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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
05/09/2022
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Motorpsycho
A voi la piacevole chiacchierata con Bent Sæther (nucleo portante della formazione norvegese assieme ad Hans Magnus Ryan “Snah”), impreziosita da alcune differenze di vedute tra lui e il sottoscritto, che ha messo ancora una volta in evidenza le straordinarie peculiarità di questa band.

Di Ancient Astronauts, ultimo arrivato in una famiglia sterminata di dischi in studio, abbiamo già parlato. È ormai impossibile aspettarsi qualcosa di veramente nuovo dai Motorpsycho (nonostante quel che pensano loro in proposito, a breve leggerete) ma è innegabile che non ci abbiano mai veramente deluso. Composto quasi unicamente da materiale lasciato fuori da All Is One, quindi anch’esso legato alla sonorizzazione della performance di danza Sacrificing, progetto nel quale i nostri sono stati coinvolti nel periodo Covid, Ancient Astronauts dura “appena” 43 minuti, ma tra lunghe suite strumentali e divagazioni a metà tra Prog e psichedelia, non è per niente un lavoro dal facile approccio. Abbiamo discusso di questo ed altro assieme a Bent Sæther, nucleo portante della formazione norvegese assieme ad Hans Magnus Ryan “Snah”. È stata una piacevole chiacchierata, impreziosita da alcune differenze di vedute tra lui e il sottoscritto, che ha messo ancora una volta in evidenza la straordinaria peculiarità di questa band, piedi per terra e testa bassa, totalmente devota alla propria musica e ancora intenzionata a divertirsi e ad emozionare il pubblico dopo tutti questi anni.

 

 

Ancient Astronauts mi è piaciuto molto. C’è qualcosa che potresti dirmi riguardo ad esso, che non avete già scritto all’interno del press kit?

Intendi un segreto? Oh no, non potrei mai! E tu non potresti mai gestire una cosa del genere. Con l’arcano bisogna stare molto attenti, è per questo che lo nascondiamo all’interno dell’arte. Scusami ma non c’è una scorciatoia per rispondere.

 

Almeno potrai dirmi da dove viene fuori il titolo Ancient Astronauts

Lo abbiamo preso da uno speciale Tv di Carl Sagan (popolare astronomo e divulgatore scientifico americano, morto nel 1996, NDA), uno dei nostri eroi dello spazio degli anni ’70. All’epoca gente come Erik Von Danicken e altri speculavano sul fatto che lo sviluppo della tecnologia fosse così strano e “innaturale”, che fosse spiegabile solo col fatto che qualcun altro fosse già lì e ci lasciasse indizi per il momento in cui, come specie, fossimo stati pronti a trovarli. Qualche cosa come degli antichi astronauti o simili. Certo, in molti casi si tratta di cazzate pseudoscientifiche ma alla fin fine questa cosa opera sulla stessa lunghezza d’onda dell’arte: nell’arte non esistono verità assolute e ciò che di essa è davvero grande è la speculazione. Ecco, roba pseudoscientifica come questa degli antichi astronauti, in un certo senso tratta la scienza esattamente come se fosse arte, come se non ci fossero risposte vere e definitive, ed è questo che ci affascina. C’è più mistero e più magia, insomma!

 

Mi è piaciuta molto una canzone come “Mona Lisa/Azrael”: personalmente la vedo come una perfetta rappresentazione di quello che adesso è il vostro sound, visto che contiene sia elementi melodici sia altri più heavy e psichedelici. Cosa puoi dirmi di questo brano? E anche il titolo è curioso, avete accostato due personaggi parecchio antitetici, direi…

Le due parti sono quanto più possibile distanti tra loro per feeling ed intensità, ma in qualche modo sono anche profondamente compenetrate l’un altra. Ci sono cose nella vita che sono esattamente così. Per esempio, guardando Morte a Venezia di Visconti, sono rimasto impressionato da come lui ha gestito la materia: c’è questo ragazzo che è abbastanza evidente che sia l’angelo della morte e ho avuto un momento di grandissimo stupore nel momento in cui ho capito come fosse perfetto tutto questo. L’angelo della morte per forza di cose deve essere il più bel ragazzo del mondo, ha perfettamente senso! Per cui ho scritto una canzone su questa dicotomia e sul modo in cui ci rapportiamo a questa percezione e su come siamo sempre impegnati a bilanciare questi aspetti differenti delle nostre vite.

 

Un’altra cosa interessante di Ancient Astronauts è che siete tornati a collaborare con Deathprod dopo tanto tempo…

È il produttore del disco, sì. È venuto a vedere Sacrificing quando l’abbiamo suonato ad Oslo e ha pensato che in quella musica ci fosse un album completo che poteva essere tirato fuori. Siamo stati d’accordo e lui si offerto di produrlo per noi. Niente di che, alla fin fine, è stato tutto molto naturale, senza fronzoli. Ha suonato un po’ di sintetizzatori Buchla e ci ha fatto suonare queste canzoni finché non è stato soddisfatto del risultato, ovviamente aveva la sua visione di come avrebbero dovuto suonare. Alla fine sembrava contento, quindi direi che nel complesso è stato un successo!

 

L’altro grande brano del disco è “Chariot of the Sun”: vado a memoria ma credo sia la prima canzone strumentale di questa lunghezza che abbiate mai registrato…

L’abbiamo sviluppata nell’arco temporale di due anni in cui abbiamo suonato Sacrificing: siamo partiti da un pezzo relativamente corto e delicato, lo abbiamo allungato fino a farlo divenire un opus in pieno stile Motorpsycho, fino alla versione finale, una cosa molto meno pesante e con influenze Kraut. Abbiamo accompagnato la performance di danza per una quindicina di volte e questa canzone non è mai stata la stessa, ogni sera la suonavamo in modo diverso. La versione che senti sul disco rispecchia il punto in cui si trovava nel momento in cui l’abbiamo registrata. Un’altra cosa da dire è che non è sempre stato un pezzo strumentale, però ho sempre canticchiato la melodia senza aggiungere parole, e sono andato avanti così anche dopo aver definito arrangiamenti e struttura: a quel punto mi sarebbe sembrato innaturale metterci sopra un testo e l’abbiamo tenuta così.

 

Credo che sulla lunga distanza potrebbe divenire uno dei vostri brani più rappresentativi…

È una cosa nuova per noi fidarsi totalmente della musica al punto da farle fare tutto il lavoro ma siamo molto fieri del fatto che è un brano che funziona anche senza una storia lineare che si dipani (anzi, credo che alcune persone troveranno il titolo molto più confuso che altro!). Ha una vibe particolare che non ritrovo in nessun’altra delle nostre vecchie canzoni e questo mi rende felice. Sarà divertente suonarla dal vivo, da qui in avanti, nel momento in cui Reine (Fiske, il chitarrista che li accompagna in tour NDA) ci metterà sopra le sue mani geniali!

 

Mentre scrivevo dei vostri due precedenti dischi, mi sono chiesto quanto dev’essere stato difficile per una band come la vostra essere costretti a non andare in tour per quasi due anni…

È stata dura, sì. Oddio, il primo anno ancora ancora è andata bene, perché ci ha fatto uscire dal solito loop disco-tour e ci ha dato più tempo per focalizzarci sulle nuove composizioni. Il secondo anno però è stato davvero tosto! Siamo stati abbastanza fortunati da avere alcuni brevi periodi senza lockdown per cui abbiamo fatto qualche concerto per un pubblico ridotto, seduto e con mascherine. È stato molto strano ma senza dubbio meglio di niente! Inoltre, non avere la possibilità di suonare dal vivo i nostri due ultimi dischi è stato davvero particolare, considerato che tantissima della nostra roba è strutturata in modo tale da essere suonata in giro e, non potendolo fare, ci è sembrato di non riuscire a completare il processo creativo né di All is One, né di Kingdom of Oblivion. È stato veramente frustrante ma allo stesso tempo ha reso il nostro tour primaverile ancora più eccitante e divertente, soprattutto per il fatto di avere materiale da addirittura due dischi da aggiungere al nostro repertorio.

 

Sembra che abbiate un rapporto speciale con l’Italia: negli ultimi 25-28 anni ci avete suonato un sacco di concerti, spesso visitando anche cinque città ad ogni passaggio. C’è effettivamente qualcosa che vi lega a noi oppure lo fate anche in altri paesi?

Lo facciamo anche in altri paesi, per esempio Olanda e Germania, però è vero che l’Italia è speciale per noi. Ci piace suonare lì, abbiamo molti amici ed anche dopo tutti questi anni ci sembra ancora un posto “diverso”, grazie a Dio!

 

In che senso?

Vedi, l’Unione Europea ha formalizzato e sanificato gran parte del continente fino a renderlo un grande blob grigio dove tutto è identico. Mi pare invece che voi abbiate mantenuto la vostra identità pur rimanendo all’interno del sistema e vi ringraziamo per questo! Per quanto ci riguarda, potremmo fare le cose come altre band e far uscire nuova musica ogni cinque anni, per cui verremmo in Italia molto di meno ma la verità è che non vogliamo essere come le altre band. Abbiamo le nostre idee su quello che facciamo e proviamo a fare tutto sempre alla nostra maniera. Ormai troppo del music biz è formalizzato, pieno di norme per comportamenti conformi e noi non vogliamo conformarci a tutto questo, è ridicolo. Perché dovremmo essere come tutti gli altri, quando invece possiamo fare le cose come vogliamo noi? Non avremo sempre successo però almeno ci avremo provato!

 

Diversi, tra fan e addetti ai lavori, ripetono spesso che nel periodo successivo a Black Holes, Black Canvas siete divenuti molto più prolifici ma anche più ripetitivi, realizzando una serie di dischi abbastanza simili per suono e approccio di scrittura, laddove nelle prime fasi della vostra carriera eravate al contrario più sperimentali ed eterogenei. Personalmente, mi spiace dirlo, sono abbastanza d’accordo con questa lettura anche se ci tengo a precisare che, con l’unica eccezione di Kingdom of Oblivion, che ho trovato un po’ discontinuo, ho amato indifferentemente tutti i vostri dischi di questa ultima fase…

Non credo sia del tutto corretto metterla in questi termini, non pensi? Il fatto che ci si abitui a noi non significa che non facciamo altro che ripetere noi stessi. È veramente duro per una band diventare una “quantità conosciuta” perché quando accade così si suppone che tu debba sempre ripetere te stesso all’infinito e questo è il modello che molti artisti scelgono di portare avanti. Noi, per lo meno, abbiamo sempre provato a fare cose differenti e se la gente non riesce a sentire le differenze di approccio che ci sono tra dischi come The Death Defying Unicorn, Begynnelser, The Tower e "N.O.X." (quest’ultima è in realtà la lunga suite contenuta all’interno di “All is One”, di fatto è lunga come un disco NDA), non possiamo farci proprio nulla!

Ad ogni modo questo tipo di critiche non sono nuove, non è un qualcosa accaduto solo dopo Black Holes, Black Canvas, abbiamo sempre ricevuto critiche di questo tipo anche prima, le persone troveranno sempre qualcosa di cui lamentarsi! Quando abbiamo fatto Timothy’s Monster c’era chi diceva non fosse abbastanza Metal e altri che fosse troppo simile a Demon Box; altri ancora, al contrario, si lamentavano che non fosse come Demon Box, oppure che fosse troppo lungo, troppo Pop, troppo dispersivo… blah blah blah. Il punto è: se hai bisogno di trovare qualcosa da criticare, ci riuscirai sempre e questo è quello che un sacco di gente fa. Per quanto riguarda Kingdom of Oblivion, per me è semplicemente il miglior disco che abbiamo fatto da quando Tomas (Järmir, il batterista, con loro dal 2017 NDA) è in line up. È un peccato che tu non riesca a vederla così!

 

Senti, c’è una cosa che volevo chiedervi da tempo: voi siete una band che suona tantissimo dal vivo, che sul palco ama improvvisare e dilatare i pezzi con lunghe jam, inoltre cambiate scaletta pressoché ogni sera. Sono tutti ingredienti che renderebbero altamente appetibile per i fan possedere quante più registrazioni possibili dei vostri concerti, proprio perché si tratta di un’esperienza di ascolto totalmente diversa rispetto alle versioni in studio. Eppure, se andiamo a vedere da quanti anni siete in giro, in proporzione avete pubblicato pochissimi dischi dal vivo. Come mai questa scelta? Non credi che sarebbe bello iniziare a fare come ormai tanti altri artisti, che mettono a disposizione bootleg ufficiali dei loro concerti, magari appoggiandosi a piattaforme esterne come nugs.net? Io personalmente non aspetterei altro!

Abbiamo spesso fatto uscire più di un disco all’anno e per questo ci siamo già beccati la nostra bella dose di lamentele da pubblico e critica, se ci aggiungessimo anche 50 album dal vivo ogni anno, ci ucciderebbero, figurati! Ad ogni modo, da fan capisco bene come la pensi, ma realizzare una cosa del genere comporterebbe un’enorme mole di lavoro. Si tratterebbe di scrivere, provare, registrare, mixare, andare in tour, dopodiché sedersi a riascoltare e a mixare tutto quello che si è suonato durante il tour: no, non credo proprio che potremmo farlo. E sì, siamo dei maniaci del controllo, in più non abbiamo soldi per pagare qualcun altro e poi, francamente, è già tutto là fuori, perché disturbarsi? Negli ultimi dieci anni ci saranno meno di dieci concerti dei Motorpsycho che non sono stati registrati dai fan e che non stanno circolando tramite bootleg. Se davvero vuoi sentire tutto, vedrai che riuscirai a trovare tutto. E gratis, per giunta.

 

Qualche anno fa avete fatto uscire su Bandcamp la raccolta di outtake The Light Fantastic, dicendo che sarebbe stata la prima di una serie di uscite di questo tipo. Avete in programma altro?

Siamo dei fanatici del vinile, non ci siamo mai abituati all’ascolto della musica in digitale per cui una cosa come quella di Bandcamp non è esattamente al centro dei nostri pensieri. Per carità, è un’ottima piattaforma, per quello che fa e dal punto di vista finanziario è una soluzione di gran lunga migliore rispetto ad altri servizi di streaming. Il punto però è che per noi, se una cosa non esce in vinile non conta davvero e quindi facciamo fatica ad entusiasmarci per un progetto del genere. Ad ogni modo vedremo, la possibilità c’è, è un’opzione al momento ancora valida.

 

Invece per quanto riguarda i vostri programmi futuri? Dischi? Concerti? State già pianificando qualcosa?

Sì certo. Quest’autunno faremo dei concerti in nord Europa e in Norvegia ma non ci saranno grossi tour perché ne abbiamo appena fatto uno a maggio ed è troppo presto per farne un altro. Stiamo lavorando a della nuova musica come sempre ma siccome in questo periodo ci vogliono 8-9 mesi per stampare un disco, non sarà una cosa rapida. Comunque sì, del materiale nuovo è indubbiamente in lavorazione. Altra cosa: la Rune Grammofon ha acquistato le licenze dei nostri primi dischi che erano usciti per la Voices of Wonder e sta preparando delle edizioni limitate in vinili di tutta questa roba, in versione rimasterizzata. I due EP Mountain e Another Ugly Ep quindi verrano pubblicati in vinile per la prima volta e stiamo anche preparando una compilation di outtake e rarità risalenti a quel periodo, che si intitolerà Becoming Motorpsycho. Inoltre ci sarà un mini LP live del 1993. Le versioni digitali suonano da schifo, non ci appartengono per niente e quindi non ci interessano. Ma quelle in vinile sono davvero delle bellissime repliche di quello che abbiamo fatto all’epoca e mi rendono molto orgoglioso di averle realizzate.

 

Negli anni avete pubblicato un’enorme quantità di album, tanto da rendere molto difficile trovare una chiave d’accesso alla vostra musica, per qualcuno che volesse iniziare ad ascoltarvi adesso. Saresti in grado di indicare uno o due titoli ideali da cui partire, in modo tale che un ipotetico neofita non si perda per strada?

Non ne ho idea. Credo dipenda più che altro da quale tipo di musica questa persona già ascolta, da quali sono i suoi gusti pregressi. Parliamo di quasi 35 anni di lavoro, non saprei proprio quantificare o misurare come altri riuscirebbero a fare, mi spiace. La nostra musica ha sempre rappresentato il momento migliore in cui eravamo in quella determinata fase; in certi casi ha colpito parecchie persone, in altri di meno, ma è stato sempre e comunque un tentativo vero e onesto.