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REVIEWSLE RECENSIONI
26/10/2022
Emma Nolde
Dormi
Qual è il disco più difficile per un artista? Il secondo o il terzo? E che cosa significa davvero trovare la propria voce, la propria dimensione di maturità? Emma Nolde ha poco più di vent’anni ma scrive come chi ne ha almeno il doppio, sia nel modo di costruire i testi, sia nella lucidità con cui pensa alle musiche e decide la direzione da prendere.

Qual è il disco più difficile per un artista? Il secondo o il terzo? E che cosa significa davvero trovare la propria voce, la propria dimensione di maturità? Sono domande a cui non è semplice rispondere e per cui esistono senza dubbio risposte diverse (io per esempio vi direi che i dischi più difficili sono quelli che si fanno a carriera inoltrata, quando si è già scritto tutto quello per cui si verrà ricordati e occorre trovare nuovi stimoli). La cosa migliore da fare è andare a guardare i singoli casi e concentrarsi solo su quelli, che poi qui si sta facendo una recensione e non un’analisi più ampia.

Emma Nolde è arrivata al secondo atto ancora nel pieno dei suoi vent’anni ma fa ben poco testo in termini di maturazione: la prima volta che ho ascoltato “Sorrisi viola” mi sono detto che era incredibile che una ragazza diciannovenne avesse scritto una cosa così, poi ho scoperto che il pezzo era nato quando di anni ne aveva quindici. Direi che con queste premesse, e con un esordio come Toccaterra a fungere da biglietto da visita, le aspettative fossero già piuttosto alte, e con loro la sensazione che non ci sarebbe voluto poi molto a mantenerle.

Dormi, a mio parere, dovrebbe aprire una riflessione sull’effettivo grado di maturità e consapevolezza della scena contemporanea. Senza nulla togliere a nomi come Ariete o Psicologi, che incarnano a grandi linee una new wave del cantautorato Post It Pop (e se volete metteteci anche gente come Blanco, Madame e Sangiovanni, anche se dovremmo fare distingui importanti che qui non c’è tempo di fare), qui siamo decisamente su un altro pianeta.

Intendiamoci, la maturità di scrittura non va per forza misurata dalla profondità dei concetti o dalla ricercatezza del linguaggio, eppure se mettiamo a confronto un brano come “La stessa parte della luna” con una “Giornate noiose” a caso, sarà abbastanza evidente l’abisso che si spalancherà tra le due. Certo, si potrebbe obiettare che Emma Nolde ed Ariete hanno due proposte diverse, che la prima è più vicina alla grande tradizione italiana mentre la seconda è un’artista Pop che ha adottato un’estetica Urban; certo, è verissimo. Però stiamo parlando di due coetanee (anno più anno meno) che raccontano la propria vita con un ben diverso grado di spessore, e questo indipendentemente da cosa uno possa pensare dei dischi di entrambe.

Emma Nolde ha poco più di vent’anni ma scrive come chi ne ha almeno il doppio, sia nel modo di costruire i testi, sia nella lucidità con cui pensa alle musiche e decide la direzione da prendere. Per il suo sophomore si è fatta produrre da Motta (scelta che non mi ha sorpreso, considerato quando il suo sound e il suo approccio globale, soprattutto in sede live, siano simili a quelli dell’ex Criminal Jokers), che ha dato un bel contributo sia a livello di sound design sia nel delineare meglio i contorni dei vari brani.

Dormi è complessivamente un disco più coeso di Toccaterra e non solo perché, immagino, contiene episodi che sono stati scritti in un più circoscritto lasso di tempo. C’è un’omogeneità negli arrangiamenti, la scelta di puntare molto su cori e percussioni nei brani più carichi e movimentati, di ammantare di orchestrazioni e armonie vocali quelli più soffusi, un utilizzo della voce mai così consapevole per intensità ed espressione. E poi, ovviamente, le canzoni: che hanno il suo solito marchio di fabbrica, non si discostano troppo da quelle del disco precedente, fatto salvo il loro essere migliori, almeno parlando in generale.

C’è innanzitutto l’idea interessante dell’intro, che come ormai consuetudine del mondo Hip Hop, è una vera e propria canzone (“Fuoco coperto”), seppur con una parte strumentale più sviluppata, a fungere da preparazione per la scena. “Voci stonate” e “Respiro”, ma in parte anche “CQVT” (che sta per “Cerco qualcuno che venda il tempo”) riprendono la formula di “Berlino”, brani aperti ed e energici, con l’elemento percussivo in primo piano a rendere il tutto molto più incalzante, l’utilizzo del parlato nelle strofe (che è l’unico aspetto del suo songwriting che non mi convince fino in fondo, devo ammettere), un feeling generale di euforia liberatoria.

Ci sono poi episodi come “La stessa parte della luna”, “Dormi” e “Te ne sei andata per ballare” (quest’ultima, particolarmente toccante, è dedicata alla sorella minore), ballate di grande impatto e intensità, dove la voce viene portata al massimo livello di estensione e dove il gran lavoro di orchestrazione mette in risalto la bellezza delle melodie (se c’è una dote che Emma ha sempre avuto è proprio quella di tirare fuori ogni volta delle linee melodiche efficaci, che emozionano ed entrano in testa subito). “Non so chi sei” e “Storia di un bacio” sono quelle dove il contributo di Motta è forse più visibile, mischiano ritmi alti ad un certo retrogusto introspettivo e in particolare la seconda si fa notare per uno spiccato potenziale “sanremese” (in senso buono, ovviamente, non occorre dire quante grandi canzoni sono passate da lì). In chiusura c’è invece il piano e voce di “Ti prometterei”, registrata in presa diretta in studio durante un momento di pausa, che evidentemente ha soddisfatto così tanto nel risultato finale, da decidere di includerla così, senza nessuna sovraincisione e senza nessun ulteriore lavoro di produzione.

Il tutto è poi condito da testi che, siano dedicati agli amici o raccontino di relazioni amorose passate e presenti, costituiscono un giudizio chiaro e privo di paura sulla vita. Anche questo colpisce, quando parliamo di maturità: non ci sono paure, paranoie e fragilità in queste canzoni. O meglio, si possono anche intravedere qua e là, ma ad essere in primo piano è innanzitutto la voglia di viverli appieno, questi vent’anni, di mostrare al mondo quello che si è diventati, costruendo fiduciosamente quel che si diventerà.

Dormi è il secondo disco perfetto, per Emma Nolde, quello che, adesso me ne rendo conto, avrei davvero voluto sentire. È uno dei dischi italiani più belli di quest’anno e sono abbastanza sicuro che lo rimarrà ora del 31 dicembre. È il disco che serviva alla musica italiana, per riportarla alle sue radici pur senza per questo giocare la carta retro. In tal senso è un disco che metterà d’accordo giovani e non giovani (nella mia piccolissima bolla me ne sto già rendendo conto) ed è anche uno dei pochissimi di questi ultimi anni a non parlare sempre e soltanto di disagio e attacchi di panico. Scusate se è poco.