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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
04/03/2024
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Miss Chain & The Broken Heels
Miss Chain & The Broken Heels sono una band che mette insieme tante anime, dal punk rock, al power pop, al garage, sconvolgendo i puristi di ognuna di queste e divertendosi un mondo nel farlo. Li abbiamo ascoltati con piacere ad un live al Joshua Blues Club e non potevamo resistere alla tentazione di scambiare due parole con la super fronwoman Astrid e con il mitico Franz Barcella.

Lo scorso dicembre Miss Chain & The Broken Heels hanno pubblicato, a distanza di quasi dieci anni dal precedente, il nuovo album Storms.

Poiché per “deontologia professionale” non inserisco nella mia classifica dischi su cui non ho “meditato” sopra con diversi ascolti, l’album non vi ha trovato posto. Con questo “senso di colpa” (Astrid che è una psicologa/psicoterapueta, potrebbe qui confortarmi) quando mi hanno invitato ad una serata live al Joshua Club, inserita all’interno di una serie di concerti collegati alla pubblicazione del vinile, vi sono andato volentieri.

La scelta è stata profittevole: un bel concerto, con un pubblico caldo e accogliente, dove emerge ancora di più come, mi sia concesso un ossimoro, la natura apollinea del rock del gruppo. 

Senza scomodare Nietzsche, e scontando una approssimazione generalista, il rock è sempre legato all’esperienza dionisiaca, ovvero, nella mitologia greca, al dio dell’ebrezza e dell’energia vitale, e non a quella apollinea, ovvero a quella intrinsecamente legata alla divinità tutelare dello spirito dell’equilibrio e dell’armonia. 

Con questo non voglio dire che Miss Chain & The Broken Heels dal vivo non “spacchino”, anzi, al contrario, però, anche nella dimensione live, trovo nel loro sound una ricerca di armonie vocali, una sfumatura direi “classica”, dove il recupero dello Phil Spector Sound, si amalgama bene con il power pop; le radici roots non vengono perse anche nei momenti più “caldi”, in un melting pop davvero interessante.

Dunque, come sfuggire all’occasione di chiedere alla frontwoman e a Franz una breve intervista, eccola a Voi. Buona lettura!

 

Photo credit: Ludovica Belotti

 

***

 

Innanzitutto, per i lettori di Loudd che non vi conoscono, o che conoscendovi sono curiosi di saperne di più, a voi la parola: chi sono Miss Chain & The Broken Heels, potete raccontarci la storia che sta dietro a questo peculiare nome che vi siete dati?

Astrid. Ciao! Miss Chain & the Broken Heels nascono nel 2007. All’epoca studiavo a Firenze e, durante una calda estate mi sono ritrovata un bel po’ di canzoni troppo pop per le Nasties, il gruppo punk rock con cui suonano. Con un caro amico e grande chitarrista, Paolo Dondoli (Ray Daytona & the Googoobombos, The Golden Shower), un po’ per gioco ci siamo messi a registrare quei pezzi con l’intento di metterli su MySpace sotto il nome di Miss Chain & The Broken Heels. Nel primo singolo pubblicato non c’è il basso, la batteria è elettronica, ci sono mille chitarre e 1001 voci e i Broken Heels, che si vedono nel retro della copertina, sono i colleghi di Paolo nell’azienda chimica dove lavorava all’epoca, che si sono prestati come modelli. Alcuni di loro non avevamo mai preso in mano uno strumento! Epic!

Sorprendentemente, qualcuno a Brescia e qualcuno al di là dell’oceano ha sentito le canzoni e le ha volute pubblicare. È uscito così il primo 7” per l’americana Sonic Jett e la bresciana Rijapov Records. Dato l’interesse per il progetto, ho deciso di mettere assieme una vera band e così sono entrati Franz e Bruno, che conoscevo grazie alla scena punk rock e Silva, mio conterraneo. La fortuna ha voluto che accogliessero con gran piacere la mia proposta e pochi mesi dopo, con qualche prova e qualche live sulle spalle, eravamo già in tour negli Stati Uniti.

Se qualcuno si stesse ancora chiedendo “perché Broken Heels?”, la risposta sta in tutte quelle serate che finivano sul dancefloor con le scarpe in mano e, spesso, un tacco rotto.

 

Franz. Io e mio fratello conoscevamo Astrid non solo perchè suonavamo nello stesso giro di gruppi Punk, ma perché era una forza della natura difficile da non notare: appassionata, vibrante, affascinante e determinata. Era spesso al centro della festa, e non si faceva certo fermare da qualche tacco rotto.

Quando ho sentito i suoi primi “pezzi pop”, ispirati dalle band power-pop fine anni Settanta, dal bubblegum e dagli anni Sessanta piú chitarristici, ho subito pensato “questo e’ proprio quello che vorrei suonare”. Cosí ho vinto la timidezza e una notte le abbiam mandato un messaggio: “se cerchi una backing band per suonare quei pezzi, noi ci siamo”. Fortunatamente ha risposto di sí, e da lí abbiam vissuto piú avventure e ci siam tolti piú soddisfazioni, di quanto avremmo mai immaginato. Probabilmente il miglior SMS che ho mai speso.

 

 

Il vostro ultimo disco, Storms, arriva dieci anni dopo il precedente The Dawn, un lasso di tempo abbastanza dilatato. Di mezzo c’è stato sicuramente il Covid e tante altre cose, ma, in ultimo, per chi suona musica, a dispetto delle difficoltà di tempo, lavoro, e anche di denaro, penso che la spinta sia sempre una urgenza espressiva, è stato così anche per voi?

Astrid. È in effetti un lasso di tempo molto lungo, soprattutto per come funzionano le cose oggigiorno nel mondo della musica. Di certo siamo una band che forse ha bisogno di tempi più lunghi per scrivere, e mentre ti dico questo penso che la nostra musica è sempre nata grazie agli stimoli e alle esperienze vissute nei tour che abbiamo fatto. Dal 2013, dopo l’uscita di The Dawn, abbiamo suonato tanto per promuoverlo e poi alcune scelte di vita ci hanno portato a ricalibrare tempi e ritmi dei live.

Storms nasce da questo allontanamento dall’esperienza di tour che eravamo abituati a vivere, in un periodo in cui sono diminuiti i concerti e ognuno di noi ha intrapreso strade diverse. Io ho scelto di dedicare la maggior parte dei miei weekend alla scuola di specializzazione in psicoterapia e questo mi ha portata ad avere meno possibilità di suonare live, ma anche a iniziare un viaggio interiore molto complesso e arricchente che ha influenzato testi e melodie. Abbiamo vissuto questo album come un tuffo in profondità, mentre in passato, con gli altri dischi, viaggiavamo carpe diem con tanta leggerezza, che comunque non era superficialità. Prima stavamo su una tavola da surf a beccare le onde, con Storms abbiamo fatto scuba diving! 

 

Franz. Se gli altri dischi erano un cavalcare il sogno, creativo e di vita, Storms è una sorta di esercizio di mantenerlo in vita, nonostante tutto. É come se avessimo detto: “non importa se abbiam preso altre strade, se facciamo altro per vivere, se ci siamo allontanati fisicamente, se abbiam meno tempo, se siamo meno resistenti, facciamo meno festa o non possiamo partire in tour per mesi senza mai guardarsi indietro: questa cosa è importante per noi e vogliamo continuarla, mantenendola integra ma cambiandone forma e tempistica, per mantenerla fresca e farci ancora feloci”. É un’esercizio di giovinezza perseverante, senza voler per forza fingere di esser ventenni.

 

 

Quando ho letto il comunicato stampa di presentazione del nuovo album: “Sono una di quelle band sempre a metà. Troppo pop per i punk, troppo punk per il pop. Troppo puliti per i nostalgici del garage e troppo strani e sporchi per l’Americana. Difficile da classificare” ho subito pensato, da un lato, alla solita necessità di attirare l’attenzione da parte di un pubblico oramai “saturo” di produzioni musicali; dall’altro lato, sinceramente, ho scontato su me stesso l’atteggiamento oramai comune del fan del singolo (sotto)genere musicale che ritiene che uscire dalla propria comfort zone, sia un attentato alla purezza di intenti. L’ascolto del disco, al contrario, mi ha portato a ritenere la definizione assolutamente illustrativa della vostra musica. Che ritorno avete avuto dal disco e dai concerti a seguire lo stesso?

Astrid. Per la verità siamo sempre stati una band che ha cercato di mettere assieme tante anime, tante sonorità e questo ci ha portato ad avere i riferimenti e le influenze più disparate. È vero, siamo stati criticati, di volta in volta, dai puristi del punk rock, del power pop o del garage, ma credo che alla fine tutti abbiano capito quello che stavamo facendo.

Se ci pensi, uno dei gruppi che più ha una fanbase fatta di puristi sono i Ramones ma se ascolti i loro dischi trovi di tutto a livello di influenze: garage, sixtes, girls group, wall of sound. Fatte le dovute proporzioni, anche per noi è così: cerchiamo di racchiudere tutta la musica che ci piace in canzoni che però suonino Miss Chain & the Broken Heels, o meglio: così ci viene di fare.

Detto questo, non ci aspettavamo che l’album avesse un tale riscontro positivo. Sia nelle recensioni che ai concerti le gente sembra essere entrata in sintonia con i temi e il mood di questo disco e la sensazione è che anche loro l’abbiano fatto un po’ proprio. Questo per me è un grande regalo.

 

Franz. Ho scritto io quel comunicato stampa e, in tutta onestá, ho semplicemente pensato: “Sono stanco di dover scrivere descrizioni articolate o presentazioni pompose per dover descrivere l’album o cercar di renderlo, o renderci, interessante/i. Non ha senso, soprattutto per una band al terzo disco e dopo 10 anni di attesa”. Cosí ho semplicemente deciso di essere il piú onesto possibile e ho buttato giú quello che pensavo o sentivo a riguardo della band. E quel sentimento, misto ad orgoglio, di essere allo stesso tempo un po’ dei “meticci” musicali, degli emarginati, ma di avere proprio in questo la nostra forza ed unicitá. Che sorprendentemente sta pagando, visto l’andamento del disco ed i riscontri, anche numerici, dei live. Quasi non ce l’aspettavamo. Io, anzi, dentro di me temevo non l’avrebbe ascoltato nessuno, e invece…

 

 

In sede di presentazione dell’intervista mi sono permesso di indicare come dal vivo emerga ancora di più (mi sia concesso un ossimoro) una visione apollinea di fare rock. Lo dico in senso positivo ovviamente, anche la scelta delle cover presentate mi induce a ritenere che la vostra proposta si muova su un difficile crinale sospeso da un lato, tra possibili accuse di annacquare l’urgenza espressiva del garage o del punk, dall’altro lato di essere un po’ troppo “sporchi” per una asserita, ma sempre più difficile da contestualizzare, classicità rock, che ne pensate?

Astrid. Questa è una bella riflessione che però, sinceramente, non ci eravamo mai posti. Le cover le abbiamo scelte in maniera poco strategica, di pancia. Il brano delle Ronettes (“Be my babe”, ndr) è un classico, mentre il pezzo dei Dire Straits ("Walk of Life", ndr) in realtà è la cover di una cover. Ci siamo innamorati di questa versione tendente al country/americana fatta da Charles Mann che ci fa sempre sorridere ma allo stesso tempo gasare perché è un pezzo veramente potente. Grandi hit intramontabili. Forse proprio per questo mi sento più dionisiaca che apollinea. Siamo caotici e imprevedibili negli accostamenti, nelle influenze, siamo voraci ascoltatori di tantissime cose diverse che non seguono schemi ben precisi, ma che spesso finiscono nella nostra musica. 

Franz. Ci piace molto il rock’n’roll, l’arte e la creativitá, nelle sue piú svariate forme, e non abbiamo paura di mostrarlo.

 

 

In chiusura la solita ma dovuta domanda: e ora che succede a Miss Chain & The Broken Heels, aspetteremo ancora due lustri, oppure…?

Astrid. Per il momento ci stiamo concentrando sui live. Stiamo cercando di portare Storms quanto più possibile e ci piacerebbe riuscire ad incastrare anche delle date all’estero. Ad Aprile poi abbiamo il festival indipendente che da qualche anno curiamo con il Centro Sociale Arcadia, a Schio, in provincia di Vicenza, il Rollercoaster Festival (al quale sei ovviamente invitato!). È una nostra versione di uno showcase festival dove portiamo un sacco di band che ci piacciono, creiamo una bella situazione, ci sono banchetti di dischi e fanzine, collaboriamo con altre etichette indipendenti, dj set, food trucks… Insomma, si inizia presto e si finisce tardi! Nei prossimi giorni inizieremo a svelare la line up per cui sintonizzatevi tutti sui nostri canali social!

Franz. Ora ci godiamo questo bel momento cercando di prolungarlo piú a lungo possibile. Poi si vedrá, senza pressioni o aspettative. Magari un giorno Astrid ci scriverá che ha scritto un nuovo pezzo e non vede l’ora di suonarlo. Continueremo a tenere le porte aperte per ogni eventualitá, e ci manterremo pronti.

 

Photo credit: Emanuela Giurano