A costo di usare stereotipi, Genova è sempre stata diversa dalle altre città, meraviglia adagiata tra mare e alture, ingarbugliata da vicoli, impervie salite e improvvise discese. Un’amabile contraddizione a sé stante con il tipico carezzevole clima portato dalla distesa azzurra e talvolta gli schiaffi di un vento gelido e gelato. Ma soprattutto è diversa, e questo non è un luogo comune, perché ospita ancora un negozio di dischi, specie in estinzione che necessita di un’area protetta, un po’ come quando anni fa esisteva una famosa trasmissione radiofonica di tale nome che mirabilmente puntava a salvare e preservare un certo tipo di musica che ha fatto sognare milioni di persone e rischiava, per svariati motivi, di venire frettolosamente accantonata dalle nuove generazioni.
Al giorno d’oggi svegliarsi di buon mattino per andare ad alzare la serranda del mitico Disco Club significa essere eroi del nuovo millennio e Giancarlo Balduzzi insindacabilmente lo è, e ha da narrarci una storia tutta particolare, fatta di passione e sacrifici, persino rinunce importanti, ma che lo ha reso un uomo libero e unico, in un mondo sempre più portato alla spersonalizzazione. Un uomo che, forse anche per esorcizzare una lunga carriera dietro al banco di vendita, ha scritto un libro, giunto alla seconda rinnovata e aggiornata edizione, Il Mondo Visto Da Disco Club, in cui ci racconta tutte le proprie avventure e lascia spazio a una categoria per lui importantissima e decisiva per le sorti della propria attività: i suoi clienti. Quale migliore occasione per intervistare l’uomo che ha preferito mordere la vita invece che farsi da lei lentamente trascinare?
“Un diario comunitario pazientemente raccolto da Giancarlo Balduzzi”, questo il sottotitolo del tuo tomo, un diario cominciato quasi per scherzo a Febbraio 2013 (ma che iniziò il concepimento con una rubrica già dal 2010) e in seguito pubblicato ogni sera dalla pagina Facebook del negozio. Partiamo subito forte, Giancarlo: la pazienza è stata un’arma vincente?
La pazienza non è una mia qualità, anzi sono molto impaziente, lo dimostrano le mie risposte telefoniche, quelle a chi mi chiede dov’è il numero 2 o se il negozio è all’inizio o alla fine di via San Vincenzo. Costante sì: quando il 13 febbraio 2013 ho fatto per la prima volta il Diario e i clienti mi hanno chiesto di farlo sempre, io per un anno, dieci mesi e diciotto giorni, tutte le sere ho postato su Facebook il diario del giorno. Pensa che una sera dopo aver assistito a un concerto di Beppe Gambetta, sono tornato di corsa a casa (novello Cenerentolo) per pubblicare il Diario del giorno prima di mezzanotte!
Analizziamo un momento la tua biografia, che a sprazzi appare piacevolmente nell’opera e la determina. È molto bello e poetico l’inizio del libro, con la dolce descrizione della tua gioventù, un tipo di gioventù che non esiste più, sovrastata da progresso e tecnologia. Fanno seguito alcuni avvenimenti che fanno di te un predestinato: probabilmente era destino sposare la commessa del negozio che alcuni anni più avanti diventerà tuo e rassegnare le dimissioni dal lavoro che svolgevi poco dopo la nascita delle due gemelle. Queste, e in verità tante altre vicissitudini che affiorano, paiono una favola da narrare ai bambini d’oggi, si tratta dei tuoi sogni che, grazie a tanti sacrifici, sono diventati realtà. Come hai potuto, dopo 2888 giorni di agonia all’interno di una banca, decidere di rinunciare a un posto sicuro e fisso per trasformare in lavoro una passione? In fondo, a modo tuo, eri un ribelle, non trovi?
Ribelle o incosciente? Non ho ancora risolto il dilemma. Me lo sono chiesto spesso, specialmente nei momenti di crisi del mercato discografico. Pensa, fossi rimasto in banca sarei già in pensione (e con quale pensione!) da dieci anni, sì ma cosa avrei fatto? Gli scavi della metropolitana a Genova sono finiti da anni, campi da bocce a dire il vero ne ho uno vicino, ma a bocce non gioco da quando non sto più a Cesino (il mio paesello di nascita), quindi 65 anni, la televisione mi fa addormentare… Sì, penso che dimostrerei 10 anni di più senza i problemi del negozio, delle banche (come cliente, non come dipendente), dei clienti, dei rompipalle.
Disco Club nella versione originale, immortalato nel giorno dell’inaugurazione dopo la ristrutturazione, a Maggio ‘75. Alla cassa, ovviamente, sempre lui, il mitico Giancarlo “Gian” Balduzzi.
Disco Club ormai è nella storia e si festeggiano in questo periodo diverse ricorrenze. Potresti riassumerci le tappe principali che, fra l’altro, sono magnificamente ed estesamente raccontate nel diario?
Chi ha letto il libro sa già tutto. Facciamo un riepilogo. Il 19 dicembre 1965 apre all’inizio di via S.Vincenzo un nuovo negozio di dischi, appunto Disco Club, io abitavo proprio di fronte, all’ultimo piano della stazione Brignole (mio papà era ferroviere), quindi dalla finestra vedevo i nuovi portici dove si trovava. Avevo 18 anni e compravo quasi solo 45 giri. Crescendo sono passato ai LP e diventato cliente fisso del negozio, tanto che un giorno del 1972 Calderone (il proprietario) mi ha chiesto se lo aiutavo a fare un giornalino per la vendita per corrispondenza, così l’anno dopo nasceva Pop Records, che in due anni si trasformò in una vera e propria rivista con diffusione nazionale e con tutta una schiera di giovani recensori, di cui una buona parte si è trasformata in giornalisti di testate musicali storiche. A luglio 1976 finiva la mia prima parentesi discoclubiana; lavoravo in banca, mi ero sposato con Franca, la commessa del negozio, e ci siamo trasferiti a Rapallo, per quasi due anni siamo rimasti lontani dai dischi. Solo due anni, perché a maggio del 1978 eccoci di nuovo a Disco Club, però non quello di Genova, ne apriamo uno con lo stesso nome a Santa Margherita Ligure. Siamo arrivati alla conclusione con due date: il 29 gennaio 1982 lascio la banca e il primo gennaio 1984 entro definitivamente da Disco Club, quello storico, quello dei miei sogni, e ci sono ancora adesso dopo 38 anni.
Dal libro emerge una grande qualità di scrittura, probabilmente retaggio dei tuoi studi classici. Dedichi molta attenzione all’uso delle parole e non fai mai mancare l’ironia che rende la lettura divertente e avvincente. Riesci a descrivere perfettamente, con quel caratteristico fare sornione, l’atmosfera che si vive all’interno del negozio e fai immedesimare per un momento il lettore nei vari personaggi che ti scombussolano la vita. Ti ritrovi in questa disamina? Chi sono i tuoi maestri, gli autori che adori leggere?
Sì, sono stato massacrato per anni al liceo classico Doria di Genova, professori tremendi, ma, devo riconoscerlo adesso, molto bravi. Sicuramente mi hanno dato una preparazione buona e mi sono abituato a leggere e non ho più smesso, ogni giorno devo leggere un libro. Il mio autore preferito rimane Simenon, che all’epoca non leggevo, perché lo identificavo con la serie televisiva di Maigret con Gino Cervi, intendiamoci bellissima, ma una volta i “gialli” erano considerati una letteratura di serie b e non sapevo dell’esistenza di tutti i meravigliosi romanzi scritti dall’autore belga. Negli anni del liceo i miei preferiti erano scrittori americani, Jack London (Martin Eden uno dei miei libri culto), Steinbeck, Faulkner, Caldwell, un tedesco, Remarque, e il più letto degli scrittori umoristi, l’inglese Wodehouse, tra gli italiani Buzzati. Nei 55 anni successivi ho riempito le mie librerie passando da McEwan a Vargas Llosa, da Jonathan Coe a McCarthy, a John Fante e rileggendo Dickens (Il circolo Pickwick ha un’atmosfera vagamente discoclubiana…), Truman Capote, Graham Green e ovviamente Nick Hornby!
Nel testo vi sono storie di una vita piacevolmente consumata dietro la cassa di Disco Club, tra musica e clienti, un micro mondo che probabilmente funziona molto meglio del macro. Storie di amicizie, passioni comuni e non, gioia, sorrisi, lacrime e sudore. Il segreto per raccontarle così bene è stato scriverne ogni giorno, per immortalare gli sbalzi d’umore e stati d’animo vissuti e non dimenticare gli arguti e divertenti dettagli?
Purtroppo per tanti anni ho affidato alla mia memoria il ricordo di quanto avveniva in negozio e così mi son rimasti impressi solo gli episodi più clamorosi o dolorosi. Le richieste quotidiane “stupide” mi sono inevitabilmente sfuggite quasi tutte (qualcuna è rimasta, tipo “Avete l’ultimo disco di Cesare Battisti?” e io “La ballata dell’impiccato?”). Negli ultimi dieci anni ho invece seguito il metodo che hai detto tu, appunti giornalieri o quasi.
Narri anche del tuo spassosissimo rapporto con le telefonate, come ciliegina sulla torta. A volte sono la peggiore interruzione al quieto scorrere della giornata, sembrerebbero il tuo tormento numero uno, peggio dei personaggi in carne e d’ossa che frequentano il locale, vero?
Certo, odio il telefono! Rompipalle in negozio ne vengono tanti, ma per telefono sono di più. Di almeno tre di loro mi è toccato memorizzare il numero per non rispondere più alle loro chiamate, così nella rubrica c’è Ottavio, Otta 2 e Otta 3. Perché tre? Perché Ottavio quando ha visto che non rispondevo al suo numero ha usato un altro telefono, mi ha fregato, ma ho memorizzato anche quello, ecco un’altra chiamata, è sempre Ottavio con un terzo numero (furbo il ragazzo, anche se conoscendolo non sembra), memorizzato e chiamate finite, non ha trovato altri cellulari disponibili. Stessa sorte per Antonio e per Walter. La telefonomania è così radicata che ricevo telefonate anche nei giorni più impensabili, a Natale 2 memorizzate e a Santo Stefano 5. Pensa che a Pasqua di qualche anno fa mi sono portato dietro il telefonino del negozio, suona, rispondo, è un cliente “Gian, potresti guardarmi se è ordinabile…”, un urlo lo interrompe, “Sai che giorno è?”, lui “E’ Pasqua”, io “Appunto!”, lui “Ah, sei chiuso?”, io “Secondo te?”, lui “Allora chiamo domani”, altro urlo “Domani è Pasquettaaa!” e poso.
Prendo spunto dai tuoi scritti: il cliente si educa o si reprime? O, visto che vi sono capitoli dedicati, si espelle?
Il cliente si prova a educarlo, se non ci si riesce si reprime, se anche così si fallisce lo si espelle. Ne ho una lunga serie, qualcuno definitivamente, altri a tempo, uno in particolare più volte con durata diversa, il famoso il Pluriespulso, personaggio principale del Mondo visto da Disco Club con 20 pagine dedicate.
Si può intravvedere qualcosa di psicologico nella stesura del diario, un modo per esorcizzare lo stress che qualsiasi lavoro, anche se alimentato da passione, può creare. Viene offerto pure uno spaccato della società, in fondo a volte la realtà supera la fantasia. Alla fine, grazie al tuo testo, anche i più rompiscatole e scombussolati hanno mostrato un’anima, insomma li hai redenti. Può tutto ciò essere una chiave di interpretazione dell’opera? C’è un episodio al quale sei particolarmente legato?
Ho sempre pensato che la Sanità nazionale dovrebbe pagarci per il lavoro che facciamo, siamo uno studio psichiatrico mimetizzato da negozio di dischi! Tra i miei clienti ho più di uno psichiatra o psicanalista e ho proposto loro di aprire una dépendance nel nostro piano superiore, così gli passo direttamente i pazienti. Ho sempre detto ai miei clienti che loro vengono volentieri qui perché vedendo gli altri possono pensare “Belin, ma allora io sono normale!”, il fatto è che poi entra un altro cliente e sentendo lui pensa “Belin, ma allora io sono normale!”; insomma è un caso anomalo del “cerino”, chi entra per primo è destinato a tenerselo… Gli episodi che rimangono più impressi sono quelli che vorresti non fossero mai successi e riguardano clienti che ci hanno lasciato in maniera tragica, quelli ti rimangono attaccati e ti ritornano sempre in mente non appena un disco, un avvenimento, un libro te li fa ricordare.
Trovo che la new entry Dario Gaggero, tuo collaboratore dal 2014, sia stata una ventata di aria fresca. Con la solita, immancabile ironia si dice che “Giancarlo lentamente lo trasformerà in un perfetto suo alter ego, tirannico e intransigente”…
E’ un lavoro duro quello che mi tocca con lui, purtroppo è troppo buono e non riesco a trasformarlo in un mio alter ego, anzi mi ha riportato dentro gente che avevo espulso! Così giochiamo al poliziotto buono, poliziotto cattivo (chissà chi è il cattivo?). Poi lui non può essere un mio alter ego per una questione fisica, potrebbe essere il mio delfino, no, forse è meglio dire balenottero…
“Disco Club Luogo della Musica a Genova e in Italia”, definizione azzeccata viste le continue innovazioni avvenute durante gli anni, dal leggendario Pop Records al sito, per non parlare di giornalisti e musicisti coinvolti e della visita allo shop di Nick Hornby. Puoi raccontarci questi passaggi e come hai vissuto l’incontro con un personaggio così famoso?
Pop Records è uscito per tre anni, l’ultimo numero ad agosto 1975 era diventato ormai una vera e propria rivista, da 8 a 60 pagine con copertina a colori, tiratura di 2000 copie, uno dei primi mensili di musica con distribuzione in tutta Italia. Da noi sono partiti giornalisti diventati poi professionisti in testate importanti, solo pochi esempi: un giovane Enrico Ghezzi (22 anni) poi Blob alla Rai, Renato Tortarolo Secolo XIX, Flavio Brighenti Repubblica e molti altri; tra i giovanissimi lettori anche Luca De Gennaro, Radio Capital, e John Vignola, Radio2.
Una sera di ottobre del 2002, abbastanza fredda e con una pioggia tipo londinese, si apre la porta e, quasi inevitabilmente, entra un inglese, non uno qualunque, un idolo nostro, e con nostro non intendo solo mio, ma di molti clienti: Nick Hornby! Era a Genova per una presentazione al teatro Modena di Sampierdarena, qualcuno gli ha parlato di un negozio simile a quello del suo romanzo Alta fedeltà e lui è voluto venire a vederlo. Mi chiedi come ho vissuto quell’incontro, ti dirò che sono rimasto un po’ imbambolato, non me l’aspettavo, poi non so niente d’inglese e ho dovuto chiedere aiuto per avere un minimo di conversazione. Abbiamo parlato di musica? No, di calcio. Lui tifoso dell’Arsenal, io della Sampdoria, abbiamo ricordato gli scontri tra le nostre due squadre (quando la Samp era la Sampd’oro…), lui era un fan di Mancini (si ricordava ancora quel colpo di tacco a Londra col quale ha mandato in gol Jugovic) e soprattutto di Attilio Lombardo, definito da lui Bald Eagle ("Aquila Calva"). Non sono nemmeno riuscito a regalargli un disco, si è scusato “Ne ricevo a decine dalle case discografiche per fare le recensioni”. Così è finito il mio incontro con Hornby, una persona tranquilla e che non se la tira per niente, dall’aspetto di hooligan, ma un hooligan innocuo.
Parliamo della tua tenace resistenza. Prima la concorrenza dei colossi Fnac e Ricordi, fra l’altro molto vicini alla tua zona, poi la musica “liquida” e gli acquisti on line e infine la maledizione della pandemia: come sei riuscito a sopravvivere?
La Ricordi c’era prima di noi, ma non l’ho mai considerata una concorrente, aveva una clientela diversa dalla nostra e poi era più cara. Nel 2001 ha aperto la Fnac, che invece ha dato una grossa mazzata a tanti negozi genovesi ed è stata la causa della chiusura di molti di loro. Anche per noi è stata dura, la clientela era in parte la nostra e i prezzi erano per noi inaccessibili (le case discografiche non facevano certo le stesse condizioni loro a noi riguardo a sconti e resi). Ho resistito, certo, a chiudere è stata la Fnac e due dei suoi dipendenti nel 2014 sono diventati miei soci!
Passiamo ad Amazon. Quando è piombata in Italia ha provocato un’altra serie di chiusure (a proposito, a Genova negli ultimi 20 anni hanno chiuso 42 negozi di dischi!). I miei vicini, che vendevano altri generi, mi compativano “Certo che per te è un disastro” fregandosi le mani perché loro non vendevano generi da Amazon. Non avevano capito che in realtà dopo pochi anni anche i loro generi sarebbero diventati da Amazon, con la differenza che in un negozio di dischi entri magari per fare un giro, poi parli con un altro cliente, poi con quel matto del titolare, poi diventi amico e torni a comprare regolarmente. Ad esempio da un ferramenta mica vai per parlare di viti o altri accessori vari e da un negozio di scarpe adesso la gente entra, prova delle scarpe, vede quale preferisce, se ne va dicendo “non sono convinto, ma tornerò”, appena arriva a casa si collega con Amazon e ordina le preferite tra quelle provate.
Concludiamo con spotify. A me serve, da quando c’è non apro più i dischi per farli sentire, così li ho sempre sigillati. E ai veri clienti serve, sentono lì le nuove uscire e decidono quale comprare, ovviamente da Disco Club!
Pandemia. Capitolo a parte. Quando ci hanno chiuso ho pensato “è la fine”. Ma solo per tre giorni. Subito dopo mi son inventato due cose: su Facebook Radio Discoclub, una radio anomala che chiedeva la collaborazione del lettore/ascoltatore, i nostri speaker (chiamiamoli così) scrivevano un commento e poi lanciavano un video di Youtube che ascoltavano insieme ai nostri seguaci e poi continuavano così fino alla fine del programma, circa 6 ore al giorno per 63 giorni, grande successo! Dal punto di vista economico, un’idea che mi ha salvato facendomi incassare qualcosa anche in quei due mesi di chiusura: il buono coronavirus. In cosa consisteva? I clienti mi facevano un pagamento con paypal e io mandavo un buono col 10% in più della cifra. Hanno avuto fiducia in me tanti, che hanno pagato i dischi mesi prima di quando hanno potuto ritirarli. Quando abbiamo riaperto il 18 maggio 2020 sembrava quasi Natale!
In che modo vedi, dall’alto della tua infinita esperienza, l’evoluzione del comparto musicale vista in accezione globale, dal produttore al distributore fino al consumatore?
L’avvento del cd alla fine del secolo scorso ha cambiato radicalmente la diffusione della musica. Prima era quasi impossibile prodursi i LP da soli, bisognava passare dalle case discografiche e c’era quindi una selezione di partenza. I cd invece un artista se li può fare da solo a un costo accessibile, il problema rimane la distribuzione. Le stesse case discografiche hanno stampato molti più dischi, anche di gente sconosciuta, la spesa era minima e bastava che uno di questi avesse successo e il guadagno era assicurato. Il risultato? Un’invasione eccessiva di musica con l’aumento degli invenduti. Per quanto riguarda i clienti, quelli giovani trovavano assurdo spendere dei soldi per un cd, quando se lo potevano scaricare e farsene una copia quasi uguale, copertina compresa. Inevitabile calo delle vendite.
Quindi un’evoluzione che è diventata involuzione e ora per evolversi deve tornare al punto di partenza, che casino, mi spiego. Negli ultimi mesi sono sempre di più i giovani che comprano vinile e quando chiedo che differenza trovino tra l’ascolto del cd e quello del LP, immancabilmente mi rispondono, “E’ tutto diverso, il cd lo ascoltavo mentre magari facevo altre cose, quando metto su il LP mi siedo con la copertina in mano e la leggo e quando finisce il primo lato mi piace anche alzarmi, girare il disco e ricominciare ad ascoltare senza mai distrarmi, è un rito”.
Ecco l’evoluzione del comparto musicale!
La musica è vita e per te la vita è diventata la musica, ma come può un giovane d’oggi tentare una strada così diversa e impervia?
Non è facile, direi attualmente quasi impossibile, potrei dire a un giovane che mi chiedesse un consiglio per aprire un negozio di dischi che deve aspettarsi, parafrasando Churchill, "blood, toil, tears and sweat”, sangue, fatica, lacrime e sudore, in questi 40 anni ne ho versati tanti.
Nel film Blues Brothers gli squinternati John Belushi e Dan Aykroyd sostenevano di essere in missione per conto di Dio… Per Disco Club sei in missione per conto di chi?
Beh la musica rock è la musica del diavolo, oh no?
Non si può terminare un’intervista all’Uomo dei Dischi senza chiedere i suoi gusti musicali, ma soprattutto a quali LP e copertine è più legato….
Da dove sono partito? Nel 1958 da dietro un jukebox messo sul palco del Musichiere di Mario Riva sbuca un forsennato che si dimena cantando Il tuo bacio è come un rock. Avevo solo 11 anni e vedere quell’urlatore, come lo aveva presentato Riva, che si contorce mentre canta, abituato come ero a vedere cantanti impalati che, al massimo, muovevano un braccio, mi lascia a bocca aperta e diventa il mio primo idolo musicale: Adriano Celentano. Negli anni sessanta, se non alla tv, almeno alla radio, si incomincia a sentire la musica straniera, e dai 45giri passo ai 33. I primi acquisti? Joan Baez, Donovan, Tommy James & the Shondells, soprattutto i Bee Gees (ho detto anni sessanta, non quelli della Febbre del sabato sera), poi Creedence Clearwater Revival, Rolling Stones e Doors. I Beatles non li ho comprati, mi hanno regalato quelli che mi piacevano di più, Rubber Soul e Revolver. Poi un pomeriggio, sempre alla radio, sento una musica incredibile, troppo diversa da quella che avevo mai sentito, una suite lunghissima con effetti tipo esplosione di una bomba atomica ed ecco il mio secondo amore musicale: i Pink Floyd, il disco era Atom Heart Mother ed ecco la copertina alla quale sono più affezionato. Da lì parte una ricerca di nuovi suoni e di diversi generi dal prog dei King Crimson (altra copertina alla quale sono legato, ovviamente quella del primo), al folk dei Pentangle, al cantautorato di Nick Drake. Dopo di questi ci sono 50 anni di musica e mi limito a citare solo qualche artista, altrimenti riempirei pagine di nomi, Smiths, Housemartins e Martin Stephenson & the Daintees negli anni ottanta, Blur e sopra a tutti un altro mio nuovo idolo, Jeff Buckley, negli anni novanta; a cavallo coi duemila Mark Lanegan e Stan Ridgway, e di seguito Belle and Sebastian, Okkervil River, Walkabouts, Decemberists e chissà quanti me ne sono dimenticati.
Infine mi ha molto toccato la storia pubblicata recentemente su Facebook dove riprendi e aggiorni un avvenimento di circa sette anni fa, quando un signore di ottantatré anni entra nel tuo negozio per regalarti un libro e offrirti a prezzo di costo -30 euro- un quadro e al tuo stupore per tale proposta, formulata senza alcuna idea di guadagnarci, risponde: “Il mio scopo è quello di lasciare un segno, nessun altro interesse. Vede io facevo l’autista, ma non ho mai smesso di sognare, il mio sogno è di lasciare un segno, il segno del mio passaggio in questa vita. Non bisogna mai smettere di sognare, aiuta a vivere”. Ebbene, questa simpatica persona, non ha davvero mai smesso di farlo e, tramite il figlio, ti ha portato un nuovo dipinto per festeggiare i novant’anni. So che ci hai già riflettuto tempo fa su questa cosa, ma a maggior ragione ora, nel 2022, dopo tutto quello che è accaduto nel mondo, non credi di aver lasciato un segno anche tu con Disco Club, realizzando il tuo sogno e vivendo intensamente una passione che è diventata una vocazione, fino a farti scrivere un libro?
Ultimamente sì, ma mica per altro, ma da un po’ entrano clienti, anzi ex clienti, solo per vedere se ci sono ancora io, “Belin ci sei ancora?” o peggio “Sono venuto a vedere se sei ancora vivo”, non sono superstizioso, altrimenti passerei la giornata a toccarmi le parti nobili. Altri portano i figli davanti alla vetrina e sento che spiegano “Qui ci passavo i sabati, quanti dischi ho comprato in questo negozio”. Il casino è quando la voce che sento dall’interno, vedendo uscire un cliente col solito sacchetto verde di Disco Club, dice “Vedete vostro nonno andava a scuola con quel sacchetto”. Belin come sono vecchio!