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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
18/11/2024
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Francesca Bono
In un mondo di copie e mode uno dei complimenti migliori da fare ad un artista rischia di essere "indefinito" e "inclassificabile". E' quello che abbiamo pensato del bellissimo disco di Francesca Bono, con cui abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere per approfondire al meglio genesi, collaborazioni e dettagli.

Dopo le esperienze di Ofeliadorme e Bono / Burattini (di cui trovate qui la nostra recensione), che hanno permesso al talento di Francesca Bono di dispiegarsi in pieno nel panorama musicale italiano, Crumpled Canvas ha segnato l’esordio da solista per l’artista bolognese: un lavoro a tratti inclassificabile, figlio dei precedenti ma allo stesso tempo proiettato in un mondo differente, ad esplorare territori indistinti, rielaborando le influenze fino a renderle personali e di fatto perfettamente assimilate.

Un disco che è anche arricchito dalle collaborazioni: dall’amica e collega Vittoria Burattini, a Egle Sommacal (Massimo Volume, come del resto anche Vittoria) e Marcello Petruzzi (33 Ore); e poi due importantissimi nomi esteri: Mick Harvey e Alain Johannes, che hanno reso ancora più belle canzoni già ottimamente scritte, e in qualche modo “nobilitato” uno sforzo che, provenendo da un paese non certo evoluto dal punto di vista musicale, potrebbe correre il rischio di venire sottovalutato in partenza.

La verità è che Crumpled Canvas, almeno in ambito italiano, è già uno dei dischi dell’anno: anche solo per il fatto che ha il coraggio di prescindere da ciò che va per la maggiore e andare per la propria strada. Abbiamo contattato Francesca per approfondire il discorso e questo è quello che è venuto fuori.

 

 

C’è qualche differenza nel modo in cui hai lavorato a questo disco rispetto a quello di Bono/Burattini? 

Credo che ogni disco abbia una sua personale genesi e il modus operandi sia strettamente collegato a molteplici fattori, alcuni dei quali possono originare dalla volontà dell’artista. Altri dipendono dal caso, come è successo con Crumpled Canvas. Ma faccio un passo indietro: Suono In Un Tempo Trasfigurato era nato originariamente come commissione fattami da Home Movies per dei corti di Maya Deren, che avevo già deciso di comporre solo al synth e (inizialmente) senza voci. Poi, nel giro di poco, mi dissero che potevo coinvolgere un’altra persona e ho subito pensato a Vittoria, con la quale abbiamo ripreso in mano quel che avevo scritto e l’abbiamo trasformato insieme in quel che è diventato l’esordio Bono / Burattini su Maple Death Records. Al contrario, col mio esordio da solista non c’è stato inizialmente un input esterno; semplicemente, continuavo in parallelo a scrivere canzoni che archiviavo nel mio hard-disk, e un paio di queste, come mi succede praticamente sempre da 20 anni, mi ossessionavano. Nel senso che la mia testa le riproduceva continuamente. Due di queste erano “Black Horse” e “Bologna’s Bliss and Conversations”. Ad un certo punto ho avuto bisogno di un parere imparziale e spietato da parte di qualcuno totalmente esterno alla scena italiana, e così ho chiesto a Mick (Harvey, NDA) se avesse voluto ascoltare qualcosa. Non immaginavo che si sarebbe offerto di diventare parte del progetto. Poi, quando post pandemia mi ha dato delle date papabili durante le quali avrebbe potuto essere in Europa e venire quindi a Bologna per registrare il disco, ho capito che la cosa si sarebbe concretizzata.

 

E a Mick Harvey, in origine, come ci sei arrivata?

Lo conoscevo da un po’, prima solo tramite scambi via mail; nel 2017 gli avevo spedito l’ultimo album degli Ofeliadorme, Secret Fires (prodotto da Howie B) e lui si era innamorato di una canzone, “Alone With The Stars”, tanto che proprio quest’anno, con mia grande sorpresa, ne ha inserita una personalissima versione nel suo disco Five Ways To Say Goodbye, uscito su Mute Records. Poi, sempre nel 2017, mi ha invitata al concerto di PJ Harvey al Today’s Festival di Torino, sono andata a cena con la band, e così ho conosciuto lui, ma anche Alain Johannes, che ha mixato il disco, una delle persone più divertenti e brillanti che mi sia capitato di incontrare. Da lì ci siamo scambiati i numeri e abbiamo continuato a sentirci, fino a quando, come dicevo più sopra, ho pensato di chiedergli un parere su alcune cose che avevo scritto.

 

Com'è stato lavorare con lui? In che misura, a tuo parere, il suo contributo ha fatto la differenza? 

È stato molto naturale, mi ha fatto da motivatore e ha assecondato la mia idea produttiva, come ha scritto anche lui su alcuni post sui suoi social. E poi ha arricchito i brani con degli arrangiamenti per tastiere bellissimi, cogliendo perfettamente lo spirito di ogni singolo brano, e quindi sperimentando con vari suoni e strumenti, dal piano al Farfisa al Wurlitzer. Ha suonato il basso in un paio di occasioni e, terminate le registrazioni, si è offerto di tornare dopo due settimane per rifinire alcuni dettagli solo con me e Bruno Germano (che ha registrato il disco al Vacuum Studio). Una bellissima esperienza umana e professionale.

 

A questo punto ti faccio le stesse domande per quanto riguarda il ruolo di Alain Johannes…

Conoscevo Alain come musicista, dai suoi Eleven alle esperienze con QOTSA and Them Crooked Vulture, e lo avevo già visto suonare con PJ Harvey. Ma ho poi scoperto che è stato molto tempo anche al fianco di Mark Lanegan, artista che amo, mixando vari dei suoi dischi. Dopo averlo conosciuto di persona mi era rimasto un ricordo così bello che quando Mick ha suggerito di far mixare i pezzi a lui, ho pensato che fosse una buona idea. Alla fine ha anche impreziosito il finale di “Raging Fire” con un tocco minimale di chitarra ed ebow, per il quale gli sono molto grata.

 

Con Vittoria Burattini ormai c’è un sodalizio da tempo, immagino che Egle tu lo abbia coinvolto a partire da lei. Che cosa puoi dire del contributo di entrambi al disco? 

Conosco tutti i Massimo Volume da molto tempo e per un motivo o per un altro è finita che, oltre ad aver prestato la mia voce per dei cori nel loro ultimo disco, Il Nuotatore, ho partecipato a progetti musicali con tutti loro, come è successo l’anno scorso con Motel Chronicles di Clementi e Nuccini. Con Vittoria siamo molto amiche da tantissimi anni, e insieme abbiamo pure partecipato al progetto DonnaCirco, con altre musiciste. Egle aveva suonato una volta sul palco con gli Ofeliadorme, su nostro invito, ed è uno dei miei chitarristi preferiti. Quando ho dovuto decidere chi avere al mio fianco per registrare l’album avevo in mente alcuni nomi, tra i quali ovviamente i loro, ma avevo anche dei vincoli, perchè Mick poteva essere a Bologna solo nelle date che mi aveva comunicato, e così il team si è ridotto a un nucleo compatto: io, Mick, Vitto ed Egle, ai quali si sono aggiunti, in alcuni brani, Marcello Petruzzi e Silvia Tarozzi. Egle è un gentiluomo e ha scritto parti bellissime, ma ha pure deciso di non toccare alcuni arrangiamenti di chitarre già presenti e registrate da me, nonostante gli avessi detto che poteva propormi anche altro. È una persona che mette la sua creatività al servizio del singolo brano, come poi tutta la squadra, e non è scontato.

 

Le canzoni di Crumpled Canvas si muovono su territori piuttosto indefiniti: voglio dire, i riferimenti ci sono, però declinati in maniera tale da rendere il tutto piuttosto inclassificabile. Che ne pensi? 

Lo considero un complimento e spero in futuro di rendere la mia produzione ancora più “inclassificabile”. Sento di aver intrapreso un nuovo corso negli ultimi anni, dedito all’esplorazione di più contesti, e nel quale sperimentare in modi diversi con la voce e la forma canzone, tra le altre cose. Diciamo che auspico che questo album solista sia la prima pietra sulla quale edificare costruzioni, se possibile, ancora più personali.

 

Pur avendo tutti un trattamento “full band”, i brani di questo disco si muovono su territori piuttosto pacati, quasi da ballata; ti è venuto fuori così? Fai mai uno studio preliminare sulla tua scrittura o vai a sensazioni? 

È vero, e la ragione principale, oltre al fatto che adoro le ballad, è che i primi brani che ho scritto risalgono al periodo in cui era nato il mio primo figlio e a casa suonavo spesso anche per lui, solo con chitarra classica e voce. Ho poi cercato di mantenere una coerenza stilistica d’insieme, ma non è stato particolarmente difficile. Difficilmente faccio uno studio preliminare, mi affido molto al caso e il caso spesso mi regala le sorprese migliori. Ma ho sicuramente acquisito delle competenze, in tutti questi anni, che mi permettono di tenere la barra dritta e vedere con una certa precisione in che direzione sta andando un progetto a cui sto lavorando. Diciamo che sono molto consapevole dei miei limiti e dei miei punti di forza, e li esploro senza più alcun timore.

 

Brutto ragionare per schemi, però ho notato che negli ultimi anni sta nascendo tutta una “scena” (se si può chiamarla così) di artiste che, oltre che in Italia, stanno avendo anche diversi riconoscimenti all'estero: Emma Tricca, Any Other, Marta del Grandi, Daniela Pes, Bluem, Maria Chiara Argirò, ovviamente tu: come la vedi? È casuale oppure qualche cosa sta veramente cambiando? 

Io sono felicissima di questa cosa, anche perché molte di queste che hai nominato sono musiciste più giovani, che si trovano in una situazione più favorevole alla quale spero di aver, seppur in piccola parte, contribuito anche io e le musiciste della mia generazione o di quella precedente. In Italia abbiamo delle ottime artiste e spero che col tempo si possa sempre più considerare la musica e non l’identità di genere della persona che quella musica l’ha prodotta. Mi sembra anche che mediamente ci sia più rappresentazione nelle band e in alcune line-up. C’è ancora da fare, ma le premesse mi sembrano buone.

 

Sulla situazione musicale in Italia: se da una parte il mainstream sembra sempre più dominato da Rap, Trap e Urban in generale, con conseguente omologazione massiccia della proposta, a livello più sotterraneo c’è invece tantissima roba interessante, che si muove al di fuori dei canoni consolidati (penso ad esempio a Cigno, che è un progetto veramente trasversale). C’è futuro, secondo te, oppure rimarranno sempre proposte destinate ad un pubblico selezionato? 

Non conosco Cigno, quindi grazie per averne fatto il nome, così vado ad ascoltare. Riguardo alla tua domanda, forse sarò un po’ pessimista, ma credo che molto probabilmente certe proposte rimarranno destinate a un pubblico selezionato. Manca proprio la cultura di base che potrebbe fornire l’humus per far sì che certe sonorità non rimangano fortemente di nicchia. Il discorso è molto ampio e riguarda praticamente tutto, dalle politiche all’educazione, dalle radio agli spazi preposti.

 

Hai programmato un tour? Con chi suonerai? Su quale parte della tua carriera ti concentrerai, oltre al nuovo disco? 

Per riallacciarmi alla domanda precedente, vorrei portare il mio live in situazioni e contesti che possano avere un senso per me e per chi li frequenta. Ho suonato un’anteprima il giorno dell’uscita del disco per l’ottima rassegna Mount Echo, nelle Marche, ed è stato un battesimo da favola, fatto in duo con la contrabbassista e compositrice Francesca Baccolini, in un set ibrido che prevede sintetizzatori, chitarra, basso, sequenze. Il 19 Dicembre presento ufficialmente il disco in trio con l’aggiunta di Egle Sommacal al Locomotiv Club di Bologna. A casa, insomma. Poi da Gennaio farò altre date selezionate. Con Vittoria abbiamo da poco presentato un lavoro nuovo con Bono / Burattini in uno show sold-out al Teatro San Leonardo di Bologna, una collaborazione tra Home Movies e Angelica, e sulla scia di questo stiamo lavorando al prossimo disco. A Dicembre sarò sul palco dell’Arena Del Sole di Bologna per lo spettacolo teatrale Perché io non spero più di ritornare, con Emidio Clementi, Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi. E poi ho intenzione di continuare il mio percorso in solitaria esplorando e sviluppando nuove idee, col tempo che ci vorrà.