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REVIEWSLE RECENSIONI
30/05/2023
Montag
Dati
"Dati", esordio sulla lunga distanza di Montag, non solo convince ma offre probabilmente un contributo importante alla musica indipendente italiana per svecchiarsi e uscire dalla dimensione eccessivamente stantia nella quale sembrerebbe precipitata.

Devo dire la verità, ho iniziato a guardare con attenzione al progetto Montag solo dopo l’uscita del primo disco dei Giallorenzo. Prima di allora, l’ascolto della manciata di canzoni che Pietro Raimondi aveva pubblicato da solista, non mi aveva provocato chissà quale sussulto, impressione non mutata neanche dopo averlo visto un paio di volte dal vivo. 

Il progetto messo in piedi assieme a Giovanni Pedersini dei Malkovic ne ha invece probabilmente messo in mostra quelle qualità di scrittura che non avevano avuto modo di uscire allo scoperto in precedenza; o forse, più probabilmente, in questi anni è semplicemente migliorato come autore. 

Fatto sta che l'ascolto di Dati, esordio sulla lunga distanza del cantautore milanese, non solo convince ma, lo dico senza esagerazione, offre probabilmente un contributo importante alla musica indipendente italiana per svecchiarsi e uscire dalla dimensione eccessivamente stantia nella quale sembrerebbe precipitata. 

 

Questo è un disco che sarebbe dovuto uscire già nel 2019, ma che per diverse ragioni è stato tenuto nel cassetto ancora per un po’. Il Covid, con tutto quello che è seguito, ha provocato quello strano fenomeno che si vede talvolta in azione quando si parla di creazioni artistiche: un evento nuovo che accade e che illumina a posteriori, rende più chiara la comprensione di un fattore che c’era già al momento del primo concepimento ma che ancora non era stato inquadrato e metabolizzato a dovere.

Dati, lo ha spiegato lo stesso autore, era già il titolo prescelto per il disco; la pandemia, costringendo di fatto lui e tutti noi a comunicare mediante lo schermo di un computer o di un telefono, non ha fatto altro che rendere evidente un fenomeno già in atto da anni. Qual è la natura reale della nostra comunicazione? Che cosa vuol dire che ci si può rapportare all’altro solamente in forma digitale? Cosa esattamente va perduto, nel momento in cui rinunciamo alla corporeità e ci accontentiamo di un surrogato? Quanto della nostra vita sarebbe diverso, se ci liberassimo dalla dipendenza da smartphone e abbracciassimo un livello più carnale nel rapporto con le persone e le cose?

Interrogativi complessi, che non hanno una risposta precisa, ma che pure occorre tenere aperti se non si vuole rinunciare a ciò che ci rende veramente umani.

Montag affida queste sue riflessioni alle canzoni, scrivendo testi che hanno a tratti lo stesso carattere surreale e paradossale di quelli dei Giallorenzo, ma che fanno un uso minore dell’ironia, che contengono un’urgenza maggiore di capire la vita e rivelare un vissuto. Non tutto è esplicito, c’è poca linearità e molto impressionismo, ma è chiarissimo che ci sia in atto un dialogo serrato con un interlocutore che non si vuole lasciare andare, un desiderio di non perdere tempo e di andare al cuore di ciò che vale; che per inciso, non sono ingredienti che si trovino spesso, nei dischi italiani di questi tempi.

 

Ma Pietro ha una marcia in più anche a livello musicale: se nei Giallorenzo avevamo apprezzato il suo modo di unire la dimensione del cantautorato con quella dell’Indie Rock, in una declinazione a metà tra il Punk Rock e il Lo Fi, in questa prova in solitaria cerca la “svolta Pop” (per lo meno così ha dichiarato) per rimanere comunque ancorato ad una dimensione grezza, “asciutta”, come lui stesso l’ha descritta, priva delle iper produzioni e degli arrangiamenti elaborati che l’etichetta “Pop” si porta dietro, ma dove neppure le chitarre acustiche sono lo strumento principale. È un disco ugualmente pieno, basato pur sempre sull’intreccio di basso, chitarra e batteria, ma con anche una certa dose di elettronica ed effettistica, a “sporcare” e a contaminare anche laddove si penserebbe di essere alle prese con una tradizionale ballata acustica.

Prezioso, in questo senso, il lavoro di Fight Pausa e Generic Animal, col primo nelle vesti di produttore e di bassista, ed il secondo ad occuparsi delle chitarre e di qualche coro (ci sono anche delle seconde voci ad opera di Cecilia Bertozzi).

 

Al di là di tutto, comunque, Dati è un disco che ha il suo punto di forza nelle melodie, oltre che in un’interpretazione vocale che qui, lontano da chitarre rumorose e da una certa esigenza “caciarona”, risulta molto più valorizzata, mettendo in risalto come Pietro sia, oltre che un bravo autore, anche un cantante dalle discrete possibilità espressive.

Le canzoni funzionano, per quell’appeal da potenziale hit che rivelano già dal primo ascolto anche quando, come accade per esempio in “Open Access”, “0.5 KB” o “Beatrice”, mettono in mostra una struttura meno convenzionale e degli arrangiamenti poco prevedibili, che sembrerebbero smorzarne il potenziale melodico.

E funzionano anche quando sale in cattedra il songwriter vero e proprio, che confeziona scintillanti numeri di Indie Rock da manuale, sia che ci si avvalga di uno spettro sonoro più pieno (“GDPR”, “Infinite Scroll”), sia che si giochi la carta della ballata più o meno acustica (“Palta” o lo straordinario crescendo emozionale di “Aumai”).

C’è qualche richiamo di troppo ai Giallorenzo, cosa che è probabilmente inevitabile ma che crea un senso di déjà vu che è poi l’unico vero difetto di un lavoro altrimenti inattaccabile.

 

Montag è tornato ed è cresciuto ad un livello che non credevamo possibile. Dati è il disco che stavamo aspettando, in possesso di tutte le carte in regola per piacere ai nostalgici dell’Indie che fu, ma anche sufficientemente fresco e “moderno” incuriosire anche gli ascoltatori più giovani.