"Chissà chi sei/chissà chi sei".
"Quelle parole le ho cantate, le ho fatte entrare nella mia musica, ma non le ho dette o scritte io, avrei potuto cantare qualsiasi cosa". (Lucio Battisti)
E' assodato, ogni nuovo nato in Italia si porta dietro il fardello di un debito pro-capite che lo stato fa da regalo ai propri cittadini. Non solo questo però, ma anche un tot di canzoni della ditta Battisti-Mogol fatta di "29 Settembre", "La canzone del sole" e di "Pensieri e Parole".
Del resto, della produzione battistiana fatta di dischi come "Anima Latina" e di tutta la produzione successiva sganciata dalla poetica piccolo-borghese di Mogol, ovvero tutti i dischi fatti in collaborazione col poeta Pasquale Panella, sembra quasi che non ne esista traccia. Ma sono proprio questi album che ci fanno capire la grandezza del musicista Battisti, del Battisti maniacale in sala d'incisione e imprescindibile nella scrittura musicale.
Se con Mogol il lavoro di ensemble combinati con dei veri e propri tour de force in sala d'incisione davano luogo al fraintendimento che i pezzi sembravano scritti dallo stesso Battisti, con Panella cadeva anche questo mito.
"Rivesto quello che vuoi/son l'attaccapanni".
"Non voglio fare canzoni per commuovere la gente, voglio che le parole siano parte della musica, con dei suoni, con dei ritmi, ma quello che dico non deve avere nessuna importanza. Mi puoi dare qualsiasi testo, io lo faccio entrare in qualsiasi musica".(Lucio Battisti)
Volendo dimostrare che con qualunque testo riusciva ad ottenere lo stesso effetto, Battisti ci regalò quello che è stato il suo capolavoro ed un disco imprescindibile per tutta la discografia italiana: Don Giovanni. Un album nel quale il cantante reatino sfida i suoi ascoltatori e i vedovi di Mogol in una nuova esperienza di riflessione e comprensione di parole e musica che per l'epoca fu rivoluzionaria. Non più canzoni da strimpellare intorno ad un falò in una spiaggia del belpaese, non più i soliti omaggi di cantanti in trasmissioni televisive da dopolavoro, ma canzoni anticonvenzionali e spogliate da ogni formalismo, con improvvise aperture melodiche in ricordo del passato più tradizionale del vecchio Battisti. E a riascoltarlo oggi, per l'ennesima volta, ci trovi dentro quel suono, quella dissonanza, quei ricami che ti erano sfuggiti precedentemente. Un disco unico, mai più ripetuto, che iniziò un percorso di destrutturazione della canzone battistiana (vedi i successivi lavori del nostro) e quindi, di fatto, della musica pop. Vallo però a spiegare ai vedovi di Battisti-Mogol.
"Era molto più facile dire che Battisti era fuori di testa o che cantava cose che non avevano senso piuttosto che cercare di capire quello che dicevano". (Greg Walsh, produttore di Don Giovanni)
Un gioiello come "Fatti un Pianto" andrebbe inculcato a forza nel cervello dei vedovi di cui sopra. Una composizione "fatta quasi come un cut-up alla William Burroughs applicata all'arte di scrivere canzoni, in particolare nel secondo inciso che sfuma in un terzo inserto melodico , risolto con un intreccio di tre voci, per poi tornare ad intersecarsi nuovamente con l'inciso"[1].
"Tu dici ancora che non parlo d'amore/batte in me un limone giallo, basta spremerlo".
"Sinceramente non tuo/sinceramente non tuo
[1] Tratto da: "Pensieri e parole - Lucio Battisti - Una discografia commentata" di Luciano Ceri per Coniglio Editore, 2008