I negozi di dischi sono un piccolo mondo antico che va progressivamente scomparendo. Chiudono, uno dopo l’altro, vittime sacrificali, come le librerie, di una società sempre più insensibile alla musica, alla cultura e alla bellezza. Un tempo, però, questi ultimi avamposti di un’umanità, che oggi resiste indomita allo sfacelo, ma che è destinata, in pochissimo tempo, a scomparire, erano, non solo la meta settimanale di tanti appassionati alla ricerca di magia, ma anche luoghi di ritrovo, dove scambiare consigli e opinioni e, perché no, fare anche amicizia.
Lo sa bene Stevie Wonder, che quando pubblica Don’t You Worry ‘Bout A Thing, uno dei gioielli che compongono Innervisions, capolavoro datato 1973, ha in testa proprio un negozio di dischi e un amore nato fra gli scaffali di vinili.
Mentre, infatti, sta lavorando agli accordi della canzone, Wonder decide di prendere una pausa e di farsi un giro per Los Angeles, finendo così in un negozio di dischi aperto tutta la notte. Qui, incontra una portoricana di nome Rain, che fa la commessa ed è gentilissima. Iniziano a chiacchierare di musica, dei lori interessi, dei sogni che hanno nel cuore. Lei ama cantare e le piacerebbe farlo professionalmente. Stevie, allora, le dice che lui sta lavorando a una canzone che s’intitola Don’t You Worry ‘Bout A Thing, e che sarebbe davvero felice di portarla in studio a seguire la registrazione del brano. La risposta della ragazza è un entusiasta “todo esta bien chevere”, che tradotto in italiano significa più o meno “tutto questo è davvero figo!”.
Ed ecco spiegato l’inizio della canzone, in cui Wonder dialoga con Rain chiedendole l’esatta pronuncia di “chevere” (il cantante ha sempre affermato di non conoscere lo spagnolo, a parte qualche frase mandata a memoria). I due, in seguito, si innamorarono ed ebbero una storia breve ma intensa.
A prescindere, però, da questa nota di colore, ciò che conta è come Wonder fosse recettivo verso sonorità anche molto distanti dalla propria formazione soul e r’n’b, e non è quindi un caso che tra le note di Don’t You Worry ‘Bout A Thing si respirino quelle atmosfere latine che erano state ispirate dalla bella commessa del negozio di dischi. D’altra parte, Wonder è sempre stato un vero e proprio frullatore di idee, che rielaborava con gusto e metteva insieme, ascoltando la radio e assorbendo musica di ogni tipo: araba, italiana, spagnola, oltre ovviamente a tanto jazz, blues e gospel.
La canzone, pubblicata come terzo singolo da Innervisions, raggiunse la sedicesima piazza di Billboard e la seconda delle chart R&B, diventando col tempo uno dei brani più amati e conosciuti del musicista originario del Michigan. Merito anche di un testo decisamente positivo, attraverso il quale il cantante incoraggia la sua donna a esplorare senza paura tutto ciò che la vita ha da offrire, perché lui sarà comunque e sempre al suo fianco (“Don't you worry 'bout a thing, mama, 'Cause I'll be standing, I'll be standing by you”). Parole, dunque, che possono vestirsi di abiti diversi a seconda dell’occasione, sia, ad esempio, per dichiarare il proprio amore, sia, magari, per motivare qualcuno a non mollare e farsi forza.
Così, nel 2016, la notte prima che Donald Trump viene eletto presidente degli Stati Uniti, Wonder viene ospitato al The Late Show di Stephen Colbert. Durante la trasmissione, dopo aver espresso tutto il suo disprezzo per Trump, il musicista viene invitato dal conduttore a eseguire la canzone allo scopo di placare i timori degli elettori democratici, invitandoli a mantenere salda la speranza. Visti i risultati dell’elezione, il dubbio sorge spontaneo: che sia stata la canzone di Stevie Wonder a portare sfiga?