Per tutti gli appassionati di Rock chitarristico i Black Angels rappresentano oramai un’istituzione. La formazione americana che meglio d’ogni altra, tra quelle emerse negli ultimi dieci anni, ha saputo traghettare la grande tradizione del genere psichedelico dalle origini ai nostri giorni. Ora, a quattro anni dallo spettacolare Indigo Meadow, tornano con un nuova raccolta ricca di reminiscenze sixties fin dalla confezione, l’optical art sulla copertina, l’esplicito tributo agli esordi dei Velvet Underground nel titolo: The Black Angel’s Death Song. L’album, il quinto della loro discografia (prima volta per via Partisan), ci inonda subito di buone vibrazioni alternando, come d’abitudine, pezzi grintosi a ballate elettriche della miglior fattura. Undici brani avvolgenti e senza tempo in cui si chiamano a raccolta i campioni del Psych/Rock: dai Pink Floyd ai 13th Floor Elevators, dai gruppi cronologicamente più vicini al presente come Spacemen 3, Spiritualized e Brian Jonestown Massacre (le band che riportarono in classifica la Psichedelia negli anni ’90) ad altri di recente affermazione quali Black Mountain, Dead Meadow e Pontiak (un nuovo album in uscita anche per loro). Il consueto happening dei Black Angels in cui l’età è l’ultimo dei problemi per ricevere l’invito, un po’ come al Levitation Festival, la manifestazione organizzata da Christian Bland e Alex Maas che dal 2008 vede ogni anno esibirsi il meglio del Psych/Rock mondiale, oppure come il singolo Thank Good For Civilization del 2014 realizzato con il grande vecchio della psichedelica texana Roky Erickson.
Nati ad Austin nel 2003 i Black Angels debuttano come meglio non si potrebbe nel 2006 con il capolavoro Passover dove inanellano una manciata di brani da antologia del Rock: Young Men Dead, The Prodigal Sun, Bloodhounds On My Trail. Da allora solo l’imbarazzo della scelta, canzoni solidissime e dall’appeal istantaneo capaci di reggere agevolmente il confronto con i classici di una vita fa. Revivalisti per eccellenza quindi, come verrebbe da chiosare stando alla critica grossolana e danzereccia a cui piace dare dell’anziano a chiunque si faccia bastare chitarre, elettricità e poco altro, i Black Angels continuano nel loro esemplare percorso artistico in cui l’enorme rispetto per chi è venuto prima va di pari passo alla voglia inesausta di R’n’R che, aldilà delle mode passeggere, non verrà mai meno. Quindi, nell’attesa di uno spot figo in cui un diciottenne metterà su, irridendo nel frattempo il babbo imborghesito, un vinile dei Black Angels per pubblicizzare una pomata anti-brufoli, godiamoci in anteprima questo Death Song. E’ sufficiente schiacciare il tasto play e ascoltare il singolo apripista Currency per testare lo stato di forma della band texana con quel meraviglioso riff a metà brano che s’incunea sottopelle e la voce nasale di Alex Maas a fare il resto. Per ulteriori gemme ci vuole solo un po’ di pazienza, I'd Kill For Her arriva subito dopo ancor più anfetaminica e riverberata, Comanche Moon lascia senza parole, ballata acidissima e cadenzata che cresce inesorabilmente ad ogni ulteriore ascolto. Oppure il giro d’organo che apre Estimate quasi a dar vita al drumming ossessivo di Stephanie Bailey e alle trame sottili e diafane della chitarra di Christian Bland. Inutile dilungarsi oltre, tutti i brani meriterebbero una menzione a parte, il disco è spettacolare e la band è da amare senza riserve. Da consigliare ai ragazzi (con o senza i brufoli) che volessero avvicinarsi al Rock psichedelico per la prima volta. I Black Angels potrebbero rappresentare l’equivalente di un comodo bignamino da cui partire per un’avvincente viaggio a ritroso. Magari, se babbo sgancia, ci scappa anche un viaggetto ad Austin per assistere alla prossima edizione del (fighissimo) Levitation Festival.