“Se riesci a trovare la posizione dell’acqua o dei minerali preziosi sei un rabdomante: questo album mira a portare in superficie qualcosa di speciale.” ha scritto Stefano De Stefano per presentare il suo nuovo lavoro. Per capirlo basta guardare il video di “Fishes in the Ocean”, uno dei tre singoli estratti: nei volti seri di queste tre persone non più giovani che si allenano nelle strade di una grande città, c’è dentro tutta la grandezza e la dignità di una vita vissuta alla ricerca dello scopo, con la consapevolezza, se vogliamo, che già viverla con questa passione rappresenti in qualche modo una conquista.
“We’re dying to smash the borders of a life full of orders/We’re dying for a fresh kiss, a fleeting moment of bliss/We dive into the emotion like fishes in the ocean” canta nello stesso pezzo, che inizia con un arpeggio di chitarra acustica che suona come una dichiarazione d’intenti, per poi riempirsi in modo graduale con piano, batteria e altri suoni, in un brano che sembra racchiudere tutti i principali ingredienti del nuovo lavoro.
Serpeggia tuttavia un dubbio: “And what if time was not the answer?/what if moments were just train stops?/We’ve been running to the end of the line/but how could you have known?”.
La risposta probabilmente è vivere, seguire le cose che affascinano, coltivare i propri affetti, come si vede nell’altro video, quello di “Under My Skin”, che cita esplicitamente “Il piccolo principe” di Saint-Exupéry ed il suo rapporto con la rosa; oppure in quello di “Mulholland Drive” (richiamo evidente all’omonimo film di David Lynch) coi due protagonisti che danzano e si rincorrono nelle strade, mostrando intesa e grande complicità: “Lose your mind like in Mulholland Drive and stay with me tonight”. Sì, forse la risposta è davvero nella semplicità disarmante di questi sentimenti, nella voglia di vivere sottesa in queste canzoni.
Arrivato al terzo disco, il progetto An Early Bird si accasa con la piccola etichetta tedesca Greywood, lo spazio ideale per una dimensione internazionale che negli anni precedenti aveva già dimostrato in pieno di possedere.
Registrato nella sua Napoli, prodotto e mixato da Stefano Bruno, “Diviner” è sin dalla bellissima copertina, con una tenda solitaria incastonata in un paesaggio montano di notturna bellezza, un inno alla vita e alla speranza. Lo si capisce dal tono di queste dieci canzoni, più solari e meno malinconiche delle precedenti, ammantate di dolcezza contemplativa, con la voce di Stefano mai così sospesa e rassicurante. Basti l’iniziale “Help me Shine” a cogliere l’essenza di questo lavoro, ma anche la pianistica “Bad Timing”, col suo ritornello liberatorio, o “Prayers in the Temple”, al tempo stesso solenne e delicata.
È un disco nel complesso più prodotto del solito, nonostante il suo autore abbia fatto tutto da solo, occupandosi di tutti gli strumenti. Fatta salva la base Alt Folk, con le chitarre a fungere da protagoniste, talvolta coadiuvate dal pianoforte e da qualche leggera orchestrazione, i vari episodi sono poi particolarmente pieni, con batteria e percussioni molto presenti e un utilizzo dell’elettronica per certi versi sorprendente (vedi ad esempio la cassa dritta in “Mulholland Drive”) ed un ricorrere ai crescendo e all’accumulazione di elementi che in più punti suscita un paragone col Bon Iver degli ultimi lavori.
Molto presente è anche la dimensione Pop: brani come “Holding onto Hope”, “One Week”, “Angela”, solo per citare i più evidenti, vivono su melodie estremamente efficaci e sembrano a tratti richiamare la Taylor Swift della cura Aaron Dessner, con quell’ibridazione perfetta tra Pop da classifica e Folk sofisticato.
Inutile dire a questo punto che “Diviner” sia finora il disco più bello di An Early Bird, quello che annulla definitivamente ogni timore reverenziale nei confronti degli artisti più blasonati di questo genere e che potrebbe davvero metterlo di fronte ad una svolta della propria carriera.