Pochi gruppi, o forse nessun gruppo, in Italia, è come i C+C=Maxigross. Innamorati della psichedelia e dei Grateful Dead, una band che da noi non ha mai goduto di particolare apprezzamento e che hanno capito in pochissimi (rispondendomi sulla questione, mi hanno fatto intuire indirettamente il perché), i veneti portano avanti da 15 anni un discorso collettivo che ha molto più a che fare col vivere l’arte nella sua dimensione totalizzante, piuttosto che col mero scrivere e registrare canzoni.
Cosmic Res, il loro nuovo disco, è stato direttamente ispirato dalla tragica scomparsa di Miles Cooper Seaton, amico carissimo e collaboratore stretto nei loro ultimi anni. Non esattamente il tentativo di colmare un vuoto, quanto di riflettere sul mistero dell’esistenza, sulla possibilità di poter fare musica anche dopo una perdita così tragica, sull’ipotesi che un’assenza possa, magari proprio perché raccontata attraverso l’arte, divenire nuovamente presenza.
Di recente sono passati da Milano per una delle prime date del nuovo tour, e non sono purtroppo riuscito ad esserci. Li ho dunque contattati qualche giorno dopo e ne è venuta fuori una chiacchierata interessante, molto utile per approfondire il nuovo disco ma anche diversi aspetti della loro filosofia musicale.
Come sta andando il tour? Avete considerazioni interessanti da fare o episodi degni di nota da raccontare?
È appena cominciato, al momento abbiamo fatto quattro date. È la prima volta dalla fine della pandemia, ma sarebbe più corretto dire dal 2017 circa, in cui abbiamo di fronte un tour che passa nei migliori club d'Italia (di media capienza). Quindi siamo molto contenti ed emozionati.
Cosmic Res, da quanto ho letto, nasce per onorare la memoria di Miles Cooper Seaton. Oltre al brano “Aquila bianca”, in che modo la sua presenza vive in questo disco?
Inevitabilmente siamo stati influenzati da una vicenda così forte, che prontamente abbiamo elaborato attraverso l'Arte. Ma non è stato un processo razionale e premeditato, è stata l'unica cosa che ci sembrava aver senso in un momento in cui una certezza delle nostre vite è scomparsa. Non è propriamente un concept, ma senz'altro una fotografia di cosa vivevamo e sentivamo in quel momento esatto, seppur non in maniera Neo Realista, bensì allucinata, visionaria, con colori che spesso virano al contrasto fino a bruciare la pellicola.
Nonostante l'occasione che lo ha in qualche modo ispirato e generato, mi pare che questo sia uno dei dischi più aperti e solari che abbiate mai fatto. Siete d'accordo con me? E se sì, come ve lo spiegate?
Abbiamo cercato di non piangerci addosso, e senz'altro volevamo che musicalmente (non liricamente) trasmettesse una ricchezza ritmica e sonora coinvolgente. Noi stessi in primis volevamo essere "gasati" da questa musica, dalle sue melodie e i suoi ritmi intrecciati. Volevamo stare "su" e scendere solo ogni tanto. Siamo contenti che questo senso sia stato espresso. Era assolutamente intenzionale.
Non ho riconosciuto l'edificio ritratto in copertina: come lo avete scelto e che legame c’è col titolo del disco?
È una fotografia scattata da Noemi Trazzi a Isola Bella (sul lago Maggiore). Sono sue anche le altre foto legate all'immaginario di questo disco. Ci siamo affidati alla sua visione che ci sembrava ben collegata a certe sensazioni presenti nella Musica. Naturalmente siamo lieti che aprano connessioni che non avevamo stabilito intenzionalmente.
Mi ha colpito molto un brano come “Bruceremo Palo Santo”, che è anche quello forse più “psichedelico” nelle intenzioni, anche abbastanza inquietante come melodia, a dispetto di un titolo che dovrebbe evocare una sensazione di benessere. Come è nato e di che cosa parla esattamente?
“Bruceremo Palo Santo” nasce da un'improvvisazione ritmica in studio da cui è scaturita la base su cui abbiamo poi creato le varie strutture e melodie. Per noi non è un brano inquietante, anzi. Proprio come l'intero disco ne è stato un tentativo, in questo brano abbiamo provato a osservare la Morte. Un gruppo di amici affronta la perdita di un compagno, rendendosi conto che il Ciclo della Vita continua in modalità che sono quotidianamente di fronte agli occhi di ogni persona, anche se troppo spesso ce ne dimentichiamo. Le ossa tornano a essere parte della stessa terra che le aveva generate, mentre dalla stessa terra nascono le piante di cui ci nutriamo, e il fumo si dissolve penetrando ogni cosa: bruciare Palo Santo è il nostro rito per addentrarci in un concerto, una prova, una registrazione. Quando quella fragranza raggiunge le nostre narici lasciamo da parte i pensieri e i fardelli inutili e possiamo così dedicarci davvero alla Musica e alla sua capacità di elevarci.
E invece di “Battelli ebbri” che cosa potete dirmi? C’entra per caso Rimbaud, come sembrerebbe dal titolo?
La citazione è voluta, anche se è arrivata alla fine della scrittura. Il brano è la descrizione di un sogno, un viaggio che mi ha portato ad attraversare il deserto e i suoi fiumi, che mi ha spinto verso terre che non avrei mai pensato di poter raggiungere con lucidità e razionalità. Solo abbandonandosi all'Amore, fino ad esserne ebbri, si possono fare cose che vanno al di là di noi stessi.
In “Mele d'argento” avete collaborato con Vipera, che è un'artista che amo molto. Mi raccontate qualcosa di più di questa collaborazione?
Vipera è un'artista che stimiamo molto, strettamente collegata ai C+C nella figura di Cru, che ne è produttore artistico dal primo ep. Va da sé che è stato semplice e naturale chiederle di collaborare. Crediamo che ci siano poche personalità artistiche come lei in questo momento in Italia, che coniugano diversi mezzi espressivi con tale maestria e visionarietà. Il tempo le darà ragione.
Siete stati spesso paragonati ai Grateful Dead ed è una cosa strana, perché si tratta di una band che, pur conosciutissima e fondamentale anche per il ruolo culturale che ha avuto, qui in Italia è sempre stata poco considerata. Qual è esattamente il vostro rapporto con Jerry Garcia e soci?
Filosoficamente (ma anche a livello pratico) i Dead sono per noi l'esempio assoluto, imperfetto e inimitabile, di cosa significhi davvero essere una "band", nell'accezione di progetto collettivo dove l'importanza è l'insieme, il lavoro di gruppo, e non i singoli individui. Se ci pensi sono l'esatto contrario dell'immaginario per eccellenza della band pop occidentale, ossia i Beatles (tre leader su quattro che si scontrano costantemente per primeggiare sugli altri). Garcia diceva che vedeva il progetto Dead "as a living thing", qualcosa che va ben oltre i membri singoli. Con tutte le dovute proporzioni è quello che sento riguardo ai C+C.
Siete in giro ormai da più di 15 anni, cosa non scontata per una band in quest’epoca contemporanea. Qual è secondo voi il “segreto” dell'essere ancora sulle scene? C’è stato in passato un momento del vostro cammino in cui avete seriamente temuto di non farcela?
Questa domanda si collega direttamente a quella precedente. Da quando nel 2008 io, Filippo Brugnoli e Francesco Ambrosini abbiamo dato un nome a questa "amicizia musicale" (è andata letteralmente così) si sono susseguite costantemente "crisi" ed enormi mutamenti, e già dopo il primo cambio di formazione "storica" nel 2013 (con l'uscita di Carlotta Favretto e Mattia Tramonti) abbiamo capito che l'unica maniera per "sopravvivere" ai cambiamenti è scorrere con il fiume, e non opporsi alla corrente. Naturalmente non significa essere passivi, perché altrimenti rischi di farti sopraffare dalle onde della corrente, bensì seguire il flusso rimanendo a galla per capire che ricchezze puoi trovare nei nuovi lidi che raggiungerai. Finché riusciremo a scorrere con naturalezza questo progetto potenzialmente non avrà fine.
Una curiosità per concludere: usate spesso il termine “tega” e l'espressione “tirare la tega”. Potreste spiegare che cosa significa (immagino sia un'espressione veneta, quando ero adolescente usavamo il termine tega per identificare una “botta”, di vario genere, ma non so se sia uguale)?
Ah ah, hai centrato in pieno il significato! Per quanto in veronese/veneto derivi da altri termini noi lo usiamo nell'accezione che intendi tu: letteralmente significa "botta" in senso figurato, come la parola "trip". "Tirarsi la tega" significa "intripparsi". E proprio come con "trip" è importante specificare l'accezione positiva o negativa: "che bella/brutta tega! Ma tendenzialmente, da inguaribili ottimisti come siamo, per la noi la TEGA è qualcosa di entusiasmante e contagioso, fondamentale per affrontare la vita di tutti i giorni. Never stop the Tega.