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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
21/11/2024
Live Report
DIIV, 20/11/2024, Circolo Magnolia, Milano
Sold out, band in forma smagliante e suoni splendidi, profondi e avvolgenti, per il live dei DIIV al Circolo Magnolia di Milano. Curiosi di sapere com'è andata? A voi il live report.

Può sembrare strano ma, tra l’annullamento del concerto del 2016 (tour di Is the Is Are, mi pare sempre al Circolo Magnolia) e la pandemia, di occasioni per vedere i DIIV nel nostro paese ne abbiamo avute decisamente poche. Quando finalmente si è potuto tornare a suonare, li abbiamo recuperati nei festival (io personalmente al TOdays del 2022, ma erano passati anche da Ypsigrock) ma al di là di queste apparizioni, le ultime date da headliner risalgono al periodo dell’esordio Oshin.

Addirittura, ma dovrei fare ulteriori verifiche, a Milano non ci sono proprio mai venuti. È anche vero che Zachary Cole Smith e compagni non sono mai stati neppure troppo frenetici nella loro attività: tra i problemi personali del loro leader e le incertezze sulla direzione da prendere (che non hanno comunque intaccato la stabilità di una line up che è la stessa dal 2015), è andata a finire che hanno realizzato solo quattro dischi in dodici anni; senza nulla togliere al Covid come fattore destabilizzante, è anche vero che pure tra Deceiver e il nuovo Frog in the Boiling Water di anni ne sono passati cinque, ulteriore rallentamento per una band che, dati i risultati, ci piacerebbe vedere più prolifica.

Il sold out, date queste premesse, risulta più che comprensibile. Il tendone del Magnolia è pieno fin quasi a scoppiare, si fa fatica a muoversi e colpisce in positivo la presenza (non maggioritaria ma comunque si fanno notare) di giovani, a testimonianza della nuova popolarità che lo Shoegaze (o Nu Gaze, se proprio vogliamo) sta riscuotendo tra i ventenni e trentenni, complici anche le piattaforme social (lo abbiamo visto anche a gennaio con gli Slowdive).

 

Il set di apertura di Tim Kinsella & Jenny Pulse, freschi autori di Giddy Skelter, risulta abbastanza superfluo, nonostante i trascorsi di Tim in formazioni di rilievo come Cap’n Jazz (assieme a suo fratello Mike, leader degli American Football) e Joan of Arc. Tra drum machine e basi varie, arrangiamenti caotici ed una buona dose di nonsense, la proposta del duo scivola via anonima e noiosa, nonostante qua e là si sentano scampoli di buone idee che tuttavia si perdono nel marasma generale.

Il fondo lo tocchiamo alla fine, con un raccapricciante karaoke sulle note di “Under Pressure”, cantata in modo orribile dai due, che provano anche a coinvolgere il pubblico senza ottenere grossi risultati.

 

Il set dei DIIV si apre con un lungo video messaggio che ci invita a non considerare quello a cui stiamo per assistere come un semplice concerto, bensì come un’esperienza trascendentale che cambierà per sempre la percezione che abbiamo di noi stessi. Pretenzioso, certo, ma andando avanti si capisce che il tono voleva essere ironico, esattamente come i successivi video proiettati, che sviluppano il concept fortemente politico dell’ultimo disco, tra condanne al capitalismo e alla politica estera americana degli ultimi decenni, e alla necessità della salvaguardia dell’ambiente; il tutto con un forte accento antifrastico che diverte nonostante risulti a tratti piuttosto spiazzante (l’apice lo si raggiunge su una carrellata di immagini patriottiche, tra Reagan, Bush e Obama, accompagnate dallo slogan “America is the great Satan” ripreso pari pari dalla propaganda khomeinista di fine anni ’70).

L’inizio, con “In Amber”, prima traccia del nuovo lavoro, fa sì che il concerto non decolli immediatamente: il brano, avvolgente ed ipnotico, conferma la decisione della band di rimanere sui territori del precedente Deceiver, rendendo ancora più densa la rarefazione, e perdendo molto della potenza originaria, con una scrittura che è divenuta progressivamente più riflessiva e meno emozionale. Frog in the Boiling Water rimane comunque un bel disco, ed il fatto che abbia uno spazio considerevole nella scaletta di questa sera (verrà suonato per intero o quasi) non penalizza per nulla il livello dello show.

 

Il gruppo, peraltro, appare in forma smagliante, al di là del solito outfit assemblato a caso con cui si presentano: Zachary Cole Smith, capelli corti e occhiali da intellettuale, sarà forse per essere di recente divenuto papà, appare sereno e rilassato, coi demoni che lo perseguitavano anni fa lasciati definitivamente alle spalle. La sezione ritmica Colin Caulfield/Ben Newman macina che è un piacere anche nei brani dall’andatura più compassata, confermando che potranno avere anche smorzato l’aggressività su disco, ma dal vivo rimangono sempre una forza della natura.

I suoni in particolare sono splendidi, profondi e avvolgenti, e se degli episodi più vecchi (molto pochi, purtroppo) colpisce l’andatura anthemica con le chitarre che spingono (“Under the Sun” è in questo senso l’esempio migliore) quelli nuovi godono di una resa altrettanto magnifica, mettendo in mostra un quartetto che nel corso degli anni ha saputo sempre di più migliorare la propria resa live, fino ad arrivare alla quasi perfezione odierna.

 

La setlist, dicevamo, è improntata sugli ultimi due dischi, ma non è per forza un male: se le bordate di “Sometime” e della conclusiva “Doused” fanno godere parecchio, unitamente alle suggestioni lisergiche di “Take your Time”, pezzi come “Frog in the Boiling Water” col suo ritornello azzeccatissimo, “Somber the Drums”, le suadenti “Brown Paper Bag” ed “Everyone Out”, lo Shoegaze poetico di “Between the Tides”, seguita a ruota da una “Blankenship” trasformata in una annichilente cavalcata elettrica, rappresentano tutti momenti di enorme fascino all’interno di un concerto davvero senza difetti.

Menzione speciale poi per “Acheron”, lunga e psichedelica ma anche fortemente rumoristica, perfetto esempio delle capacità di un gruppo che, quando vuole, sa anche divertirsi dilatando e stravolgendo le parti strumentali.

 

Serata dunque perfettamente riuscita, se non fosse stato per quella ormai proverbiale frangia del pubblico che, incapace di concentrarsi sulla musica per più di cinque minuti di fila, ha continuato a fare avanti e indietro dal bar, arrecando non poco disagio, dati gli spazi inesistenti, a chi aveva semplicemente deciso di godersi il concerto. Mi rendo conto che a fare ogni volta queste riflessioni si rischi di passare per talebani, ma è anche vero che le persone che non hanno la più pallida idea di come ci si comporti in pubblico sono sempre di più.

Speriamo solo di poter rivedere presto i DIIV dalle nostre parti, sarebbe un peccato rimanessero ancora fermi per troppo tempo.