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REVIEWSLE RECENSIONI
18/10/2019
Starcrawler
Devour You
Chiarito che una proposta come questa non nutre particolari possibilità di evoluzione o di distacco da uno schema prefissato, bisogna dire che le 13 canzoni che ci troviamo ad ascoltare mostrano una band in forma e sufficientemente ispirata, che nonostante la fisiologica assenza dell'effetto sorpresa, riesce lo stesso a far divertire e a far battere il piede al ritmo dei brani.

Il 2018 si era aperto con il disco d'esordio degli Starcrawler, quattro ragazzini di Los Angeles che avevano mostrato al mondo come un certo tipo di Glam Rock potesse essere suonato con un senso anche nel nuovo millennio, anche da gente che non era neppure lontanamente nata quando i capolavori di riferimento del genere vedevano la luce. 

Ne avevo parlato qui ai tempi e mi ero unito al coro di entusiasmo generale, soprattutto perché i ragazzi dalla loro avevano tutto, immagine potente e canzoni efficaci. 

Qualche mese dopo ero poi riuscito a vederli dal vivo e, malgrado una resa sonora parecchio deludente (chitarre pressoché inesistenti e voce per tre quarti del tempo sotto il livello minimo) avevano comunque portato a casa una buona prestazione. 

Oggi, a quasi due anni di distanza dal debutto, dopo tanti live, tanto entusiasmo e qualche nuovo singolo qua e là (vedi “Pet Sematary”, colonna sonora del remake tratto dal romanzo di Stephen King), arriva finalmente “Devour You”, il tanto atteso secondo disco che, nei casi come il loro, è quello che si attende per capire davvero se si sia di fronte ad un fuoco di paglia o piuttosto ad un fenomeno destinato a durare. 

Chiarito che una proposta come questa non nutre particolari possibilità di evoluzione o di distacco da uno schema prefissato, bisogna dire che le 13 canzoni che ci troviamo ad ascoltare mostrano una band in forma e sufficientemente ispirata, che nonostante la fisiologica assenza dell'effetto sorpresa, riesce lo stesso a far divertire e a far battere il piede al ritmo dei brani.

Il singolo “Bet my Brains”, con quel suo riff in puro stile rock blues e il suo refrain irresistibile, unitamente ad un video da fuori di testa, che conferma il grande talento di questi ragazzi anche sul fronte visivo, ci aveva fatto illudere in un disco selvaggio come il precedente. 

La verità è che dopo essere andati a mille all’ora, utilizzando quasi tutte le cartucce a disposizione per partire col botto e fare immediatamente il proprio ingresso nel mondo musicale che conta, gli Starcrawler hanno rallentato e hanno confezionato 13 canzoni dove velocità e irruenza non sono per forza le uniche cose che contano. 

La maggior parte degli episodi di “Devour You” vive sul mid tempo, col Glam degli esordi sostituito in gran parte da un energico Hard Rock di stampo classico e rigorosamente americano, evidente soprattutto nei ritornelli, tutti facilmente cantabili e di facile presa. 

Ci sono brani più scuri e robusti (“She Gets Around”), altri più quadrati (“Rich Taste”), altri più aperti e melodici, con inserti di piano e chitarra acustica ad alleggerire le atmosfere (“Hollywood Ending”, “Born Asleep”, il secondo singolo “No More Pennies”), altri ancora che si muovono più decisamente nel solco della tradizione (“Home Alone” è una sorta di potente Boogie con chitarre sparate a mille). Due sole bordate senza compromessi: “Toy Teenager” e “Tank Top”, che non a caso durano poco più di un minuto e che vediamo perfette nella futura dimensione live. 

A chiudere il tutto, c’è poi “Call Me Baby”, ballata piuttosto inusuale, dal feeling allegro e con un ritornello particolarmente contagioso, ripetuto fino all'eccesso, che pare costruito appositamente per far cantare i fan alla fine di ogni show. 

Il tutto suonato ottimamente, con la voce di Arrow de Wilde sempre molto particolare, questa volta però più controllata e meno trasgressiva del solito (siamo però sicuri che dal vivo non si risparmierà per nulla) e coi suoi compagni d’avventura (Henri Cash alla chitarra, Tim Franco al basso e Austin Smith alla batteria) che la supportano egregiamente e bissano la già ottima prova del disco precedente. 

In conclusione “Devour You”, pur non possedendo tutte le qualità dell'esordio, è un album che sa come intrattenere l'ascoltatore, giocando abilmente con un linguaggio sulla carta datato ma in verità impossibile a divenire obsoleto, se chi lo pratica sa farlo con intelligenza e passione. 

Fuoco di paglia o fenomeno destinato a durare, quindi? Sicuramente non è un passo falso; dall’altra parte, però, non è neppure il passo avanti che sarebbe stato bello si verificasse. Il tempo dirà la sua.


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