Questo potrebbe essere il vero manifesto di tutto il folle Hard Rock sotterraneo Americano: anno 1970 (perfetto), Texas Profondo (ottimo), un chitarrista con tentazioni epiche, un sano e strafottente cantante, di quelli che si strusciano continuamente l’asta del microfono tra le gambe; e un batterista che pare Lemmy in versione Hell’s Angel imbarcato per caso sulla prima nave pirata ad est di Sumatra. Poi un titolo inquietante e perfino una copertina vagamente horror. Volete dell’altro? E allora beccatevi quei riff di basso ipocentrici nella redenzione stoner di Gimme Shelter, oppure il frammento heavy-western per tramonti di armonica e chitarra filtrata di Situation. Ma certo ancora non vi basta, vero? Crazy Man aveva aperto addirittura con riff sitareggianti da Deccan settentrionale, che trascrivono Hendrix per branchi di Australopitechi sottoculturati fatti di Mandrax; poi un hard-rock-dixie classico in I Need A Woman: Steppenwolf, Mountain, Zeppelin, soggiogati da una sezione ritmica cupa e plumbea come poche, mentre la chitarra divaga senza cognizione tra riff arcinoti e assoli ai saldi dei Cream. Proposition è meglio ancora: il mercato nero delle chitarre hard attorcigliate a due note immutabili di basso alla Mel Schacher, con interludio di minime sovraincisioni e paleolitici effetti che sfigurano una Midnight Rambler sotto luci speleologiche come in un graffito rupestre.
Non male, eh? Ebbene tutto quanto avete ascoltato finora scordatelo; perché adesso arriva “Il Brano”, quello che ha catalizzato le smanie di tanti collezionisti e cultori dell’oscuro: Dead Man. Mosso dalla stessa incostante ispirazione degli UFO di Mick Bolton, ha il pregio di rinunciare all’esplorazione di Cygnus X-1 (cazzi dei Rush!) per tuffarsi in un mondo sotterraneo e misterico, scoperchiando sarcofagi di mummie azteche dimenticate negli antri catacombali di una mente deviata dall’ultima pasticca di LSD del Texas. Diciassette-minuti-e-mezzo di danza Apache che presta il fianco ad ogni possibile cinismo ma riesce, incredibilmente vista la scarsa ispirazione, a tenere alti ritmo e tensione nell’ascoltatore; sarà per via di quel timbro così nero, o del magnetico giro di basso; o magari, perché no, della teatrale declamazione vocale di Pete Bailey, mentre la presunzione epica di Dave Mitchell degenera in un soliloquio in bassa fedeltà, delirante ed imprevedibile. Ci si risveglia sotto le sue frustate attorno al minuto quattordici: come vola il tempo eh? E nonostante lo stordimento a questo punto chiunque vorrebbe essere quel bassista che sta ancora imperterrito sul suo du-du-du-doom dum-dum/du-du-du-doom dum-dum. Mitchell fa in tempo anche a chiudere su una travisazione di How Many More Times, che a sua volta travisava a destra e manca da Beck’s Bolero a The Hunter. Ricominciate a respirare, perché si torna a vedere la luce alla fine del tunnel. Benvenuti dentro le teste buie dei Josefus.
I Josefus sono stati una delle prime “riscoperte” di Rock duro primordiale, se non che furono inizialmente additati come ultimi discendenti della scena psichedelica Texana della International Artist (The 13th Floor Elevators, Red Krayola…) con cui in realtà ebbero poco a che fare. Ad ogni modo finirono anche sulla vecchia “Enciclopedia del Rock Psichedelico” della Arcana e questa ambigua fama lisergica non fece altro che accrescerne il culto.
Le vicende discografiche del gruppo sono piuttosto intricate, tra cambi di etichetta e molto materiale inedito e più volte riemerso in anni recenti. Il vinile originale della Hookah (etichetta giallo ocra-bianca) viaggia ormai stabilmente oltre i 500 $, con punte addirittura vicine ai 1000$: è sicuramente uno dei grandi pezzi da collezione nel suo genere; occhio a prezzi più convenienti (comunque attorno ai 200$...) perché facilmente nascondono qualche pecca sonora.
Reperibili varie edizioni in CD (Soundazed e Akarma) con svariate bonus ma non sempre a buon mercato su Amazon: meglio scandagliare E-Bay per risparmiare qualcosa. Esiste anche una edizione Red Fox che abbina in un unico CD i due album ufficiali del gruppo. C’è poi Get Off My Case, di fatto un alternate mix di Dead Man, reperibile tanto in vinile (con un bel booklet allegato) quanto in CD. A voi la scelta!