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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
22/06/2023
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Gianluca Gozzi (TOdays Festival)
Anche quest'anno abbiamo fatto due chiacchiere con Gianluca Gozzi, direttore artistico del TOdays Festival di Torino, parlando del Festival, ma anche e soprattutto dell’attuale stato della musica live nel nostro paese.

Nel 2022 il TOdays Festival, uno dei pochissimi eventi musicali italiani che, nonostante le dimensioni ridotte, può gareggiare, in quanto a valore della proposta, coi più blasonati appuntamenti europei, ha finalmente ripreso a funzionare a pieno regime, dopo l’interruzione del 2020 dovuta alla pandemia e all’edizione del 2021, limitata dal pubblico seduto e da una programmazione per forza di cose incentrata sulle band italiane.

L’annuncio della line up che ci troveremo davanti dal 25 al 27 agosto ha come al solito rivelato un mix efficacissimo di vecchio e nuovo, tra vecchie glorie, nomi caldi della scena indipendente e qualche gradita sorpresa. Il venerdì si segnala ovviamente per la presenza dei Wilco, assenti dall’italia dal 2019, ma sarà soprattutto la prima volta assoluta per i Les Savy Fav, storica band americana che si muove tr rock alternativo e punk. A completare la scaletta del giorno ci saranno anche due ottime realtà come i King Hannah e i Warhaus, il nuovo progetto di Martin Devoldere dei Balthazar. Il sabato è all’insegna delle vecchie conoscenze e, a parte i Gilla Band, che comunque sono da poco passati dalle nostre parti, offre tre act collaudatissimi come Verdena (alle prese con un lungo tour per i festival e le rassegne estive), che sono anche l’unico nome italiano, Anna Calvi, che non genera più lo stesso hype di qualche anno fa ma che rimane artista validissima, soprattutto dal vivo; e poi gli Sleaford Mods in quello che è probabilmente il punto più alto della loro carriera, a livello di popolarità, e che arrivano a Torino sul ricordo dello straordinario live del 2019, nella suggestiva cornice del Parco Peccei.

La domenica vedrà invece il ritorno degli inglesi Porridge Radio, che lo scorso anno abbiamo visto in due occasioni ma che risultano sempre graditi; ritorno anche per il French Sound de L’Imperatrice, già in quota ospiti stranieri al Mi Ami dello scorso anno, e poi due attesissime novità come Ibibio Sound Machine (forse il nome meno conosciuto in scaletta, ma è un gruppo di cui all’estero si sta parlando molto) e Christine and the Queens, per una serata all’insegna della Dance e dell’elettronica.

Abbiamo parlato di tutto questo col direttore artistico Gianluca Gozzi in una chiacchierata che, come ogni anno, ha affrontato anche il tema più ampio dell’attuale stato della musica live nel nostro paese.

 

 

Ti chiederei per prima cosa com’è andata l’anno scorso, cosa ha funzionato di più e cosa eventualmente c’è da migliorare.

Il bilancio lo facciamo ovviamente a posteriori, anche sulla base dei commenti delle persone presenti e delle varie recensioni, che spesso ci fanno cogliere aspetti che non avevamo minimamente notato. Ecco, alla luce di tutto questo il bilancio è assolutamente positivo, oltretutto con un cartellone che, come ogni anno, prova ad osare, ad avere delle cose che non siano mai troppo scontate. Se penso ad alcuni artisti che abbiamo avuto, li ritrovo qualche tempo dopo nelle line up dei più importanti festival del mondo. Scommettere su ciò che verrà, non solo su ciò che è già stato, è una delle missioni del nostro festival ed anche quest’anno sarà così. Il bilancio quindi è positivo ed è proprio sulla base di questo che ci spingiamo oltre nell’organizzare l’edizione successiva. Dopo gli anni bui della pandemia è diventato abbastanza difficile non offrire qualcosa che non risponda ad una domanda del territorio, per cui è importante ascoltare il pubblico ed intercettare quello che vorrebbe.

 

Se dovessi dirti la cosa che mi ha più colpito dell’anno scorso, all’interno di un’edizione ricca di concerti bellissimi, è stato vedere il successo incredibile riscosso nella seconda serata dai Molchat Doma, con tanti giovani che cantavano le loro canzoni e che sono rimasti al loro posto nonostante la pioggia; al contrario, un nome come FKJ, che pure era più in alto in cartellone, non mi pare sia riuscito più di tanto a scaldare il pubblico.

Cerchiamo innanzitutto nel non crearci troppe aspettative ma di essere molto precisi nelle nostre scelte; una di queste è provare ad eliminare questa idea culturale per cui c’è un headliner e ci sono delle band di minore importanza che si esibiscono in precedenza. Capisco che ci possa essere questa percezione da parte del pubblico, che è spesso condizionato dagli orari delle esibizioni, ma per noi non è mai stato così: una scelta come quella di far suonare Mac De Marco dopo Pj Harvey nel 2017, avrebbe potuto essere considerata estrema ma per noi no, al di là del fatto che sia stata condivisa apertamente dagli artisti. Stessa cosa quest’anno: complice un meteo entrato in perfetta sintonia con la musica dei Molchat Doma, con una pioggia torrenziale dopo nove edizioni di fila all’asciutto… anche di FKJ però si può dire lo stesso: la gente ha trovato riparo nella aree coperte e lui ha saputo creare un’atmosfera rilassante, colonna sonora ideale per un fine serata di maltempo.

 

Ciò non toglie che sia stata una bella sorpresa.

Ci piace comunque che le persone che hanno pagato il biglietto per una o due band soltanto, possano tornare a casa avendo scoperto artisti che non conoscevano. Come dico sempre, il punto non è tornare a casa soddisfatti, dire: “È stato come mi aspettavo, mi è piaciuto!”, bensì lasciarsi stupire. Che piaccia o non piaccia la musica dei vari artisti, mi interessa che lascino qualche cosa. Sui Molchat Doma ti posso dire che si è trattata di una scelta estrema, potente anche dal punto di vista politico, non facile da sostenere (sono bielorussi, NDA). Sapevamo avessero una fan base molto forte ma il successo che hanno avuto nemmeno noi ce lo aspettavamo, soprattutto che ci fosse così tanta gente giovane ad ascoltarli. D’altronde li ritroviamo quest’anno in diversi contesti europei, con numeri anche importanti, per cui si può dire che sia stata un’ulteriore scommessa vinta.

 

Senza entrare nel dettaglio dei nomi di questa edizione, perché sarebbe troppo lungo, mi sembra che anche quest’anno siate riusciti ad equilibrare bene le cosiddette “vecchie glorie” con i nomi più giovani e legati al contesto contemporaneo. Nel primo caso, devo dire che mi ha stupito molto l’accostamento di due band come Wilco e Verdena, che sono in qualche modo speculari.

Direi che hai intercettato un po’ tutto quello che è il punto. Le scelte delle band storiche per noi non sono mai un’occasione per essere nostalgici ma vanno sempre collocate nel contesto contemporaneo. Ad esempio i Wilco dopo anni di carriera hanno ottenuto quest’anno dei premi importanti, con un disco molto bello (Cruel Country, uscito nel maggio del 2022) che li ha riportati in una posizione spendibile, per cui pensiamo che sia una band che abbia delle cose da dire anche oggi. Questa specularità coi Verdena che dicevi ci sta tutta: sono una band che propone un Rock aggressivo, dirompente, fuori da ogni linea e convenzione, distruggono le convenzioni per crearne di nuove e quindi ci piaceva. Non scegliamo le band in base alla geografia, però ci piace che uno possa venire da noi ad ascoltare artisti che non è facile incontrare nella quotidianità.

Quest’anno infatti abbiamo chiamato anche dei gruppi che non sono mai stati a Torino o addirittura mai in Italia: pensa ad esempio a Les Savy Fav, o agli Ibibio Sound Machine. Ecco, semmai trovo che quest’anno ci sia più armonizzazione, più armonia, che è un aspetto che di solito viene percepito solo a posteriori. Il primo giorno è più aggressivo, ai confini col Punk, il secondo è più Dance, abbatte anche i confini di genere, non solo musicali. Abbiamo inoltre cercato, nonostante ovviamente non scegliamo gli artisti in base al sesso, di creare un cartellone equilibrato anche da quel punto di vista, e ci siamo riusciti, anche se forse in maniera casuale. E poi ci sono accostamenti estremi: i Gilla Band che apriranno la serata di sabato sono sicuramente una bella provocazione, visto il suono che hanno. In generale è un flusso di emozioni nel quale avvolgersi e dal quale lasciarsi sconvolgere.

 

Ci sono novità sulle altre location dove si svolgerà il festival? Siete famosi per la riscoperta e la rivalutazione degli spazi urbani, specie quelli legati alla periferia, ma l’anno scorso avete perso un luogo suggestivo come il Parco Peccei.

È un grande problema italiano, il fatto che sia sempre più difficile ad organizzare eventi pubblici in luoghi che non sono preposti a questo. Nelle edizioni passate di TOdays abbiamo toccato un po’ tutte le tipologie disponibili: abbiamo fatto concerti nelle piscine, nei musei, sui tetti… purtroppo però bisogna vedere le cose per come sono e non solo per come vorremmo che fossero, ed arrendersi al fatto che ultimamente questo tipo di organizzazione sia diventata sempre più difficile. In particolare il Parco Peccei negli ultimi anni è oggetto di una forte ristrutturazione e risulta ancora inagibile.

Tra qualche giorno annunceremo però tutto il resto del cartellone, e ci saranno eventi anche in altre zone, oltre a tutta la parte laboratoriale, che quest’anno si arricchisce molto, con varie sedi che fino a notte saranno operative. E ti anticipo che ci sarà un’attenzione particolare anche ai bambini, che normalmente in eventi di questo tipo viene un po’ messo da parte. Sono diventato papà da poco e mi accorgo che, pur volendo portare mio figlio ad un festival, ci sarebbero tutta una serie di limitazione. Per questo motivo domenica verrà annunciato un evento che si rivolgerà esclusivamente ai bambini, anche se ovviamente fatto alla nostra maniera (si tratta del concerto di Enrico Gabrielli che presenterà, assieme ad alcuni ospiti non ancora svelati, il suo disco Le Canzonine, una raccolta di brani per bambini da lui composto, uscito di recente per 42Records, NDA).

 

Cosa ne pensi di tutta questa questione dell’aumento dei costi dei live? Tante band che annullano i tour, band anche importanti che si portano da soli gli strumenti sul palco, non è che stiamo andando incontro ad un modello non più sostenibile?

Direi che la tua domanda contiene una parola chiave, che è “sostenibilità”. Perché un qualcosa sia spendibile in ambito culturale, non solo come mero intrattenimento, è importante che sia sostenibile: vale a dire, banalmente, che se per fare 1 devo spendere 100, sto portando avanti qualcosa di sbagliato. Purtroppo in Italia funziona così ed è un modello in vigore da ben prima della pandemia, la cultura è in crisi da 30 anni.

 

In che senso?

È da parecchio che il “sold out”, che spesso viene annunciato con mesi di anticipo, è la condizione minima indispensabile per raggiungere il cosiddetto “break even”, cioè per coprire le spese. In un sistema dove devo fare il massimo sforzo (riempire la capienza) per ottenere il minimo risultato (il rientro dalle spese) è un modello evidentemente sbagliato. Purtroppo questo meccanismo è frutto di una cultura che in Italia non è mai emersa.

Molte delle band che vedi in cartellone al TOdays arrivano da noi dopo che nei giorni precedenti hanno raggiunto pubblici di dimensione ben maggiore, ma la discografia di questo tipo di band in Italia è praticamente inesistente. Pensa solo a Christine and the Queens, che ha vinto un sacco di premi, suona ovunque, dal Coachella a Glastonbury, eppure da noi ha ancora una dimensione di nicchia. Sicuramente c’è qualcosa che non funziona!

L’altra questione, apparentemente in contraddizione con la precedente, è che viviamo in una paese dove l’offerta supera la domanda: in particolare durante l’estate è pieno di eventi, di cosiddette rassegne spacciate per festival, molte di più di quante ne servirebbero. Ci sono troppe cose e ovviamente le persone non hanno i soldi per potersele permettere tutte. Poi c’è l’aumento dei costi, c’è il fatto che le figure professionali del settore sono poche e quindi hanno richieste più alte, per cui tutto viene scaricato sul costo finale del biglietto.

Purtroppo negli anni, e te lo dico avendo gestito all’inizio del terzo millennio un club come Spazio 211 (uno dei locali più importanti di Torino, nel cui cortile esterno si tengono normalmente i concerti del TOdays, NDA), dove erano almeno cinque-sei al mese i concerti delle band sconosciute che riuscivano a fare pubblico, si è creato sempre più divario tra le band medio-piccole, che fanno 100-150 persone, e che sono sostenibili entro certi limiti, e quelle band che invece fanno subito il salto e vanno nei locali grandi oppure addirittura nei palazzetti. Questo tipo di band oggi fa fatica a fare tour perché i costi di produzione sono più alti del cachet: pagare il fonico, pagare la produzione, la Siae, l’Empas, gli hotel… tutte queste voci sono più care del cachet della band stessa, per cui quelli che dicono: “Questa band verrebbe in Italia per poche centinaia di euro, fatela suonare, che problema c’è?” dimenticano che a me tutta la produzione costa molto di più, è infattibile!

 

E quindi? Come se ne esce?

La questione vera è che bisognerebbe cominciare a capire che il principale azionista dei concerti, il pubblico, dovrebbe essere dotato di tutti gli strumenti necessari per poter avere la coscienza e la conoscenza di fare delle scelte sui concerti da vedere. Finché si ragionerà su altro si ridurrà il pubblico e aumenteranno i costi. In Italia sono sempre di più i club che chiudono perché non ce la fanno, e sempre di più i grandi gruppi che posseggono la gestione dei palazzetti e hanno contratti diretti con le band, che organizzano i grandi eventi, così che va poi a sparire tutto quell’humus fatto di piccole realtà sul territorio.

 

Si ha in effetti la sensazione di essere dentro una grande bolla. Ma come tutte le bolle, prima o poi dovrà pur esplodere, non credi?

Non so se esploderà, ma sicuramente è un sistema impazzito. E direi che l’occasione della pandemia, che secondo la tesi che andava per la maggiore, avrebbe dovuto farci capire il senso delle cose, l’abbiamo completamente mancata. Anzi, i finanziamenti distribuiti a pioggia, senza un criterio, da parte delle istituzioni, hanno peggiorato ancora di più la situazione. Ci sono tanti fattori in gioco, dalla politica alla cultura, ma credo che in definitiva il problema principale sia che viviamo in un paese dove la musica è un mero sottofondo.