Eccoci. Ciao, piacere di essere con voi. Intanto grazie per il tempo che ci dedicate stasera e ho sentito il vostro ultimo album: complimenti, l'ho trovato un lavoro fantastico e quindi sono molto contenta di poterne parlare con voi.
Roberto Tiranti: Grazie a te.
Olaf Thorsen: Grazie!
Come prima cosa volevo capire un po' com'è andata la creazione dell'album, come l'avete composto, insomma, da dove è saltato fuori; immagino vi sia dietro un grande lavoro.
Roberto Tiranti: Ma, guarda, in realtà in realtà, poi lascio la parola a Olaf, ma dopo diversi anni dove giocoforza abbiamo fatto dei dischi decisamente belli, di cui andiamo fieri, ma in cui spesso molte cose venivano fatte a distanza, soprattutto dal periodo COVID in avanti, dopo che anche il disco precedente abbiamo dovuto farlo ognuno da casa propria, con questo ci siamo impuntati: abbiamo detto no, i dischi si fanno come si facevano una volta, quindi ci troviamo in studio, andiamo in sala prove e attacchiamo gli strumenti e tiriamo giù le canzoni che devono già suonare bene, o meglio, che devono formalmente suonare bene. È tutto partito da lì. Poi, ovviamente, dopo alcune limature, chi ha aggiunto parti, chi ha dovuto scrivere testi e quant’altro, siamo arrivati alla versione che senti nel disco. Però, diciamo, la musica globalmente è stata create nell’insieme e credo si senta.
Visto che siete stati in sala prove, c'è qualche aneddoto che volete raccontarci, qualcosa in particolare, come ad esempio il solito ritardatario che arriva più tardi degli altri, qualcuno che combina qualcosa... Di solito in ogni gruppo c'è sempre almeno quello che arriva in ritardo cronico!
Andrea Cantarelli: Le tastiere!
Roberto Tiranti: Mah, Il buon Oleg, no?
Olaf Thorsen: Aneddoti, sai, ce ne sono sempre tanti, perché poi siamo un gruppo che non si prende particolarmente sul serio. Quindi le prove per noi sono una scusa per svaccare e divertirci. La cosa, almeno per me, più divertente è che abbiamo utilizzato veramente il vecchio metodo, cioè registravamo con un microfono quello che provavamo in sala e poi, per esempio, Andrea una volta andato a casa ha detto: "adesso metto tutto sul computer e vi giro il demo". Quando ho riascoltato quello che abbiamo fatto, era venuto fuori un disco talmente folle nella sua struttura, anche prima di avere le parole, il cantato, i testi, gli arrangiamenti… che non mi ricordavo neanche una nota di quello che avevamo fatto! Ma siamo molto contenti di ciò che ne è venuto fuori.
Che mi dite invece del titolo dell’album: come vi è venuto in mente e cosa vuole raccontare?
Roberto Tiranti: Il titolo è un'incognita. Si accompagna ovviamente alla copertina e viceversa; nella cover c'è questo labirinto che si sta dissolvendo e in molti nelle interviste ci chiedono “ma quindi questo non vorrà mica dire che sarà il vostro ultimo album?”. E la risposta puntuale è “Boh, chi lo sa?". Noi come sempre non poniamo mai nessun limite alla Provvidenza, nel bene e nel male. Facciamo musica, siamo questo. I Labyrinth sono una scheggia impazzita e nelle regole e negli schemi di una band si deve fare determinate scelte. Noi credo che le scelte le abbiamo più o meno sbagliate sempre tutte e ne andiamo molto fieri. Andiamo molto fieri di quello che pensavamo fosse giusto nel momento in cui lo decidevamo e questo album è esattamente lo specchio di questo pensiero. E, come ho scritto oggi in un'intervista per un magazine polacco, vediamo se questo sarà la fine di un gruppo che esiste da circa 30 anni, oppure eventualmente la fine di un capitolo che porta ad un ennesimo capitolo. Sinceramente, te lo dico, non lo sappiamo, non voglio fare il misterioso. Di certo badiamo a quello che abbiamo al momento, che è un buon disco.
Com’è nato l'amore per la musica per ciascuno di voi? Quando avete iniziato a dire “ok, la musica sarà la nostra vita”? È chiaro che magari è capitato, però da dove è nato l'amore per la musica e come avete deciso di fondare i Labyrinth?
Andrea Cantarelli: Per quanto riguarda l'amore per la musica, nel mio caso è arrivato molto presto: i miei genitori avevano il classico impianto hi-fi anni '70 e ricordo che a 4 o 5 anni mi divertivo, senza averne consapevolezza, a mettere su qualche disco; ricordo le sensazioni che provai. In maniera totalmente inconsapevole mi catturarono profondamente, quindi da lì in poi il percorso si è evoluto in maniera assolutamente naturale fino a quando, intorno ai 13 anni, non mi sono più accontentato di ascoltare musica ma ho cercato di "mettermi alla prova" imbracciando una chitarra, e poi da lì, insomma, è successo quel che è successo. Sulle origini del gruppo lascio la parola a Olaf: è sempre divertente nel raccontare come andò.
Olaf Thorsen: La mia storia è simile. Credo che sia un po' così per tutti. Abbiamo iniziato tutti ascoltando musica in casa, con la fortuna di vivere una situazione in cui si ascoltava musica. Nel mio caso avevo anche un cugino molto più grande di me, che era ed è tuttora un ottimo chitarrista, e io ho iniziato così, chiedendo a lui se mi potesse insegnare qualcosa. Mi ha dato la “classica” chitarra classica e ho iniziato a suonare quella, tra l'altro da mancino.
Roberto Tiranti: La “classica” chitarra classica che tutti hanno da qualche parte in casa!
Olaf Thorsen: Ma onestamente la suonavo così, più con lo spirito, sai, io sono di Massa, quindi da noi siamo in Versilia. Per me lo spirito era quello di andare in spiaggia a suonare, non è che avessi l’idea di formare una band. All’epoca si poteva stare in spiaggia, quindi noi la sera andavamo in spiaggia e all’ultimo anno di scuola superiore c'era un festival, un concorso importante, si chiamava “Musica nelle scuole” e allora, per gioco, avevo fondato questo gruppo di metallari, e da lì è iniziato tutto. Poi, poco dopo, è arrivato anche Andrea e lui sta già ridendo, perché l'aneddoto è questo: il suo provino per entrare nella band era legato ad un demo di quattro canzoni. Gli abbiamo detto “imparati queste canzoni e poi ci vediamo per le prove”. Prima di vederci alle prove, siccome anche lui era della mia città, voleva passare da casa mia perché voleva verificare se aveva capito bene. E la risposta alla fine del quarto pezzo è stata: “perfetto, adesso abbiamo quattro pezzi nuovi per il prossimo lavoro”! Le canzoni che non ricordo neanche più quali fossero, però è stato così. Poi da lì abbiamo iniziato a suonare e via via è arrivato Roberto nel 1997. L’entrata di Andrea credo fosse nel 1992… stiamo parlando di una vita fa!
Andrea Cantarelli: 92 si!
Più di trent'anni! Ma visto che parlate di ascoltare musica, cosa ascoltate ora nel tempo libero e che cosa vi ispira anche per poi comporre, se è quello che vi ispira ovviamente.
Roberto Tiranti: Io sono rimasto molto indietro, nel senso che sono rimasto legato decisamente agli anni ’70 e ’80; forse le cose più nuove che ho ascoltato hanno già ormai 15 anni. Non lo faccio per fare lo snob in qualche modo, per carità, è che è così. E quindi continuo a scrivere musica con il mio background, sperando che possa ancora andar bene!
Bene o male anch'io ascolto musica della stessa epoca… Sarete in tour con questo disco? Ci sono già delle delle date previste?
Andrea Cantarelli: Sì, allora, siamo stati un pò sfortunati, perché avevamo pianificato due date a fine gennaio, in concomitanza con l'uscita del disco, che però, per ragioni personali abbiamo dovuto rimandare a maggio. Stanno fortunatamente arrivando una serie di richieste, che fanno sempre piacere. Ci stiamo lavorando. L'idea di andare in tour, almeno a me personalmente, non entusiasma, nel senso che io credo che abbia senso andare in tour nel momento in cui ci sia un pubblico. Chiaramente all'inizio abbiamo investito anche noi, come era giusto che fosse, e la gavetta, se vogliamo chiamarla così, ci ha aiutato veramente tanto. Oggi non abbiamo più la volontà di dover convincere qualcuno ad ascoltarci, nel senso che la band ha raccontato tanto in questi anni, sono quasi 30 anni di carriera. E credo che, purtroppo, il gruppo, per una serie di vicissitudini, oggi non possa contare su un pubblico così importante da potersi permettere un tour. Quello che ci piacerebbe fare, ma è sempre molto difficile farlo partendo dall’Italia, è rientrare a far parte dei festival estivi, dove fondamentalmente i gruppi vengono da una parte favoriti, perché chiaramente il pubblico è eterogeneo, non è lì solo per te, ma è spesso molto importante in termini numerici; ma dall'altra i gruppi vengono anche messi molto alla prova, perché le situazioni nei festival, ad eccezione ovviamente del gruppo headliner, prevedono spesso, come dire, scenari non propriamente ideali dal punto di vista dei tempi del cambio palco e di un eventuale sound check che non esiste.
In quei contesti le band vengono un pò messe a nudo. Quello che a noi piacerebbe fare è poter dimostrare come nel 2025 si possa ancora salire sul palco ed essere genuini. Far uscire dall’impianto quello che realmente il gruppo è in grado di dare, questo lo dico in tutte le interviste cercando di farmi odiare il più possibile: sempre più spesso i gruppi si appoggiano un po' troppo a alla tecnologia anche in sede live, ma credo che tutto ciò sia figlio questo fenomeno, di un percorso che negli anni è venuto a mancare. Incidere un disco significa aver speso tanto tempo insieme a suonare, a creare un sound per la musica della band che sia il più peculiare possibile; significa essersi fatti il mazzo sugli strumenti per far sì che in sala prove il risultato fosse accettabile e si andava in studio soltanto quando il gruppo era veramente preparato.
È anche vero che erano anni in cui l'errore era più perdonato. Il musicista che non suonava perfettamente a metronomo era una costante, basta ascoltare i dischi storici della nostra epoca: "Seek & Destroy" parte con un riff scordato e stiamo parlando forse di uno dei pezzi più importanti del nostro genere. Appoggiarsi in studio alla tecnologia bypassando totalmente quei momenti in cui si faceva musica d'insieme, porta le band ad avere un risultato su disco assolutamente ineccepibile. Produzioni assolutamente all'altezza. Pezzi suonati, eseguiti in maniera assolutamente ideale. La verità viene ancora fuori dal palco, secondo me. Ma non pensavo fossimo arrivati così in là. Abbiamo partecipato a un festival in Germania il 28 dicembre e se sì, era assolutamente normale pensare a qualche backing vocals (ad esempio, in base non ci trovo nulla di male, alla fine dobbiamo fare il miglior spettacolo del mondo e qualunque artista anche negli anni ’70 si è sempre appoggiato a intro o a campionamenti che potessero regalare un'esperienza dal vivo piacevole) ma arrivare a sentire chitarre in base mi ha lasciato un po' basito, onestamente. Anche perché, mi chiedo, allora a questo punto il divertimento dove stia.
Roberto Tiranti: A tutti piace la tecnologia. Noi la usiamo, siamo fruitori della tecnologia, ma quando cancella il fattore umano è un problema grosso.
Certo, se anche l’errore, che è un fattore umano, viene soppiantato dalla perfezione…
Olaf Thorsen: Ora, nessun musicista vuole fare errori, no? Però è fisiologico; un conto è suonare a casa con le cuffie, seduto sulla sedia mentre stai registrando e quindi hai il tempo anche di ripetere, e un conto è stare sul palco in piedi con la chitarra a tracolla, mentre cerchi anche di fare il figo…
Roberto Tiranti: ...senza riuscirci…
Olaf Thorsen: Senza riuscirci. Il problema, come diceva Andrea, e che io condivido, la vera questione riguardo anche a quel festival (ma non per il festival in sé) è stata per noi un “aprire gli occhi” su quella che attualmente è la situazione. La mia domanda è: se dovessi andare sul palco con le chitarre in base e con le tastiere in base, cioè facendo finta di suonare, allora cosa suono a fare? Cosa suono a fare se non mi rimane neanche il momento del concerto live, che poi è il momento clou, è il culmine tutto? Diamo il massimo, scriviamo un disco e lo pubblichiamo, facciamo le foto, facciamo tutto e poi arriva il momento di suonarlo. Se non me lo fai neanche suonare dal vivo, io, onestamente, cosa suono a fare?
Certo, inoltre, visto che poi è tutto così tecnologico e digitale, dove resta un contatto diretto con il pubblico se non al concerto?
Olaf Thorsen: Io credo che si stia perdendo un po l'accettazione del fatto che siamo esseri umani, quindi non si può essere sempre perfetti. Nessuno, neanche le band più sacre, sono sempre perfette continuamente; però c'è un limite, se la tecnologia mi deve sostituire, allora io non servo più. Allora mandiamo gli ologrammi sul palco e io sto a casa.
Ma, visto che volete suonare in prima linea, senza troppe tecnologie intorno, giustamente aggiungerei, c'è una canzone in particolare che non vedete l'ora di fare dal vivo, anche davanti al pubblico italiano?
Andrea Cantarelli: No, però ce ne sono un sacco che non vediamo l'ora di non fare. Normalmente cerchiamo di suonare i brani più recenti senza esagerare, perché bisogna aver rispetto di chi magari ha pagato un biglietto anche per ascoltare la produzione storica. Però è ovvio che suonare dal vivo alcuni brani del nuovo album ci darà tanta soddisfazione, oltre che tanto panico, perché ci sono alcuni brani veramente, veramente impegnativi. E poi c'è una sequela di canzoni che non ne possiamo più di suonare, che come potrai immaginare, perchè sono brani che portiamo dal vivo dagli inizi praticamente, che però è giusto proporre, ma subentra, come dire, non la noia, ma il fatto di dover suonare sempre, ancora una volta, quel brano; anche se poi in realtà tutto viene spesso compensato dalla reazione del pubblico. Diventa divertente farlo sul palco, il problema sono le prove. Le nostre prove sono così: ci vediamo alle due, facciamo almeno un paio d'ore di prove e poi quando si tratta di provare la scaletta i commenti sono no, questo no, questo neanche, questo neppure.
Olaf Thorsen: Insomma, alla fine proviamo quattro pezzi.
Provate, bevete due birre e andate a casa. Ottimo.
Andrea Cantarelli: Adesso c'è anche un problema con quelle due birre, perché chiaramente bisogna anche poi guidare e tornare a casa.
Bravo, quindi sono prove un po' più sobrie, diciamo.
Roberto Tiranti: No, sobrie per nulla; non alcoliche, però sobrie proprio no.
Nel raccontare l'album si parla della ricerca di un posto in cui cercare di vivere in pace. Non so se scrivendo questo album l'avete un po' trovato questo posto nel mondo in cui poter vivere in pace, o è una ricerca che va portata avanti a oltranza.
Roberto Tiranti: Credo che ognuno di noi abbia il proprio spazio in cui si sente nella zona giusta, nella zona di comfort in questo mondo. Per quanto mi riguarda è difficile trovarla ai tempi d’oggi. Parlo per me, ormai cinquantuenne, per mille motivi, perché ovviamente non sono in linea con ciò che sta accadendo. Faccio fatica ad accettare alcune regole e a capire che molte regole che andavano bene fino a ieri, oggi non vanno più bene. Ma può essere un'evoluzione. In effetti non voglio mettermi di traverso più di tanto, però per me non vanno bene, è abbastanza incomprensibile. Anche te per esempio, Elisa, immagino che abbia una tua zona dove nessuno ti tocca, dove sei a tuo agio. Per me ovviamente è la musica e spesso anche il palco, oppure un posto sperduto dove ho una piccola casetta in campagna.
Ognuno fortunatamente ha un piccolo posto dove stare tranquillo e sentirsi in pace. Visto che un pò il panorama è cambiato, che tante regole stanno cambiando e voi siete comunque uno dei punti di riferimento del mondo del Power Metal in Italia, cosa consigliereste a una band alle prese oggi con il cercare di posizionarsi nel mercato musicale?
Olaf Thorsen: Guarda, credo di poter parlare per tutti nel dirti che siamo gli ultimi a poter dare consigli! Perché? Noi facciamo tutto il contrario di quello che dovrebbe essere fatto oggi per una band che intende avere successo. Una band nuova oggi la prima mansione a cui deve dare tempo, è la musica. Ma le nuove band secondo me oggi spendono fin troppo tempo su Instagram, sui vari social, si devono auto promuovere e solo dopo viene la musica. Ma noi siamo ancora quelli di una volta, per noi c'è solo la musica. In realtà poi ci prendono regolarmente a calci: un po' quelli della casa discografica, un po' la promozione, un po' le agenzie, perché quando arriva il momento di far uscire il disco e di fare il concerto, ci chiedono di promuovere. Ma abbiamo proprio un rigetto naturale. C'è questo autocompiacimento che ormai va di moda su Instagram; qualunque gruppo è figo, è sempre figo, è sempre bello, è tutto figo. E poi ti devono far vedere il momento in cui aprono il box del cd, quando arriva la maglietta… va bene, però è tutto standardizzato. Per un gruppo nuovo, probabilmente, se non fai neanche quello le case discografiche oggi non ti danno spazio. Una volta si mandava il demo che doveva essere bello, con le foto ovviamente, e dovevi sperare di essere bello e figo e che qualcuno ti chiamasse, oggi la prima cosa che ti chiedono sono i link dei social e vanno a vedere quanti like hai. Se non hai like, probabilmente non interessi.
Andrea Cantarelli: Io sono ancora più drastico su questo tema, nel senso che tu, Elisa, parlavi di una band che si sta affacciando oggi sul mercato e la considerazione che faccio è che non esiste più un mercato, nel senso che qualunque mercato, in qualunque settore, vive nel momento in cui il suo prodotto è interessante per il pubblico. Il prodotto che scaturisce da un'azienda che produce musica, dall’etichetta discografica se preferisci, è un cd, non può essere nient'altro che quello. Da quando la musica è diventata liquida, non esistendo più un prodotto da poter rivendere, quel mercato è naturalmente morto. Tanto che venendo dietro a quello che diceva Olaf, oggi non si vende più la musica, ma si vende l'immagine. E quello non è il nostro mestiere. Noi? Noi proviamo ancora a fare musica e a diffonderla. Se tu chiedi a me di vendere la mia immagine, io ti dico “no, grazie”. E questa è purtroppo un'amara considerazione, perché mi rendo conto che le nuove leve, essendo cresciute con questo tipo di cultura, questo tipo di messaggio lo stanno sposando al 100%. Ne vediamo poi i risultati, come dicevo prima, quindi io credo che esattamente come è passato di moda l'andare a teatro o ascoltare un concerto di musica classica, come avveniva secoli fa, anche quello che per noi è scontato, quindi questo modo di intendere la musica, sia arrivato, come dire, alla sua naturale fine. In più c'è talmente tanto materiale in giro che uno dice vabbè, ma se smettiamo di scrivere musica il pubblico che cosa ascolta? Il pubblico ascolta ancora cent'anni di musica, ci sarà tempo almeno per 2 o 3 generazioni prima di sentire il bisogno di qualcosa di nuovo. Quindi, onestamente, il consiglio che do alle nuove band è banale, stupido, ma alla fine se hai una passione, quella passione non dipende dal successo che ottieni di pubblico, commerciale, economico. È una passione pura. Goditela. Punto. Né più né meno che questo.
Però ad un certo punto avete fatto dei festival pazzeschi accanto a band pazzesche; tour con Dream Theater con gli Angra, i Gods of Metal…
Andrea Cantarelli: Era un periodo diverso, dove ancora la musica parlava. L'aneddoto che raccontiamo sempre è relativo a un momento particolare alla fine degli anni ’90, in quel periodo lì, ma anche prima. C'erano due fiere, almeno in Europa, dove i discografici si riunivano e gli artisti facevano ascoltare il loro materiale. Erano il Midem di Cannes e il Pop-com ad Amburgo, se non ricordo male, o a Monaco. E io ricordo che PickUp Records, l'etichetta che ci seguiva ai tempi, arrivò al Midem di Cannes nella riunione con Metal Blade con cinque proposte di gruppi italiani. Il nostro era l'ultimo della fila perché ovviamente non credevano così tanto nelle band. Metal Blade si mise con pazienza ad ascoltare e, per fartela breve, disse “voglio loro”, ma non sapeva chi fossimo, non gliene fregava niente di come fossimo, belli, brutti, alti, bassi, vestiti da cosa. Il nano con l’ascia, quello di quel programma che c’era, con Marco, che ogni tanto spuntava fuori il nano con l'ascia. Me lo ricordo… Sono andato a cercare i programmi sul paranormale ogni tanto c'era sto filmato col nano con l’ascia… era roba seria!
Roberto Tiranti: Lascia e raddoppia!
Andrea Cantarelli: Metal Blade fece un investimento su di noi. E decise che quel tipo di musica meritasse di essere portata al più ampio pubblico possibile, quindi, in maniera assolutamente naturale, ci inserì all'interno dei principali festival estivi, in collaborazione con quella che ai tempi era non ricordo più se non è neanche più Live Nation, non è neanche più Vertigo, insomma, si crearono quelle condizioni partendo dalla musica per cui qualcuno che voleva fare soldi su di noi vide un'opportunità. Ma questo era figlio di un mercato ancora sufficientemente florido per far sperare alle etichette e alle band di potersi costruire una professione. Questa cosa morì pochi anni dopo.
Poi adesso è comparsa Frontiers ed è iniziato questo altro capitolo. Oltre a sgridarvi perché dovete essere più social o fare promozione, come va la collaborazione con loro?
Olaf Thorsen: Frontiers fa il suo lavoro. È un'etichetta che ha tantissime band di livello anche molto molto elevato, quindi noi ci adeguiamo a quelle che sono le loro dinamiche, tempistiche e politiche di promozione. Sicuramente le va dato merito di essere stata quella che ci ha convinto a rifare prima un disco, poi due, poi tre, quindi la loro insistenza comunque ha motivo di essere apprezzata. Ognuno vive dalla propria parte della barricata. Loro sono l'etichetta che ha a che fare con tempi di consegna del master, del prodotto di rilascio. Noi siamo quelli che devono sempre essere un po' convinti a calci a fare le cose, soprattutto a farle nei tempi giusti. Per il resto, come diceva Andrea prima, siamo sul crinale di un'epoca che è già cambiata, ma come sempre le cose non cambiano, non si aggiustano in tempo reale in tutti i settori. Noi continuiamo a parlare di dischi, ma la verità è che oggi dovremmo parlare più di stream, neanche ormai di MP3, è vecchio anche quello. Dovremmo parlare di Spotify, di visualizzazioni su YouTube. E questo è il grande punto interrogativo. Io credo anche che Frontiers stia cercando di lavorare per adeguarsi, per modificare quelle che sono ancora oggi le dinamiche dominanti, che però si basano su un mondo o su un concetto di mondo che allo stato attuale in realtà non c'è già più.
Certo, è talmente tanto sempre tutto in cambiamento che è difficile per chiunque averne contezza.
Olaf Thorsen: Noi abbiamo fatto appena uscire un disco, sono dieci, undici brani. Normalmente una band rilascia dieci, undici pezzi, ma la realtà è che per la maggior parte delle persone questo album si si riduce a quei 2 o 3 singoli che vengono pubblicati sui canali. C'è chi ci segue e sente l’album, ma ovviamente sono molte di più le persone che ascoltano questi questi 2 o 3 singoli rispetto a quelle che poi vanno veramente a comprare l'album, ad aprire il libretto e ad ascoltarsi tutte e dieci, le undici canzoni. Quindi, anche questo è un metodo forse ormai anacronistico di rilasciare musica. Ne parliamo anche a volte tra di noi quando viaggiamo, oggi forse avrebbe quasi più senso far uscire un brano o scrivere un brano alla volta e pubblicarlo. Perché fai fatica per dieci pezzi quando poi te ne vengono promossi uno, due, tre? Non è una critica: a prescindere da noi, a prescindere da Frontiers, vale per chiunque.
Torniamo al live, noi vi aspettiamo, ci sarà la possibilità di ascoltarvi?
Roberto Tiranti: Il 23 maggio siamo a Reggio Emilia e il 24 maggio a Milano.
Perfetto, visto che io viaggio tra Milano e Reggio Emilia direi è perfetto. Avete scelto i posti ideali.
Andrea Cantarelli: Sei ufficialmente invitata!
Allora io intanto vi ringrazio e sicuramente faremo uscire l’intervista sui vari social, come da moda attuale! So che non vedete l’ora!
Olaf Thorsen: Abbiamo appena perso l'accesso a Instagram, forse l’ho recuperato, dopo vi spiego! Però, tanto per capirci, diciamo che ogni tot questi questi sistemi buttano fuori gli utenti e nessuno di noi tre si ricorda la password.
Meraviglioso.
Olaf Thorsen: Ora sono riuscito a recuperare una password, ma tanto per farti capire come siamo esperti!