Lo dicono loro stessi ad un certo punto di questa intervista: la 42Records non è mai stata troppo attenta ai generi musicali, quanto alla natura della musica proposta di volta in volta dagli artisti. Questa attenzione alla qualità e all’essenza del progetto, piuttosto che alla sua “vendibilità”, è ciò che negli anni ha reso l’etichetta fondata da Emiliano Colasanti una delle realtà più valide e interessanti presenti oggi in Italia. Che poi, a lavorare in questo modo, alla fine il successo commerciale lo si ottiene comunque: senza dover per forza scomodare I Cani, i recenti exploit di Cosmo e del duo Colapesce/Dimartino sono lì da vedere, per non parlare poi della straordinaria attenzione suscitata da una proposta non certo facile e immediata come quella di Andrea Laszlo De Simone.
È giunto ora il momento di una nuova sfida: Pororoca, realizzato da un trio formatosi per l’occasione (ma i cui membri si conoscono da tempo) e costituito da Alessandro Cau, Tancredi Emmi e Federico Fenu, rappresenta infatti la prima incursione della label nel campo del Jazz. Per quanto loro stessi (lo leggerete a breve in questa intervista) ci abbiano confessato di non amare questo tipo di definizioni generiche, e per quanto in passato abbiano collaborato con musicisti di varia estrazione, come Lee Ranaldo, Erik Truffaz o Marcus Malone o Miles Cooper Keaton, alla fine quello che fanno può essere definito Jazz senza timore di smentite.
Registrato nella loro Sardegna (per la precisione nel Teatro civico di Terralba, in provincia di Oristano) da una vecchia conoscenza come Marco Giudici, e con la presenza di uno special guest d’eccezione come Adele Altro (e così la quota Any Other risulta completa) Pororoca si muove tra scrittura e improvvisazione, basso, contrabbasso, batteria e trombone ad evocare paesaggi incontaminati, che possono essere quelli della Sardegna, quanto quelli del Rio delle Amazzoni evocato dal titolo. Alla base c’è un Jazz nel complesso standard, lontano da tutte quelle contaminazioni a cui ci hanno abituato molti artisti negli ultimi anni; al contempo, però, ogni definizione è effettivamente superflua, basterebbe lasciarsi trasportare dal fluire della musica, come bene esemplifica la lunga composizione “Ottobre”, impreziosita dai vocalizzi di una Adele Altro straordinariamente a fuoco e a proprio agio.
Un progetto bellissimo, che ci auguriamo di vedere presto dal vivo e che nel frattempo abbiamo voluto approfondire coi diretti interessati.
Partiamo dall'inizio: vi conoscevate già prima di questo progetto? Avevate già lavorato insieme?
FEDERICO: Non dimentichiamoci che siamo quasi tutti di Oristano, insomma, da queste parti ci conosciamo tutti! Nel nostro caso, oltre a una rete di amicizie comuni ci siamo incontrati in tante varie occasioni. Sapevamo abbastanza con chi "avremmo avuto a che fare".
Da dove nasce l'idea di fare un disco assieme?
ALESSANDRO: Lo scorso anno il Dromos Festival mi ha commissionato un progetto dandomi carta bianca, ho subito pensato che avrei voluto tirar su qualcosa di completamente acustico, una band con cui poter suonare anche in mezzo ad una foresta senza elettricità. Così la scelta di due musicisti che stimo tantissimo e che penso siano fenomenali è stata facile, ho chiamato Federico al trombone e Tancredi al contrabbasso, la cosa ci è piaciuta parecchio ed eccoci qua.
Il titolo “Pororoca” è molto curioso: da dove l'avete preso? Che significa?
ALESSANDRO: Tempo fa mi sono imbattuto in una lettura che parlava di fenomeni naturali. Pororoca è il nome di un mascheretto, più precisamente quello del Rio delle Amazzoni. Questo fenomeno fa sì che il fiume fluisca improvvisamente in senso opposto. Il nome deriva dalla lingua tupi (una lingua indigena del Sudamerica) e significa “grande rumore distruttore”.
Mi piacerebbe conoscere alcune storie che si celano dietro i titoli delle canzoni: si tratta di un disco strumentale, ma i titoli sono tutti ben connotati (non so cosa significhi “Seu” ma deduco che sia sardo, giusto?), per cui immagino che siate partiti da esperienze precise...
FEDERICO: I pezzi nascono dalla penna di ognuno di noi, in maniera piuttosto personale. Qualche volta arrivano in sala in maniera abbastanza costruita e allora la ricerca tocca i campi del suono e dello spazio; altre volte lasciamo che a "comporre" sia il trio, le idee che nascono in prova, l'interplay. Così anche i titoli hanno ognuno una storia a se: a volte sono scherzi, a volte immagini o chissà che.
"SEU" è un territorio sulla costa oristanese, flagellato dal vento e schiaffeggiato dal mare. Spesso mi "ispiro" a luoghi cui sono particolarmente legato e che, se avrete modo di conoscere, sono certo lasceranno qualcosa anche a voi.
Che mi dite invece della copertina? Chi l’ha realizzata e che cosa rappresenta?
FEDERICO: Ci siamo ritrovati col lavoro fatto ma non completo. Non sapevano bene di cosa avessimo avuto bisogno e allora (come spesso capita) ci siamo lasciati prendere dal gioco, o meglio, lo abbiamo lasciato fare a chi di “gioco se ne intende". Ho dato un pennarello e un foglio bianco a mio figlio Davide (6 anni). Ecco tutto. chissà che cosa gli sarà passato per la mente...
Da quel poco che capisco del genere, l'improvvisazione ha un ruolo importante in queste composizioni. Mi spiegate come sono nate? Scrivete direttamente a partire dalle Jam che fate insieme oppure c’è un qualche nucleo melodico di partenza?
ALESSANDRO: Come ha detto precedentemente Federico, per questi pezzi ognuno ha portato una bozza in sala. Ci siamo raccontati le idee reciproche, abbiamo lavorato sul suono e ci abbiamo improvvisato sopra. Questo fa sì che si creino dei ruoli all’interno di ogni pezzo che possono anche cambiare, e ogni volta succede qualcosa di diverso, una composizione non sarà mai suonata uguale alla volta precedente.
Come decidete che cosa suonare nelle varie fasi di un brano? C’è una qualche regola con cui alternate di volta in volta i vostri contributi, con cui salite in cattedra di volta in volta, oppure vi affidate all'istinto e alla sensazione del momento?
FEDERICO: Sicuramente abbiamo una grande stima reciproca e grande fiducia. Ci siamo posti questo obiettivo consci della difficoltà di un trio senza strumento armonico. Ogni volta affrontiamo la sfida, ci affidiamo a turno delle idee stampate da chi compone il brano e tutto il resto è intesa.
“Ottobre”, oltre ad essere l'episodio più lungo e variegato del disco, è anche l’unico a contenere delle linee vocali, anche se prive di testo. Com’è stato lavorare con Adele Altro? La conoscevate già? Le avete dato indicazioni sulla sua parte oppure ha deciso lei che cosa fare?
ALESSANDRO: Suono ormai dal 2018 con Adele, ho registrato e suonato per il tour del disco Any Other Two, Geography. Il suo modo di fare ed affrontare la musica mi affascina tantissimo e spesso la sua voce la sento come una lama sul cuore.
Noi abbiamo registrato live in teatro a gennaio e lei successivamente in studio. Quando le ho proposto di cantare su Ottobre le ho dato piena fiducia, giusto due indicazioni sul tema, ma con tanta libertà. E ovviamente non ci ha delusi.
Siete musicisti provenienti dall'area del Jazz ma uscite per un'etichetta che, pur con un catalogo artisticamente molto variegato, si è sempre occupata di tutt'altro. Come mai questa decisione? Vi hanno cercati loro o viceversa?
ALESSANDRO: Collaboro con la 42 dal disco di Any Other appunto e da là ho fatto altre produzioni con loro, quindi ci si conosceva già. Dopo aver registrato gli ho inviato le tracce senza tanta pretesa, ma sapendo che sono comunque attenti alla musica e non alle etichette. I pezzi sono piaciuti ed è andata bene, rimane comunque una scelta coraggiosa da parte loro e penso sia interessantissimo che aprano il loro catalogo anche a dei progetti diversi dal solito.
Com’è stato lavorare con Marco Giudici? E ho visto anche che avete registrato in Sardegna, nonostante, da quello che so, siate di stanza a Milano....
ALESSANDRO: Abbiamo base in Sardegna, benché spesso mi trovi a Milano proprio per lavorare con Marco a varie produzioni. Penso che Marco sia una persona speciale, benché non avesse mai registrato una situazione del genere ero sicuro che avrebbe azzeccato il punto. C’è da dire che è bello stare con lui e prima di piazzare un microfono coglie il senso di ciò che si sta andando a fare. Il suono che esce fuori è legato a questo.
Una domanda un po’ banale ma ve la faccio lo stesso: nella vostra carriera di musicisti avete suonato con diversi nomi importanti della scena internazionale. Avete riscontrato qualche differenza nel modus operandi e nell'attitudine di questi artisti rispetto a quelli di casa nostra? Oppure è solo un luogo comune dire che all'estero ci sono una preparazione ed una serietà maggiore?
ALESSANDRO: Penso sia davvero troppo soggettiva come cosa.
Mi pare di notare una certa crescita di attenzione nei confronti del jazz, negli ultimi anni: artisti come Kamasi Washington, Nubya Garcia, Shabaka Hutchins, Thundercat, solo per fare qualche nome, mi pare stiano portando agli ascoltatori di musica per così dire “moderna” in genere che in passato è sempre stato separato dal resto. È solo una mia impressione o c’è qualcosa di vero in questa considerazione?
ALESSANDRO: Non sono per le etichette di genere, soprattutto per la musica contaminata, insomma, è musica. Ora il termine Jazz penso sia un poco sfruttato in maniera random, tutto ciò che ha una matrice legata all’improvvisazione e armonie non del tutto tonali o un ritmo non sempre regolare vengono messe in questo calderone, noi compresi. Gli artisti che hai citato hanno delle forti componenti legate all’Hip-Hop e Dub (sempre per dare delle etichette), ma come potrai notare sono tutti artisti con una forte matrice africana (non ne hai nominato uno bianco giustamente), questa è un’evoluzione di ciò che c’è stato in passato nel jazz e continua ad andare avanti. Ma penso che la crescita di ascolti anche dai non addetti al settore sia soprattutto legata alla forte propulsione ritmica riconducibile più all’ambito commerciale che jazzistico, ed è perfetto così.
Per finire: ho visto che farete tre date in Sardegna: com'è la situazione live dalle vostre parti? E soprattutto: farete qualche data anche in zona Milano?
ALESSANDRO: Durante l’estate ci sono tanti Festival, purtroppo durante l’anno scarseggiano e così anche i Club, ma qualche perla rara si trova, E’ indispensabile spostarsi per suonare, altrimenti si ristagna. Stiamo mettendo a punto qualche data nel Nord Italia (Bologna, Milano, Brescia, Torino) per i primi mesi del 2023 poi sicuramente uscirà fuori qualcos’altro.