll e di controverse opere di Damien Hirst. Cosa ne è venuto fuori? Venite a scoprirlo.

A cavallo della fine/inizio di ogni anno ci si accorge sempre di non aver dedicato del tempo a dei dischi/gruppi che hanno prodotto qualcosa di interessante nel corso dell’anno passato. Poiché le esigenze redazionali sono “tiranniche”, si corre sempre il rischio di aver lasciato indietro qualcosa o qualcuno che invece avrebbe meritato più attenzione.

Quindi, visto che Loudd ha interesse a proporre al proprio pubblico ciò che in ogni caso vale “la pena” di un ascolto, eccoci qui con Six Impossible Things, un gruppo di Lodi composto da Nicky Fodritto e Lorenzo Di Girolamo, i quali, sul finire dello scorso anno, hanno licenziato un bel mini LP: The physical impossibility of death in the mind of someone living che, come leggerete nell’intervista, ha una storia particolare.

 

Sfruttando una serata live all’Agorà di Cusano Milanino, ecco una breve intervista che abbiamo avuto modo di fare loro, con una notazione che, sinceramente, ad una prima riflessione, mi era sfuggita.

Come potrete leggere nella risposta alla prima domanda, Nicky indica come il nome del gruppo arrivi da Through the looking glass di Lewis Carroll (ovvero il proseguo di Alice nel paese delle meraviglie, dal titolo originale Through the Looking-Glass, and What Alice Found There), comunemente abbreviato in Alice attraverso lo specchio (Alice Through the Looking-Glass) o semplicemente Attraverso lo specchio (Through the Looking-Glass).

Mi è quindi tornato alla mente come anche uno tra i più grandi gruppi iconici della darkwave, Siouxsie and the Banshees, sia stato fortemente ispirato dall’opera di Lewis Carroll, sia nella denominazione della propria etichetta personale (Wonderland), sia nell’album di cover pubblicato nel 1987, Through the lookin glass.

 

***

 

Ciao, piacere di conoscervi, prima di tutto vi chiedo una breve presentazione su chi sono i Six Impossible Things e da dove deriva questo moniker particolare. Inoltre, mi pare che per questo ultimo disco la band da un duo si sia allargata, volete illustrare il perché di questa scelta?

Nicky: Ciao Stefano, piacere nostro. I SIT nascono nel 2014 grazie ad amici in comune, all’epoca frequentavamo ambienti diversi, Lorenzo veniva dal punk hardcore mentre io, appassionata di musica country, ascoltavo soltanto Loretta Lynn e Shania Twain. Ci siamo trovati da subito e da lì a poco abbiamo registrato le prime demo.

Riguardo al nome, arriva da Through the Looking Glass di Lewis Carroll (“sometimes I've believed as many as six impossible things before breakfast”). I primi due EP (I Tried To Run Away From Here e Sometimes You Fall Asleep In Front of Me) li abbiamo registrati con l’intenzione di suonarli dal vivo esattamente come erano su disco, mentre durante il processo creativo del terzo EP abbiamo sentito la necessità di inserire degli elementi in più nei brani e quindi abbiamo iniziato a pensare seriamente di allargare anche la nostra formazione dal vivo.

Ci siamo presi del tempo, abbiamo registrato delle demo full band e di lì a poco si sono aggiunti Enrico (basso) e Andrea (batteria). Andrea ha provato con noi per un annetto e ha registrato le batterie del disco, purtroppo però le nostre strade si sono separate prima di iniziare a suonare dal vivo. A settembre, ad un mese dal release party, si è unito a noi Emanuele. Sono molto contenta di questo cambiamento, è bello andare in giro con i ragazzi. 

 

Il vostro ultimo disco, The physical impossibility of death in the mind of someone living, mi è molto piaciuto. Sinceramente un brano come “Lemme give your heart a break” non sfigurerebbe in una chart list di molti gruppi (anche più acclamati) catalogabili sotto il cosiddetto genere “dream pop”; vi sentite di appartenere a tale ambiente, oppure ritenete che sotto e al di là di ogni tipo di classificazione (comunque in un qualche modo utile e necessaria) vi sia qualcosa di più?

Nicky: Innanzitutto grazie per il complimento, ci fa molto piacere che il brano ti sia piaciuto. Sicuramente sentiamo che il dream-pop è il genere a cui siamo più vicini, ma entrambi abbiamo degli ascolti abbastanza ampi, che ci permettono di dare diverse sfumature ai pezzi e di non avere un’etichetta precisa.

Sono molto fan di artisti come Slowdive, Beach House e Cocteau Twins, ma allo stesso tempo mi fanno impazzire band come Joy Division e Deafheaven o artisti come Lana Del Rey ed Ethel Cain; penso che sia inevitabile che durante la scrittura e l’arrangiamento di una canzone escano, in maniera naturale, tutti i nostri ascolti.

 

Sempre in riferimento a questo pezzo, ho letto che Nicky ha fatto riferimento ad esperienze di ansia avute durante il periodo del Covid. Mi ha molto colpito questo riferimento, mi pare infatti che, seppur nella drammaticità e del grande dolore e smarrimento di quel periodo, lo stesso avrebbe potuto essere un momento per “ricentrare” la propria esperienza, valorizzando l”essenziale” e lasciando perdere gli inutili orpelli che legano la quotidianità delle nostre vite. Purtroppo, invece, ritengo che, in generale, da questo punto di vista sia stata una occasione persa e sia subentrato in moltissimi lo stato d’animo di dire è tutto passato, ripartiamo come se nulla fosse, ma così facendo, abbiamo forse perso un’occasione?

Nicky: Ho vissuto il Covid con sentimenti sempre contrastanti. Percepivo del vuoto dentro di me se pensavo alla band, ci sono state cancellate tante date e un tour in Canada. Sentivo la mancanza dei concerti live, degli amici e il fatto di non sapere se prima o poi tutto sarebbe tornato come prima generava in me una grandissima ansia.

Allo stesso tempo con i SIT arrivavamo da un periodo pieno di date, la vita correva e ogni tanto mi sembrava di non riuscire a starle dietro. Avevo perso i momenti per pensare solo a me stessa perché troppo presa da tutto il resto. Il covid mi ha obbligata a fermarmi, a riflettere, ad avere tempo per godermi le cose che avevo perso per strada.

Durante il lockdown penso di aver ritrovato me stessa, sono riuscita a fare i conti con tutte le emozioni negative che stavo provando semplicemente mettendomi al pianoforte a scrivere. Sia io che Lorenzo abbiamo avuto modo di dedicare moltissimo tempo alla scrittura del disco nuovo ed è stata per noi una fortuna il fatto di poterlo fare. Non è mai facile pensare al passato ma penso di non aver perso la mia occasione questa volta.

 

Ritornando alle vostre precedenti pubblicazioni, ho notato una maggiore cura e anche una crescita in tema di scrittura, ad esempio “Twenty something”, è un altro pezzo che denota una trama musicale più “stratificata” rispetto ai due precedenti album. Sonoricamente ci trovo una chitarra più aggressiva rispetto agli altri pezzi dell’EP. Mi ha colpito anche il testo molto personale, stupendomi anche un po’, di solito questi sguardi retrospettivi si affrontano anagraficamente un poco più in là, qual è la fonte di ispirazione di un brano così?

Lorenzo: ti ringrazio. Quando ho iniziato a scrivere “Twenty Something” non ero consapevole del fatto che stavo scrivendo un pezzo che parlasse dei miei 20 anni. Avevo scritto la prima strofa già qualche anno fa, ma quando sono tornato a lavorarci per completarla in modo tale da poterla inserire in questo nuovo EP mi sono reso conto che, per la prima volta in vita mia, non stavo parlando dei miei 20 anni come fossero il mio presente: parlavo di esperienze e momenti di vita passati. Per la prima volta stavo parlando di quelle cose guardandomi indietro, parlando di situazioni che non facevano più parte della mia quotidianità.

 

Il titolo dell’EP fa riferimento ad una opera d’arte molto controversa di Damien Hirst (il famoso squalo in formalina). Al di là del fatto che penso che ad oggi una opera d’arte così rischierebbe di essere il corpo del reato di maltrattamento degli animali, ricordo le polemiche sorte sul fatto che possa considerarsi arte una carcassa di squalo. Il noto critico d’arte Robert Hughes (di cui raccomando il breve pamphlet di Adelphi La cultura del piagnisteo) in un discorso alla Royal Accademy, da grande polemista che era, disse che trovava più radicali i colpi di pennello sul colletto di pizzo di un dipinto di Velasquez, rispetto ad uno squalo che si disintegra oscuramente nella sua vasca dall’altra parte del Tamigi (forse facendo riferimento all’ulteriore questione filosofica della sostituzione dello squalo originario con uno nuovo). Come vi è venuto in mente il titolo e chi ha deciso la realizzazione della copertina?

Lorenzo: Non ricordo esattamente come sono finito a leggere della YBA (Young British Artists), ma ricordo che appena ho scoperto questa corrente artistica inglese ne sono rimasto totalmente affascinato. Damien Hirst e la sua opera più famosa, dal quale prende il nome il nostro EP, sono visti come il simbolo di questa wave e le parole che danno il nome allo squalo in formaldeide sembravano il modo perfetto per descrivere tutto ciò di cui avevamo parlato nelle nostre nuove canzoni.

Per quanto riguarda la copertina, invece, è stata una collaborazione con uno dei nostri migliori amici, che per molti anni ci ha seguito come fotografo live: Alberto Rigato. Stavo cercando un’idea per l’artwork di questo disco e mentre stavamo registrando le voci alla Distilleria con Maurizio “Icio”, Albe (che abita lì vicino) è passato a salutarci. Quella sera siamo poi usciti a bere una cosa insieme e lui ha iniziato a farmi vedere dei rullini che aveva scattato durante alcuni dei suoi viaggi. Rimasi colpito dalla foto di questo cimitero che si trova al Wicklow Mountains National Park, fuori Dublino. Tornato a casa ho iniziato a lavorarci in un progetto di Photoshop, e una volta mandata la grafica a Nicky abbiamo subito pensato che quella sarebbe stata la copertina perfetta.

 

Passando alle questioni maggiormente tecnico-musicali, il disco è stato prodotto da Daniele Mandelli e da Maurizio Baggio, che ha lavorato in precedenza con una serie di gruppi goth/post-punk da me molto apprezzati del livello di Soft Moon (essendo italiani, Requiescat In Pace, Luis Vasquez) Boy Harscher e Nuovo Testamento. Come vi siete trovati, quanto è importante il produttore sul risultato finale?

Lorenzo: Per quanto riguarda la produzione è stato un lavoro a più teste. Io e Enrico Tosti (bassista che ci segue anche nelle date live) abbiamo lavorato agli arrangiamenti, Dani (Mandelli) ha seguito la ripresa di batterie e chitarre, mentre Icio ha avuto un ruolo attivo nella produzione delle voci, oltre ad aver firmato anche mix e master. Il lavoro di Icio su quelle che sono state poi i takes di voci finite nel disco è stato più che fondamentale. Il valore aggiunto che ha dato al nostro modo di cantare e, in alcuni casi, anche alle linee vocali è stata una chiave per quello che poi sarebbe diventato il prodotto finale.

 

L’ultima domanda è sempre rivolta al futuro. Cosa vi aspettate? Farete una serie di concerti per promuovere l’EP? C’è qualche progetto a cui tenete in particolare modo?

Lorenzo: Sempre difficile rispondere alla domanda “cosa ci aspettiamo”. Abbiamo fondato questo progetto col solo desiderio di scrivere canzoni e stare in una band, tutto quello che arriva è in più. Abbiamo già iniziato a suonare questo disco dal vivo e abbiamo molte altre date in Italia fissate per il 2024, alcune già annunciate (le potete trovare sui nostri social), le altre To Be Announced.

Il progetto che abbiamo in mente al momento è quello di scrivere un vero e proprio full length dopo questi 3 EP che sono usciti. Ma non abbiamo fretta, vediamo cosa succede.