Già con Agitation Free e, brevemente, con Tangerine Dream, il tastierista Michael Hoenig licenziò, in epoca di ripiegamento e declino della musica celestiale germanica, uno dei migliori prodotti dell'elettronica dei Settanta.
Un tardo e turgido fiore di una stagione avviata all'autoparodia degli anni seguenti. La traccia eponima (20'55'') è una straordinaria elaborazione in cui il sostrato minimale delle tastiere, reiterate e ipnotiche come nel classico A Rainbow In A Curved Air, di Terry Riley, viene speziato da echi etnici (la chitarra di Lutz Ulbrich in secondo piano) e da una seconda, avvolgente ed evocativa, linea del sintetizzatore: un mantra possente e irresistibile che, lentamente, va a spegnersi fra insistiti borborigmi elettronici e delicati tocchi space.
Il seguente “Hanging Garden Transfer” (10'59'') riassume due pregi: raddoppia i pregi di “Departure” (con più decisi tocchi ambientali) e rende ragione di una disputa antica: perché l'elettronica nasce e si raffina in Germania? Perché, azzardo, essa non è che l'oggettivazione (in chiave strumentale moderna, artificiale e asettica) di un sentimento profondo dell'anima germanica: la venerazione per il fato (Wyrd), per le potenze celesti che incombono incontrastate e invincibili sugli dei (destinati a una rovinosa sconfitta) e, di conseguenza, sulle famiglie degli uomini. Una visione dell'universo assolutamente pessimista da cui essi si difesero concretizzandola in pura arte evocativa: poesia mistica ed elegiaca, e musica e, poi, con più forza, musica elettronica, del tutto scevra da timbri individuali, specchio immacolato, veritiero e impersonale di un cosmo maestoso e implacabile colto nelle sue relazioni più profonde.
Di fronte a tale avidità per l'assoluto qualsiasi tentativo (specie meridionale) appare derivativo: e così è, a cominciare dagli esperimenti del pur valido Battiato. Altro ancora furono i minimalisti americani, volgarizzatori, pur geniali, di una serialità inumana, postmoderna.