Penso che resto sempre un poco affamato quando dietro l’estesa visione libera dei suoni ritornano indietro soltanto poche parole in risposte alle mie domande che cercano un motivo buono per correre in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma è anche vero che a ridosso di dischi come questo le parole non servono a tanto e alle sensazioni dell’anima deve necessariamente bastare il suono lontano di un pensiero, di un istinto, di un inarrestabile bisogno di libertà.
“È la musica che deve gridare, deve parlare, deve riempire. È bastante e completa.” (R. Di Mario)
E in questo pianismo contemporaneo rivedo cose della mia adolescenza, fili conosciuti delle mie scorribande discografiche, qualcosa che riconosco solo per sentito dire e altro che riconosco per sentito vivere… altro che invece ho conosciuto come si conosce l’aria di primo mattino.
Incontro e ascolto “Disarm”, il nuovo disco di Roberta Di Mario. Qualcuno che ancora vede la televisione commerciale può averne riconosciuto dei tratti per quel “Valzer in A Minor” usata per lo spot della Tiscali. E da ufficio questo andava sottolineato. Altri invece potrebbero confonderlo nella distratta assonanza con i più celebri ricami di Sakamoto o di Einaudi. Perché c’è tanto di loro, forse troppo o forse sono io figlio di impressioni maleducate… ma è anche vero che il DNA, almeno parte di esso, è proprio da lì che si è costruito. “Disarm" come disarmo, come resa che diviene contemplazione nelle aperture dolcissime di “A Collettive Consciousness”, che si fa ansia come nel primo sviluppo della title track, che poi diviene coraggio quando gli ostinati ruotano e si impegnano a creare il crescendo di “Anatomy of a Sound” … che poi si fa accettazione quando le aperture in minore di “Gerundio” lasciano intendere quel bisogno di andare verso se stessi, verso il proprio significato di bellezza. La determinazione come la battaglia interiore che si prepara nei contrappunti orchestrali di “Answer to a Composer” mi lasciano maturare quella rabbia verso i paradossi che ancora oggi fanno della vita che abbiamo un groviglio insensato di povertà e solitudine. Vivere il disarmo come sensazione ultima non è resa ma consapevolezza da cui riemergere.
Come al solito ho lasciato parlare il mio istinto non avendo armi colte per contemplare la scrittura e la tecnica. Così a Roberta Di Mario ho cercato di chiedere quel che l’istinto vedeva. Speravo di ricevere indietro un film invece che delle didascalie da ufficio. Ma tutto questo è anche l’ennesimo matrimonio tra lo spirito e l’estetica, tra il mestiere da fare e la vita da consumare, in segreto, forse, privatamente. Come sono privati i luoghi e i volti di questo disco. La delicatezza e la rabbia del pianoforte, le orchestrazioni nel cuore delle impalcature, le recitazione di Alessandra Sarchi negli intermezzi vocali… tanto altro ancora… “Disarm” è dialogo che si rende prezioso. E quando il dialogo apre scenari che non vogliono fine, la bellezza di una scrittura non basta mai… anche volendo… non basta mai. Per questo corro, nonostante il disarmo che vivo nel cuore…
Io partirei da assonanze. Partirei dall’istinto che mi riporta ad un mondo piuttosto che ad un altro. E nella mia piccola cultura in merito, i riferimenti che sento sono più visionari che di profondità e di livello. Partiamo dalla prima visione: Sakamoto. Quel mondo pianistico lo risento tantissimo… spesso ti lasci andare su colorazioni orientali ma anche quel certo modo di concepire il suono e la dinamica… cosa ne pensi?
Penso tu abbia centrato il punto. Sonorità orientali, visionarie, suggestive, a volte evanescenti ed evocative. Le ho nel DNA, fin da bambina scrivevo e creavo in questo modo. Nulla di ragionato, soltanto istinto.
Secondo quadro che arriva alla mente e agli occhi: Wim Mertens. Quel certo modo che si rende ciclico e sghembo di descrivere il periodo melodico. E qui sono cosciente di restar fermo sulla superficie delle cose, più di quanto faccia in altri momenti… ma sono le impressioni quelle di cui parlo e che voglio condividere con te e con i lettori…
Un bel complimento, grazie. Credo di avere un modo un po’ più personale, che si ispira anche al mondo della tradizione, io arrivo da un mondo classico, Bach, Chopin, Debussy, Bela Bartok. Con l’aggiunta del mio suono, più contemporaneo. Un buon mix insomma.
Terza istantanea: Einaudi. Quel certo modo di “ostinare” la melodia e il suo sviluppo, quel certo modo di portare aria aperta alla scrittura e al suono che resta sospeso… quel certo modo di farsi popolare…
Rispetto il Maestro Einaudi, senz’altro il mio progetto comprende più virtuosismo, non fine a se stesso, ma perché l’accademia mi ha portato questo tra le dita e nell’anima.
A volte però lascio spazio a grandi distese e pause, per poi ritornare alla forza di una melodia potente.
Colori. Per tutto questo disco ho avuto in mente tonalità scure, introspettive, sospese di nebbie e comunque sempre macchiate da un retrogusto intimo e notturno. Un disco di riflessioni più che di descrizioni. Un po’ come il booklet che, tra le due copertine bianche di luce, nasconde foto taciturne, serali, di luce artificiale…
Si, intimità, melanconia, riflessioni, visioni, disarmo, paura e speranza, oscurità e luce. “Disarm” è un viaggio complicato e allo stesso tempo naturale, un esercizio di libertà dei sentimenti.
“Disarm” vorrei definirlo come un disco di pausa, in cui contemplare la vita dell'uomo. Che ne pensi? E se così fosse: sei personalmente giunta ad una conclusione? O ti è capitato com’è accaduto a me di restare sospeso senza aver neanche il bisogno di una risposta? Ci basta aver osservato per davvero...
C’è sospensione, sì, ma arrivano anche risposte, se sai lasciarti andare, dipende da te…
La vita dell’uomo. Restiamo qui. Se le orchestrazioni mi rimandano tra paesaggi nostrani, la magia del flauto mi trasporta dentro scenari world, dentro riserve, dentro antiche tradizioni tribali. E questo accostamento l’ho voluto leggere come un’apertura all’uomo in tutta la sua etnia, in tutta la sua entità, senza politica e geografia… senza regole estetiche pre-confezionate e tradizioni da rispettare. Magari sto esagerando con le impressioni… dimmi la tua…
Le impressioni sono istinto. È giusto descrivere “Disarm” in questo modo.
Questo album indica una via di tolleranza e Unione possibile. Non c’è destra e sinistra che tenga, non è un manifesto politico, semplicemente un invito al disarmo interiore e all’apertura. Un ponte è più efficace di un muro.
La parola. Hai accostato la parola recitata alle trame di questo disco. Perché? Non ti è bastato il suono e la scrittura musicale? Cos’è stata dunque per te la parola: uno strumento di compensazione, di arricchimento o di maggiore possibilità di dialogo con il pubblico?
Perché volevo che le parole si abbandonassero alla musica, così come la musica alla parola, in un intreccio, in un abbraccio.
Immagine. Oggi il disarmo spirituale passa anche (penso io) dal bisogno spasmodico di apparire. Siamo nella società dell’immagine, delle apparenze su cui misurare la vita, dell’esserci più che dell’essere. Dunque mi affascinano sempre artisti che come te all’immagine curata in modo esasperato rispondono con video ufficiali come quello di “Leda and the swan”. E di nuovo il colore nero, il tema che si dipana in visioni introspettive, simboliche… in generale ti chiedo: che peso ha per te l’immagine e come l’hai conciliata con questo disco?
“Disarm” rispetto a “Illegacy” è più sobrio. Meno immagine e ancora più contenuto.
Un passo indietro della mia figura coincide con chi sono io oggi. È la musica che deve gridare, deve parlare, deve riempire. È bastante e completa.
A chiudere ti lancio l’ennesima riflessione. Disarmati ne usciamo al cospetto di queste nuove energie umane che non hanno più la capacità di gestire il proprio tempo, di saperlo riempire o di lasciarlo vuoto che va anche bene così. Uomini nuovi che non sanno più di far di conto con la noia. Non sappiamo e non ci è più data la possibilità di annoiarci. In questo tempo, il tempo deve scorrere veloce e denso di cose… “Disarm” invece è un’opera che scivola lentamente e che pretende l’ascolto artigiano, seduti, magari con il metro della propria vita davanti. Ma è risaputo che oggi se si richiede uno sforzo minimo di attenzione, l’attenzione si perde e il canale si cambia. Quanta emarginazione e indifferenza dietro l’opera dell’arte… non trovi? E tu come ci convivi?
La velocità toglie concentrazione. Ecco perché ho scritto “Gerundio”, il tempo letto, il tempo perfetto dove mi disarmo, mi fermo e trovo quello che forse stavo cercando. Il vero contatto con me stessa. La vera conoscenza di me. Credo ci siano persone con ancora il desiderio di rallentare e approfondire. La propria vita, le proprie passioni e ciò che l’arte vuole raccontare.