Margaret Thatcher, ovvero Iron Lady, Primo Ministro britannico. Tre mandati, dal 1979 al 1990, che rappresentano per molti il periodo più buio della recente storia britannica.
Fu soprattutto il secondo mandato, quello che va dal 1983 al 1987, che gettò pesanti ombre sulla sua carriera politica: conservatorismo e liberismo esasperato, macelleria sociale, privatizzazioni a tappeto, l’ostilità, spesso sfociata nella violenza delle cariche della polizia, contro sindacati e minatori. Anni bui, soprattutto per gli ultimi, per i più deboli e i più poveri, che si trovarono spesso privati di lavoro, assistenza e diritti.
Anni in cui si coagulò, spontanea, un’opposizione trasversale, che ebbe anche parecchia eco nel mondo della musica: dai Clash di Sandinista! (intitolato così perché la Thatcher voleva proibire la parola sandinista) e dal Red Wedge di Paul Weller e Billy Bragg (collettivo di musicisti sostenuto dal Partito Laburista), fino ai Pink Floyd di The Final Cut (album fortemente polemico contro il Primo Ministro britannico per la partecipazione alla guerra delle Falkland), la scena musicale britannica non perdonò nulla a Margaret Thatcher.
Quando nel 1986 esce So, capolavoro a firma Peter Gabriel, fu inevitabile pensare che una delle più belle canzoni in scaletta, Don’t Give Up (in duetto con Kate Bush) fosse ispirata proprio al disastro sociale causato dalle politiche conservatrici della Iron Lady.
La storia raccontata da Gabriel è quella di un uomo distrutto dalla vita, un fallito che ha perso tutto, privato dei suoi sogni ed economicamente distrutto. Un uomo alla deriva, insomma, che fatica a sbarcare il lunario, anche quello emotivo (Nessuna lotta è rimasta, o così pare, sono un uomo i cui sogni hanno disertato in massa, ho cambiato faccia, ho cambiato nome, ma nessuno ti vuole quando hai perso).
Ciò nonostante, questa canzone, che nasce da una tragedia individuale (ma anche collettiva delle fasce più deboli della popolazione britannica), è attraversata da un forte anelito di speranza, che veste i panni dell’amicizia. E’ Kate Bush, con la sua splendida voce, a dare conforto a un uomo che non si aspetta più nulla dalla vita: “Non arrenderti, hai degli amici, non arrenderti, non sei il solo, non arrenderti, non c'è motivo di vergognarsi, non arrenderti, hai ancora noi, non arrenderti adesso, siamo fieri di te, come sei”. Semplice, un filo retorico, certo, ma estremamente efficace: non è il denaro che determina una persona, ma le sue qualità interiori, e noi, i tuoi amici, amiamo quelle. Quindi, non mollare, perché noi ci saremo sempre.
Se si potesse fare una classifica delle canzoni che hanno salvato la vita a qualcuno, probabilmente Don’t Give Up si piazzerebbe al primo posto: una ballata dolente dagli accenti soul, che però ha rappresentato speranza e salvezza per tanta gente comune e anche per uomini famosi, che quelle condizioni estreme di disagio sociale non le hanno mai provate.
Basti pensare a Elton John. L’icona pop, disse, infatti, che nei periodi più bui della sua dipendenza dalle droghe, non ce l’avrebbe mai fatta se non avesse avuto il conforto della canzone di Peter Gabriel. In cui si riconosceva e da cui trasse la forza per evitare gesti estremi e uscire dal tunnel. Ci riuscì, ovviamente. Perché una canzone, talvolta, può fare miracoli.