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REVIEWSLE RECENSIONI
17/03/2020
The Outlaws
Dixie Highway
Tutto funziona ottimamente in Dixie Highway, e quando partono i fluenti intrecci di chitarra e gli assoli chilometrici, la sensazione è che gli Outlaws si siano giocati la carta dell’instant classic con qualche decennio di ritardo

In attività da circa quarantacinque anni, gli Outlaws si sono ritagliati nel tempo una posizione di prestigio fra le southern rock band, appena un gradino più in basso di autentiche leggende quali Lynyrd Skynyrd e Allman Brothers. Merito, soprattutto, della produzione targata anni ‘70, visto che poi, a causa di cambi di line up, defezioni, e una scrittura non proprio originale, hanno traccheggiato dando vita a dischi non proprio esaltanti.

Ai tempi d’oro, però, la band si distingueva per uno stile unico che abbinava intrecci vocali dal retrogusto west coast, un songwriting che pescava anche dalle radici country e, soprattutto, il tiro incrociato e ad alzo zero di tre dardeggianti chitarre. Nonostante, come si diceva, la band sia stata per anni un porto di mare, oggi, a distanza di così tanto tempo, grazie alla presenza di due membri di lunga militanza, Henry Paul e Monte Yoho, gli Outlaws, rispetto ad altri gruppi coevi, hanno mantenuto una certa identità di fondo.

E non è un caso che questo nuovo Dixie Highway sia un signor disco e non solo l’inutile propaggine di un marchio di fabbrica celebre ma logoro. Anzi, a ben vedere, questo è a parere di chi scrive, il miglior lavoro della band da decenni a questa parte, tanto che, se dovesse trattarsi, come probabile, del loro canto del cigno, sarebbe un’uscita di scena che solo i grandi possono permettersi.

Il suono è quello di sempre e ovviamente non ci sono novità di rilievo in un genere così radicato nella cultura americana. D’altra parte, la musica statunitense è da sempre molto rispettosa della propria storia, fedele alle proprie radici, e poco incline a scartare dalle proprie origini alla ricerca di qualcosa di nuovo. Si replica a soggetto, a volte bene, a volte male. Dixie Highway è quindi un classico disco di southern rock come si poteva rilasciare quarant’anni fa, né più né meno. In questo caso, però, la riproposizione del genere è efficacissima, le canzoni hanno quasi tutte un tiro pazzesco e la band è al top della forma e sembra posseduta dall’energia di un gruppo di neofiti alla ricerca del primo successo.

Il disco si apre con Southern Rock Will Never Die, dichiarazione d’amore e di intenti, e omaggio alle glorie del passato, che oggi non ci sono più ma che continuano a vivere nel cuore di tanti appassionati. E in questa canzone si riassume il senso di un disco, che cita la bibbia Almann (nella superba Heavenly Blues, riproposizione di un loro classico anni ’70, nello strumentale Shotdown o nella nostalgica chiosa di Macon Memories, un titolo un programma), strizza l’occhiolino ai Lynyrd Skynyrd nell’epica Lonesome Boy From Dixie, o rinverdisce antichi fasti famigliari come nella splendida Dark Horse Run, che eseguita dal vivo potrebbe trasformarsi in una sorta di Green grass And High Tides 2.0.

Tutto funziona ottimamente in Dixie Highway, e quando partono i fluenti intrecci di chitarra e gli assoli chilometrici, la sensazione è che gli Outlaws si siano giocati la carta dell’instant classic con qualche decennio di ritardo. Come a voler affermare che queste undici tracce non siano solo un tributo al passato ma rappresentino in qualche modo anche il futuro del southern rock.

Concludo con una personalissima riflessione: se due dei dischi più belli di questo primo scorcio del 2020 appartengono ad autentiche istituzioni (uno è questo, l’altro è il disco di Ozzy Osbourne), che rinnovano la loro proposta con inaspettata freschezza, forse bisognerebbe prendere atto che il rock è morto solo per chi non ha (più) voglia di ascoltarlo. Per tutti gli altri, la leggenda continua. 


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