Probabilmente era destino che ci fosse un gruppo come i Belle and Sebastian a realizzare la colonna sonora di un’opera del genere. Perché “Days of the Bagnold Summer”, film del debutto da regista di Simon Bird, in uscita nel 2020, è in realtà tratto dall’omonima Graphic Novel di Joff Winterhart, un autore di Bristol appassionato di musica che nel tempo libero si diletta a suonare la batteria nei Bucky, una Indie Rock band che qualche tratto in comune con gli scozzesi ce l’ha.
Anche la storia raccontata è in qualche modo legata al mondo della musica: il protagonista è Daniel, un quindicenne, metallaro accanito, che vive con la madre Sue, che lavora in una libreria. Per le vacanze estive Daniel è stato invitato in Florida da suo padre e dalla sua nuova moglie, che è incinta. Il viaggio viene cancellato all’ultimo momento e così Daniel è costretto a passare quei mesi in compagnia della madre, con cui non c’è esattamente un buon rapporto.
Fin qui la situazione iniziale, ma quei giorni saranno soprattutto l’occasione per riscoprirsi l’un l’altro e per fare il punto della situazione sulle rispettive vite…
Aggiungiamo che Daniel è interpretato da Earl Cave, il figlio di Nick, qui alla sua prima esperienza come attore, e capiremo come ci siano tutti gli elementi per tirar fuori un prodotto che il contributo dei Belle and Sebastian avrà buon gioco ad impreziosire.
Intanto cominciamo col dire che la band di Stuart Murdoch sembra aver completato il processo di ricongiungimento col proprio passato, che era già stato abbondantemente portato avanti con il triplo Ep “How To Solve Our Human Problems”.
Sarà stata la reazione ad un certo malcontento dei fan, la voglia di rifugiarsi in un territorio sicuro oppure la semplice ispirazione del momento, fatto sta che questa Soundtrack, sin dalla copertina dai toni seppia, coi volti dei due protagonisti in primo piano e il solito font usato spesso dal gruppo, ci riporta alla memoria tutto quell’immaginario con cui hanno conquistato il pubblico più di vent’anni fa.
Difficile dire se si tratti di un album vero e proprio: le tracce sono 13 e non ci sono intermezzi, variazioni sullo stesso tema e altre soluzioni tipiche delle colonne sonore. Ci sono però tre brani strumentali, uno (la conclusiva “We Were Never Be Glorious”) che suona più che altro come un patchwork di idee, tra vocalizzi e parti dialogate tratte dal film e due riletture di vecchi classici, “I Know Where the Summer Goes”, contenuta in uni dei primi Ep della band e “Get Me Away From Here I’m Dying”, uno dei loro più importanti manifesti sonori e tematici, dal loro secondo disco “If You’re Feeling Sinister”. Versioni che nulla tolgono e nulla aggiungono alle originali (giusto qualche orchestrazione in più) ma è bello ritrovarle ancora fresche e bellissime a distanza di anni e soprattutto constatare come si incastrino alla perfezione con i nuovi episodi.
Già, perché nelle restanti tracce è come se una macchina del tempo ci avesse riportato direttamente ai giorni della malinconia agrodolce, del tedio e dei sogni adolescenziali, che quella foto di Isobel Campbell nella cameretta, sulla copertina di quel secondo album, incarnava alla perfezione.
Dall’acustica minimale di “Did the Day Go Just Like You Wanted” e “Another Day, Another Night”, a contemplative ballate intrise di nostalgia come “I’ll Keep It Inside” e “Safety Valve”, fino alla divertente “Sister Buddha”, già uscito mesi fa come singolo, il brano più elettrico del lotto, ideale spartiacque col repertorio del lavoro precedente, questa raccolta di canzoni ci consegna in un colpo solo tutto quello che abbiamo sempre amato dei Belle and Sebastian, tutto quello che abbiamo sempre rimpianto quando, probabilmente da “The Life Pursuit” in avanti, il gruppo è diventato più prevedibile, perdendo per strada quell’intensità e quella trasparenza che ci aveva così irrimediabilmente conquistato. Poi per carità, io ho trovato piacevole anche il nuovo corso e neppure un disco controverso e criticato da più parti come “Girls in Peacetime Want to Dance” ha saputo farmi allontanare da loro.
Eppure, ascoltando queste nuove canzoni, non ci si può sottrarre ad una piacevole sensazione di ritorno a casa. Ovviamente niente si azzera, il tempo è passato, loro non sono più giovani e neppure noi lo siamo più. Detto questo, in “Days of the Bagnold Summer” c’è bellezza e genuinità quanto basta: godiamocelo, andiamo a vederci il film quando uscirà e corriamo a salutarli dal vivo non appena passeranno da noi. Solo questo possiamo fare per loro, in questo nostro presente. E non mi sembra per nulla poco.