A Tony, apripista houellebecqiano.
Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?”.
I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “Ma cosa diavolo è l’acqua?”
(David Foster Wallace - Questa è l’acqua)
Angst.
La mia frequentazione con Iggy Pop risale a molti anni fa, tempi di angst giovanile per dirla con Kurt Cobain, anche se a quei tempi non era proprio la musica dell’Iguana a tenermi compagnia. Stranamente, devo ammettere col senno di poi; probabilmente c’erano altre urgenze sonore. Una canzone però resta e resterà legata a quel periodo: In the death car, eseguita da Iggy in abbinata a cori balcanici, data la collaborazione con Goran Bregovic come autore. Dire Bregovic significa parlare di Emir Kusturica e di un film ingiustamente sottostimato, Il valzer dei pescefreccia, della cui colonna sonora la canzone fa parte. Per una volta il titolo in italiano è migliore dell’originale (Arizona Dream) perché mette in evidenza le dinamiche sottese allo sviluppo della trama, che parlano di crescita e del diventare adulti. Arizona Dream non rende bene l’idea, pensando soprattutto al bellissimo finale in cui un giovane Johnny Depp e il caro vecchio Jerry “picchiatello” Lewis (in un ruolo serio, recitato alla grande come solo i comici sanno fare), immersi in un paesaggio nevoso vestiti da eschimesi, osservano un pesce con i due occhi dallo stesso lato prendere il volo sulle note della canzone:
A bowling wind is whistling in the night
My dog is growling in the dark
Something is pulling me outside to ride around in circle.
(Goran Bregovic feat. Iggy Pop, In the death car)
Qualcosa che ci trascini fuori dal buio, a farci girare in tondo: i versi della canzone non sono solo figurativi, si tratta anche di girare a vuoto, in un’incerta dimensione esistenziale che rimanda alle parole di Kurt Cobain: teenage angst has paid off well, now I’m bored and old.
Loss.
La frase apriva l’album dei Nirvana In Utero, pubblicato lo stesso anno in cui usciva il film di Kusturica (il 1993) e non a caso sto accostando i due riferimenti perché ne Il valzer dei pescefreccia emerge potentemente la dimensione uterina nella quale un giovane Johnny Depp vorrebbe restare, a discapito della maturità che porta con sé un guadagno ma anche una perdita. Magic and Loss[1]: questo è il significato dell’occhio del pesce che si sposta accanto all’altro al termine del film, quale segno dell’acquisizione di quid in più a discapito della prospettiva generale. Il tempo si fa breve, non voglio quindi intavolare discorsi pedagogici da vecchio pesce saggio, come accennava Foster Wallace ai laureandi del Kenyon College ai quali si rivolgeva narrando la storiella in esergo. Meglio, di testo in testo, far parlare le canzoni.
Di padre in figlio.
Attesa e inaspettata, arriva la seconda vita
In quell’istante in cui si taglia il velo e sei dall’altra parte
(…)
Da qui non si torna indietro,
Hai paura che il tempo non stia più al tuo guinzaglio.
(Niccolò Fabi, Attesa e inaspettata)
La canzone di Fabi ha assunto nel tempo un valore e uno spessore drammatico alla luce della perdita della figlia a cui il compositore aveva dedicato la canzone alla nascita. Qualcosa di impossibile da raccontare, da condividere, anche se recentemente un altro grande artista ha scelto di darsi totalmente al proprio pubblico nel raccontare la perdita di suo figlio.
Jesus lying in his mother’s arms
Is a photon released from a dying star
I am here and you are were you are
A star is just a memory of a star,
We are fireflies pulsing dimly in the dark.
(Nick Cave, Fireflies)
Io sono qui e tu sei dove sei.
Poche parole rivolte al figlio per delimitare due diverse dimensioni e soprattutto per prendere atto del legame reciso.
Io certo non ti lascerò mai andare
Io certo non ti lascerò sparire.
(Niccolò Fabi, Ecco, dall’omonimo album)
Un abbraccio che non si vorrebbe mai lasciar andare per non dover fronteggiare il dolore.
Ecco allora venuto il momento di introdurre lo sfondo sotteso all’argomento (oltre che titolo) di questo articolo) vale a dire il film Song to Song di Terrence Malick, che usa la musica per parlare di uomini e donne, in questo caso musicisti e produttori di dischi che intrecciano le loro storie amorose. Utilizzerò alcune frasi da questo film, soliloqui che scorrono sulla pellicola disancorati dalle immagini come una voice off, perché le ho sentite come il perfetto legame con le impressioni che mi hanno regalato i miei due “dischi dell’anno” 2019: Free di Iggy Pop e Tradizione e Tradimento di Niccolò Fabi.
Song to song.
(Tutte le frasi in maiuscoletto sono relative al film)
Volevo che quel dolore avesse uno scopo.
Nell’album che lo vede in copertina mentre affronta il mare[2], Iggy Pop declama un poema scritto dall’amico Lou Reed, il compagno del sacred triangle degli anni berlinesi (il terzo era David Bowie). Nel testo riecheggia un verso che mi ha colpito: “Noi siamo la gente senza tradizione”, frase che mi rimanda all’ultima canzone dell’album di Fabi che porta lo stesso titolo - Tradizione e Tradimento - dove l’autore s’interroga e fa il punto su quello che la crescita comporta, ossia la faticosa maturazione che sottende alla vita di tutti (il pesce con due occhi dallo stesso lato è nell’aria):
Cosa conservare e cosa cedere
Dopo ogni scelta arriva il conto
Guardo fisso avanti il filo e sono in bilico
Nelle insidie di ogni cambiamento
Tra le forze che da sempre mi dividono
Tradizione e tradimento.
(Niccolò Fabi, Tradizione e Tradimento)
Gli fa eco proprio Iggy Pop dalla riva di un altro film: Restare vivi, un metodo, opera in cui recita l’omonimo poema scritto da Michel Houellebecq[3] con questa frase:
Non appartenere a nulla altrimenti appartieni e poi tradisci immediatamente.
We are the people without land
We are the people without tradition
We are the people who do not know how to die peacefully, and this is
We are the thoughts of sorrows.
Endings of tomorrows.
(Iggy Pop, We are the people)
Noi siamo la gente che non sa morire in pace.
Qui siamo dalle parti di un angst dell’età adulta che non lascia scampo. L’orizzonte descritto da questi versi ci pone in una landa grigia, la stessa descritta nell’omonima poesia di Michel Houellebecq, la prima delle Configurazioni dell’ultima riva:
Se muore il più puro
La gioia s’invalida
Il petto è come svuotato,
E l’occhio conosce bene l’oscuro.
(Michel Houellebecq, La distesa grigia)
Eccolo, il pescefreccia che si libra nell’aria! Qualcosa si perde, qualcosa si guadagna, anche se il prezzo da pagare è alto. Lo ricorda bene Iggy Pop nel poema che già dal titolo fa da testo alla canzone contenuta in Free: Don’t go gentle into that good night, liriche scritte da Dylan Thomas alla morte del padre.
I savi pur sapendo alla propria fine che l’oscurità è giusta (…) non entrano lievi in quella buona notte (…) i giusti presso l’ultima onda, nel disperarsi di quanto splendide le loro gesta fragili avrebbero potuto danzare in una verde baia, si ribellano, si ribellano alla luce che si estingue (…) I seri, alla morte, che con vista accecante vedono quanto occhi ciechi potrebbero brillare come meteore ed esser vispi, si ribellano, si ribellano alla luce che si estingue.
(Dylan Thomas, Don’t go gentle into that good night).
E tu, non entrare lieve, in quella buona notte.
Frase finale che si lega al ritornello della canzone Ecco di Fabi: io certo non ti lascerò mai andare.
L’uomo vecchio con le sue rughe sta aspettando le ultime ore
E un attimo prima di chiudere gli occhi sente di nuovo un vagito.
(Niccolò Fabi, Ecco)
Un vagito, un suono; l’eco del proprio venire al mondo nelle ultime percezioni di un uomo che sta entrando nella buona notte, qualcosa di simile a quel vecchio nella stanza dell’odissea kubrickiana che al termine della propria vita intravedeva il bimbo delle stelle in una rinascita circolare.
Non ho più fondo interiore.
Né passione o calore;
Presto mi riduco al lume
Del mio solo volume.
(Michel Houellebecq, La distesa grigia)
Dark vs. Light.
E chi nun cunusce 'o scuro, nun po' capì 'a luce
(Enzo Avitabile, Mane e mane)
L’ultima onda, si diceva nel testo di Dylan Thomas e per forza di cose penso alla copertina dell’album Free con un uomo (Iggy Pop) di spalle, che s’immerge nelle onde del mare. I colori, l’atmosfera che l’immagine rimanda sono notturni: potrebbe essere un tramonto come pure l’alba, si tratta di interpretare la luce e le mie vibrazioni mi fanno propendere per il mattino:
Viene sempre il mattino dal futuro abolito
Si riduce il cammino ad una distesa grigia
Senza sapore e senza gioia, con calma demolita.
(Michel Houellebecq, La distesa grigia)
Ti dicono segui la luce. Dove la trovi?
Una delle domande presenti nel film Song to song ci introduce a quello che ritengo sia il trait d’union tra i due album, ma soprattutto tra i due artisti, così distanti nella biografia, nel loro fare musica e nel loro diverso mood d’interazione con il pubblico. Eppure, ascoltando le loro ultime produzioni, percepisco che sono giunti ad un approdo comune tramite percorsi diversi, trovandosi alle soglie di quel confine in cui una persona inizia a fronteggiare argomenti come Luce e Buio da un punto di vista esistenziale. Lo spiega bene Patti Smith in una scena del film in cui si trova a conversare con una giovane musicista:
Insomma è come il mare, le cose vanno e vengono.
E in questo andare e venire possiamo rintracciare le dinamiche del buio che ci viene mostrato nei primi minuti di Song to Song, attesa che sfocia nella luce del giorno, in una scena di pogo durante un rave party. L’impatto è fortissimo: si passa dall’oscurità al sentire alcuni rumori ovattati, per poi venire alla luce[4], rotolare nel mondo con la musica che invade lo schermo. Nei mille pensieri che si affastellano nelle scene, riecheggia, infatti, la frase: è tutto in caduta libera. Parole che si stampano perfettamente addosso a Iggy Pop se pensiamo ai suoi stage diving.
In caduta libera. Senza rete.
Senza protezione, col rischio di perdersi.
Sono i giorni dello smarrimento
Dell'amore che non si inventa
I giorni senza destinazione
E senza un movimento
Quando il gioco si fa serio e si smette di giocare
Ed è tutta una salita fino a sera
Fino al sonno che ristora.
(Niccolò Fabi, I giorni dello smarrimento)
Continuiamo a vagare e a oscillare in cerca di quiete senza trovare approdo:
Quando la notte si frastaglia in uccelli lenti
E i giorni non offrono più nessuna alternativa
Bisogna smetterla di vivere, senza ritardi e senza lamenti.
Il nulla ci propone una pace relativa.
(Michel Houellebecq, Plateau)
To die, to sleep. No more[5].
Tendono alla chiarità le cose oscure
Si esauriscono I colpi in fluire
Di tinte: queste in musiche.
Svanire è dunque la ventura delle venture.
(Eugenio Montale, Portami il girasole ch'io lo trapianti)
Risponde dall’altra riva Iggy Pop con l’ultima song dall’album, The Dawn che ad ogni ascolto mi rimanda all’incipit del libro Cosmopolis di Don DeLillo, dove è tratteggiata una condizione esistenziale di solitudine e di smarrimento:
Ora il sonno lo abbandonava più spesso, non una o due bensì quattro, cinque volte la settimana. Che cosa faceva in quei momenti? Non passeggiava a lungo dentro gli arabeschi dell’alba. Non aveva un amico tanto intimo da sopportare il tormento di una telefonata. Cosa dirgli? Era una questione di silenzi, non di parole.
Non c’è alcun sonno ristoratore per tornare al testo della canzone di Fabi, per l’uomo che cammina negli arabeschi dell’alba. Vedendo l’immagine della copertina di FREE mi piace pensare simbolicamente a Iggy che esce dalla camera dove si trovava il protagonista del libro di DeLillo: l’Iguana che non accetta di restare confinato in una stanza e affronta il Mare, all’alba. L’ennesima alba.
Waiting for the dawn again
The darkness is like a challenger
To all my schemes and orders
And forced good nature.
(Iggy Pop, The Dawn)
Pare di intravedere anche Fabi di fronte alla finestra di Cosmopolis, mentre osserva l’alba:
Il mattino è così stanco di illuminare
Che mi ripete all'infinito "buonanotte"
L'acqua si fa vino
Come l'innocente diventa un assassino.
(Niccolò Fabi, I giorni dello smarrimento)
La stanchezza di un mattino, in cui cedere:
To just lay down is to give up
You gotta do something
Something
Because the dark is like a challenger.
(Iggy Pop, The Dawn)
Aleggia, forse, nella scansione dei testi che ho scelto un senso di adombramento come se la luce stia per soccombere di fronte all’oscurità; è una vecchia storia[6] che continua e forse non avrà mai termine. Come sopravvivere al disincanto? Bisogna fare qualcosa, come dice Iggy Pop, perché l’oscurità è come uno sfidante.
Un’opzione, in questo senso, viene lanciata da Houellebecq:
A meno d’immaginare che potremo rivivere
Rivivere senza coscienza, che i nostri atomi tonti
Come palline del lotto ripetitivi e tondi
Andranno a ricombinarsi come pagine di un libro.
(Michel Houellebecq, Plateau)
Atomi. Particelle elementari[7]
Che parti vuoi di me? Si chiede una delle protagoniste del film di Terrence Malick.
Ora il cielo è il soffitto[8]
E l'infinito è un abbaglio
La luce si è spenta
Per accendere il buio.
(Niccolò Fabi, Parti di me)
Ancora il buio, la fine. Eppure un’alternativa alla resa può essere data:
E l'itinerario umano non prevede alcun ritorno
Ma un'andata un anno come un giorno
Solo sabbia colorata
Nell'ampolla sottostante della mia clessidra
Il tempo non si sfida
(…)
Non è finita, non è finita
Può sembrare, ma la vita non è finita
Basta avere una memoria ed una prospettiva
A prescindere dal tempo
(…)
Non è finita, non è finita
Nonostante tutto il male non è finita
Fino a quando ho una memoria ed una prospettiva
A prescindere dal tempo
A prescindere da tutto
A prescindere da me.
(Niccolò Fabi, A prescindere da me)
Questo prescindere da sé stessi, potrebbe essere il controcanto alla tentazione di nascondersi, perché Il dolore ti arriva dritto al cervello. Iggy Pop deve aver intercettato molto bene le istanze di Michel Houellebecq, come canta nella canzone I want to go the beach che allude al finale del libro La possibilità di un’isola dove il protagonista intraprende un viaggio alla ricerca del mare in cerca di altre forme di vita.
I want to go to the beach
Particles of pain in my brain
I guess they're here to stay
They work their way inside
And I can't hide or even walk away.
E non posso nascondermi o al limite andarmene.
Walk away, camminare: (ricordate quel qualcosa che ci trascini fuori dal buio, a farci girare in tondo con cui ho iniziato l’articolo?) è la posizione a cui conduce il viaggio intrapreso da Iggy Pop nel film in cui legge il poema di Michel Houellebecq (che nella pellicola interpreta un pittore): Restare vivi. Un metodo. Il film è un percorso di dolore nelle vite di alcuni uomini e donne che hanno dovuto affrontare disagi mentali, persone provate dalla vita che raccontano le loro particelle di dolore:
Cammini per stanze vuote che ti rimandano l’eco dei tuoi passi,
Gli oggetti sembrano essersi trasformati in statue certe volte.
Comincerai a piangere desiderando di girarti indietro ma in fondo sai che è già troppo tardi.
Queste le parole del poema lette dal nostro istrione punk, a voler dare uno scossone all’uomo, narrato da Don DeLillo, che camminava insonne dentro gli arabeschi dell’alba.
Bacia la terra, feccia!
Continua, non aver paura il peggio è già passato, ma per esserne sicura la vita ti farà a pezzi di nuovo,
ma dal tuo punto di vista non avevi tanto altro da fare. Ricordati questo:
fondamentalmente sei già morto, ora sei faccia a faccia con l’eternità.
Probabilmente è questa la prospettiva che Niccolò Fabi affianca alla memoria: semmai ci deve essere un girarsi indietro a riconsiderare la propria vita, allora deve essere nel segno dello sguardo che contempla la Bellezza. Houellebecq, a dispetto del nichilismo con cui viene etichettato, arriva perfino a citare la Kalokagathia deil’antica Grecia:
Ogni grande passione è una prospettiva sull’eternità. Allo stesso modo ogni grande passione porta infine a una zona di verità, uno spazio diverso estremamente doloroso, ma dal quale si può guardare in lontananza e con chiarezza; gli oggetti purificati appaiono in tutta la loro chiarezza nella limpida verità. Credi nell’identità del vero del bello e del buono.
To Glow. Risplendere.
Oltre le notti senza cielo, oltre le mattine in cui la speranza esita a
raggiungere gli uomini, c'è un momento di possibile dolcezza, in
cui il mondo può addirittura risplendere.
(Michel Houellebecq, Configurazioni dell'ultima riva).
Perché chi viene alla luce, illumina
(Niccolò Fabi, Attesa e inaspettata, dall’album Solo un uomo)
If I forfeit, mark me isolated
So turn off the lights,
Watch me glow in the dark
(Iggy Pop, Glow in the Dark).
Termino questo viaggio pervaso dall’oscurità con la canzone Glow in the Dark in cui sentiamo Iggy come se stesse chiamando da un’altra dimensione, chiedendo di essere osservato mentre risplende nell’oscurità. La voce ad effetti sovrapposti scema in un finale dove il tappeto sonoro della tromba (che in tante parti ha accompagnato il disco) avvolge tutto, dando l’impressione di non voler terminare la produzione di suoni, mentre una batteria dal ritmo sincopato procede libera in territori jazzistici che come spirito rebel non hanno nulla da invidiare al Punk.
E allora prima del commiato torniamo ancora una volta al mare della copertina di Free e alla frase che Patti Smith pronuncia nel film Song to Song: Insomma è come il mare, le cose vanno e vengono e all’Iguana che apre l’album con la più potente e naturale delle frasi in bocca ad un uomo: I wanna be free!
Liberati.
Darkness at the edge of noon
Bob Dylan, It’s alright Ma (I’m only bleeding)
Mentre tornavo dal cinema, mi restavano queste tre immagini: un Elvis umiliato con le lacrime asciugate sul volto, il capo chino nella dolorosa accettazione; le sue braccia aperte in trionfo. Queste sono le stazioni del passaggio di Cristo sulla croce, l’angoscia, la sofferenza e la resurrezione, un viaggio che ci accoglie tutti nel tempo.
(Nick Cave - Red Hand file #34)
All’inizio del film restare vivi, un metodo si vede in una breve sequenza Iggy Pop che allarga le braccia come Cristo sulla Croce mentre canta Open up and bleed; ripensando alle parole di Nick Cave sopra e tenendo conto dell’amicizia dell’Iguana con Michel Houellebecq, non ho potuto che pensare a due momenti apice in termini di scrittura e dono di sé a cui accennavo all’inizio di questo articolo.
Il primo è rappresentato dai versi di una canzone contenuta in Ghosteen, il concept-album di Nick Cave sulla perdita del figlio:
Una foto di Gesù tra le braccia della madre,
Un uomo che si chiama Gesù ha promesso di lasciarci con una parola di salvezza;
Un uomo pazzo di dolore appeso a un albero, tutti stanno appesi a un albero
(Nick Cave, Waiting for you).
Il secondo è tratto dal sorprendente finale dell’ultimo libro dello scrittore francese dal titolo Serotonina, con il quale voglio terminare questa via crucis, questo viaggio nel dolore:
In realtà Dio si occupa di noi, pensa a noi in ogni istante, e a volte ci dà direttive molto precise. Questi slanci d’amore che affluiscono nei nostri petti fino a mozzarci il fiato, queste illuminazioni, queste estasi, inspiegabili se consideriamo la nostra natura biologica, il nostro statuto di semplici primati, sono segni estremamente chiari. E oggi capisco il punto di vista del Cristo, il suo ripetuto irritarsi di fronte all’insensibilità dei cuori: hanno tutti i segni, e non ne tengono conto. È proprio necessario, per giunta, che dia la mia vita per quei miserabili? È proprio necessario essere così esplicito? Parrebbe di sì.
EDITING di ORNELLA GENUA
[1] Magic and Loss è un album di Lou Reed che parla di morte e malattia.
[2] In un modo o nell’altro, si torna sempre ai pesci di Wallace.
[3] Il libro La possibilità di un’isola ha ispirato all’Iguana L’album Preliminaires
[4] In utero è sempre tra noi, assieme ai pesci di DFW e al bambino di Nevermind che nuota allegramente nell’acqua.
[5] Citare William Shakespeare non fa mai male.
[6] Lo ricorda bene Rust Cohle al termine della prima stagione di True Detective.
[7] Titolo del libro con cui Michel Houellebecq divenne noto al mondo.
[8] Immagine che rimanda al push the sky away di NIck Cave, vero nume tutelare di questo articolo.