"Can che abbaia non morde"
(Anonimo)
“Abbiamo sicuramente sfidato noi stessi sperimentando, con un approccio più deciso, passando molto tempo assicurandoci che queste canzoni non fossero tutte uguali, il che per noi era importante. Abbiamo cercato di ampliare le possibilità di ciò che puoi fare con la musica pesante. Questo è l’inizio più fresco che puoi ottenere con il tuo quarto album”. (John Boecklin, batterista)
Nel 2018 poteva sembrare una scommessa, quella di unire gli intenti di musicisti dal background piuttosto estremo come Doc Coyle (God Forbid), John Boecklin (ex-Devildriver), Chris Cain (ex-Bury Your Dead) e Kyle Konkiel (ex-In This Moment), con l’obiettivo di costruire un suono più accessibile ma anche “metal”. Dopo il divorzio doloroso dal cantante Tommy Vext, l’arrivo al microfono del produttore e chitarrista Daniel DL Laskiewicz, le grandi vendite e quasi un miliardo di streaming totali della loro musica, possiamo di certo parlare di una vittoria commerciale ben eseguita.
La band americana vede questo quarto disco come una conferma e insieme una rinascita, riuscendo finalmente a coinvolgere il nuovo frontman DL nella composizione di testi e musiche, ma lavorando “di gruppo” per trovare nuovi singoli spaccaossa ma anche dotati di melodie micidiali e indimenticabili.
Parliamo di un genere musicale che oggi in America spopola tra i giovani e che si potrebbe definire in mille modi, onesti oppure leggermente più furbi. In questa sede, opterò per essere preciso e diretto: l’elemento “pesante” si riduce ai riff di chitarra ribassati che si mescolano a ritmiche rocciose ma solo nelle strofe, in cui sporadicamente, la voce di Daniel si produce in un growl, comunque molto pulito e “decifrabile”. Aggiungiamoci qualche barra rap e ritornelli sempre puliti, ruffiani e condotti da un timbro limpido e davvero lodevole. Alla fine dell’ascolto di Die About It, si può genuinamente confermare che Laskiewicz sia davvero quel “quid” in più che la band possiede.
Il resto suona molto “alla moda” di oggi ma non in modo dispregiativo, perché la produzione è sontuosa e moderna, in una prima metà dell’album che riesce a far battere il tempo e cantare le melodie, dalla martellante (ma sempre un po' gentile) title track, all’epica urbana di “Legends Never Die”, alla sorpresa della strutturata e quasi “progressive” “NDA” (che termina con un sofisticato e notturno assolo di sax, unicum davvero lodevole), fino a una “Savior” che possiamo eleggere come manifesto sonoro del disco: sembra di sentire i Nickelback in versione leggermente più “modern rock”, con il metal che sorride da lontano.
Se il futuro economico della band è al sicuro grazie ad almeno quattro/cinque singoli efficaci, è nella seconda metà di Die About It che si percepiscono stanchezza e ripetitività, e le intuizioni geniali vengono meno. Rimane però “l’idea” di un lavoro che funziona per lo scopo che si era prefisso e troverà certamente dei fan pronti a supportare questi bravi ragazzi con i tatuaggi.
“Per me il disco suona come una band che non si ferma né si arrende. Siamo affamati e motivati. Non ci facciamo buttare giù, perché so che non abbiamo fallito.”