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REVIEWSLE RECENSIONI
16/02/2023
The Tubs
Dead Meat
Non è il caso di gridare al miracolo, ma non c’è nemmeno da rimanere indifferenti: i Tubs sono una band come ce ne sono in giro tante ma quello che fanno lo fanno molto bene, considerato anche il fatto che parliamo di un genere che non richiede nessun tipo di originalità, bensì che si azzecchino le melodie.

Owen “O” Williams (voce e chitarra) e George “GN” Nicholls (chitarra) sono le menti principali dei Tubs, formazione che comprende anche il bassista Max Warren e il batterista Matthew Green. Origini gallesi ma da tempo di stanza a Londra, i quattro erano già attivi come Joanna Gruesome (due album ed una serie di EP e singoli pubblicati tra 2011 e 2015) ma fanno parte di una scena più grande, dove le band vanno e vengono, interagiscono tra loro e si scambiano i componenti. Giusto per dirne una, alcuni di loro hanno formato gli Ex-Vöid assieme all’ex cantante dei Joanna Gruesome Lan McArdle, e c’è in giro un’altra band chiamata Sniffany & The Nits, che invece ha una proposta più vicina al Punk.

Gravitavano tutti attorno al Sister Midnight Records, che ha chiuso durante la pandemia ma che negli anni precedenti ha svolto un ruolo non indifferente nell’alimentare la sempre fervente scena londinese.

 

Dead Meat arriva a misurarli sulla lunga distanza un anno e mezzo dopo l’EP d’esordio Names.

Rispetto a quella prima manciata di canzoni la proposta risulta leggermente più variegata ma il robusto attacco di chitarra di “Illusion Pt.II” (la prima parte aveva a sua volta il ruolo di opener su Names) a sfociare quasi subito in un contagioso ritmo Jangle con tanto di linea vocale in stile Morrissey ci fa capire che le coordinate generali non sono mutate.

Indie Pop dei più classici e cristallini, in bilico tra Sarah Records e Flying Nun, con qualche soluzione un po’ più ruvida qual e là (“Sniveller”, che ha anche una struttura più obliqua ed elaborata, ed il brevissimo e fulminante Punk melodico della title track), compresso nella fin troppo breve durata di 26 minuti, questo è un lavoro immerso nella più sfacciata retromania, ma suona ugualmente fresco e credibile, senza vergognarsi di utilizzare stilemi fin troppo abusati.

Merito di un lavoro di scrittura snello ed efficace da parte di O e GN, affiatati ed in possesso di tutti i trucchi del mestiere, capaci di imbastire ritornelli memorabili (“Two Person Love”, peraltro già presente nell’Ep, “I Don’t Know How It Works”) e tessiture ritmiche che ricordano ora i R.E.M. del periodo IRS, ora gli Smiths più smaccatamente ruffiani (da questo punto di vista, “Wretched Lie” è un piccolo gioiellino senza tempo e al tempo stesso un devoto omaggio ad un classico come “Bigmouth Strikes Again”).

 

Non è il caso di gridare al miracolo, ma non c’è nemmeno da rimanere indifferenti: i Tubs sono una band come ce ne sono in giro tante ma quello che fanno lo fanno molto bene, considerato anche il fatto che parliamo di un genere che non richiede nessun tipo di originalità, bensì che si azzecchino le melodie.

Non so dove andranno a finire, se riusciranno a divenire più visibili rispetto a quei loro colleghi (vedi The Beths) che pur apprezzati dalla critica faticano a raggiungere il grande pubblico. Di sicuro stupisce che ci siano ancora così tanti ragazzi (anche se loro proprio giovanissimi non sono) che amano cimentarsi con una proposta che, bene o male, ha sempre interessato molto di più i circuiti dei nerd che quelli del mainstream. La verità è che siamo forse in una delle epoche in assoluto più variegate dal punto di vista delle proposte stilistiche. Basta solo fare un minimo di sforzo per rendermene conto.