E’ fuori di dubbio che la fortuna dei Train sia legata soprattutto a una canzone. La canzone in questione s’intitola Drops Of Jupiter e quando uscì, nel 2001, fu un clamoroso successo internazionale, che trainò l’omonimo album in vetta alle classifiche, e vendette, letteralmente, valanghe di copie. Qualche numero per farsi un’idea: il brano arrivò alla quinta piazza di Billboard Hot 100, rimase per cento settimane nella Adult Contemporary Chart, conquistandone la vetta, e scalò le classifiche di mezzo mondo (prima in Canada e Irlanda, decima in Inghilterra, quinta in Australia), aggiudicandosi un settimo posto anche da noi, in Italia.
Un successo clamoroso, e forse il momento più alto nella storia della band, che aveva esordito solo tre anni prima con un disco d’esordio autofinanziato, che però riuscì ad attirare subito l’attenzione di pubblico e critica grazie a tre singoli dal grande impatto radiofonico (Free, I Am e, soprattutto, Meet Virginia). Una discreta partenza per una band fino ad allora sconosciuta e che pagò di tasca propria per poter pubblicare l’album (si parla di un investimento di 25.000 dollari). Un esordio talmente riuscito, ben oltre le aspettative del gruppo, che fece drizzare le antenne alla Colombia, con cui i Train pubblicarono, tre anni dopo, Drops Of Jupiter, il sophomore della definitiva consacrazione.
L’album, come accennato, vendette benissimo e vinse vari dischi di platino, grazie a un filotto di canzoni irresistibili, alla produzione di Brendan O’Brien (mago della consolle già con Bob Dylan, Bruce Springsteen e Pearl Jam) e alla title track, che vinse ben due Grammy Award, come migliore brano rock e come migliore arrangiamento strumentale (che venne scritto da Paul Buckmaster, fidato collaboratore di Elton John).
Drops Of Jupiter rispecchia fedelmente il suono che ha sempre caratterizzato la musica della band californiana, che s’inserisce fin da subito nel solco tracciato da band come i Counting Crows, reinterpretando però quel rock “americano” con una maggior propensione al mainstream e con più leggerezza. Venata di soul e sostenuta da un sublime arrangiamento d’archi, Drops Of Jupiter è, però, una canzone tutt’altro che leggera. Anzi.
Pat Monahan la scrisse per ricordare la madre, morta di tumore nel 1998. Se è vero che il testo poco lineare lascia aperte anche altre interpretazioni, fu il suo stesso autore a spiegare la fonte della sua ispirazione, sostenendo anche che il primo verso (Now that she's back in the atmosphere With drops of Jupiter in her hair) lo aveva addirittura sognato una notte. Pat si rivolge alla propria madre, con versi struggenti e accorati, come a voler cercare una spiegazione a quello è successo, per lenire il proprio cuore affranto, sperando che lei, lassù in cielo, abbia finalmente trovato la pace. (But tell me, Did you sail across the sun? Did you make it to the Milky Way To see the lights all faded?).
Nel video più famoso della canzone (per la cronaca, il brano fu promosso con ben due video), Pat rivolge spesso gli occhi al cielo, per dare ancora maggior enfasi a domande che resteranno, però, senza risposta (Tell me, Did you fall from a shooting star One without a permanent scar? And did you miss me while you were Looking for yourself out there?).
Dopo Drops Of Jupiter, la carriera dei Train prosegue con alti e bassi, qualche importante successo di vendite (Calling All Angels, dal successivo My Private Nation del 2003), ma un’ispirazione che mostra nel tempo sempre più la corda. Sarà solo l’airplay radiofonico di Hey Soul Sister (da Save Me, San Francisco del 2009) a riportare i Train in vetta alle classifiche di mezzo mondo, con cifre di vendita pazzesche.