La personalità della tedesca Christa Päffgen, in arte Nico (Colonia 1938 – Ibiza 1988), compare tuttora nelle storie musicali come un problema irrisolto e vertiginoso. Chi vi si accosta rimane sconcertato dalla varietà e grandezza dei nomi a lei connessi (Alain Delon, Brian Jones, Jim Morrison, Warhol e Velvet Underground, Federico Fellini, Tangerine Dream, Eno, Jimmy Page, Philippe Garrel, Bob Dylan) e dalla semplice profondità d’una musica che ha generato esegesi inestricabili e, di fatto, inservibili: “[nel suo stile] confluirono elementi della tragedia greca, del monologo shakespeariano, del Faust, di Lulu, del teatro brechtiano ... dal lied romantico di Schubert, dalla salmodia responsoriale, dai Carmina Burana, dal song elisabettiano, per arrivare alla chanson noire e alle litanie dei muezzin”[1].
Il tentativo di risolvere biograficamente la questione, peraltro, inscrivendo l'artista nel milieu pregresso della Germania nazionalsocialista (dall'ascesa weimariana – con la dissoluzione del Secondo Reich – sino alla disfatta del 1945), se appare in parte giustificato, lascia complessivamente insoddisfatti.
Il problema Nico, divenuto enigma, rimarrà tale se non facciamo tesoro di una verità che il connazionale Friedrich Nietzsche espresse in Ecce homo: “La affinità con i propri genitori è minima: sarebbe il segno estremo della volgarità essere affini ai propri genitori. Le nature superiori hanno la loro origine infinitamente più indietro, per arrivare a esse si è dovuto raccogliere, risparmiare, accumulare come per nessun altro. I grandi individui sono i più vecchi: non lo capisco, ma Giulio Cesare potrebbe essere mio padre ...”.
Nature eccezionali, delicate e preziose come cristalli, appartenenti all'aristocrazia dell'animo, paiono ricapitolare in se stesse il sentimento millenario d’una gente: quanto si è sofferto e combattuto, quanto dolore, comprensione e folle amore si è consumato perché alcuni individui unici potessero comprendere in loro stessi e nelle loro creazioni il genio d’un popolo! Nico è la miracolosa epitome del sentire tragico della propria patria, la Germania, la Pallida Madre (Mütterlein): in lei rivive il lamento della sposa esiliata o del viaggiatore errante (Drama of exile) dell'elegia anglosassone; la vendetta di Crimilde, prima tenera sposa, poi furia vendicativa (Nibelungen); la nobiltà cortese dei Minnesänger medioevali (The falconer, Le petit chevalier); il Romanticismo tedesco che celebrava le antiche gesta, il mistero della notte, la Patria, l’incanto naturale e la composta classicità; l’annientamento di Isotta sul cadavere di Tristano, “nell'alitante Tutto/annegare/sprofondare/ignara/gioia suprema!”.
In Nico tutte queste manifestazioni sussistono e danno ragione delle numerose suggestioni che i critici ritrovano: gotiche, decadenti, classiche, romantiche, rinascimentali. Al fondo di queste ramificazioni contingenti giace, però, gigantesca, la radice antichissima di un popolo che, al tempo stesso, ha presagito come nessun altro l'aspra catena del Destino invincibile (Wyrd) e che ha cercato comunque di assaltare il cielo, gioioso nella sconfitta inevitabile[2].
Non è quindi sconcertante, ma naturale che The End si chiuda con un lancinante “Das Lied der Deutschen”, un impasto fra nostalgia delle origini, solitudine, fierezza ed incongrua felicità; quella felicità che nasce da uno stato dell'anima (Stimmung) in cui convivono la vita irrefrenabile e la consapevolezza dell'inanità di qualsivoglia azione, un mondo sospeso eminentemente tragico come attesta L'Edipo di Sofocle (l'opera perfetta secondo la tedesca Nascita della tragedia) o l'Amleto del sassone Shakespeare.
Nico riassume il mondo germanico; uno stralcio poetico di Nietzsche, di struggente malinconia, “Abschied” (Commiato), riassume Nico. “Abschied” ha lo stesso titolo d'un compianto di Desert Shore, scritto in morte di Brian Jones; forse ne è l’ispiratore (come di alcuni temi 'invernali' di The Marble Index, “Frozen Warnings”, “Roses In The Snow”).
Esso recita:
Le cornacchie gridano a stormo
volano alla città tra un frullo d'ali
nevicherà tra poco -
Felice chi ha ancora – un focolare!
Ora stai rigido,
ti guardi indietro, ahimé! Ormai da tempo!
Perché tu sei fuggito,
pazzo, nel mondo, prima dell'inverno?
Il mondo – una porta
su mille deserti muti e freddi!
Chi l'ha perduto una volta,
mai non si ferma, quello che perdesti.
Ora stai smunto,
maledetto a errare negli inverni,
simile al fumo,
che cerca sempre cieli più freddi.
Vola, uccello, il tuo canto
stridi nel tono dell'uccello del deserto!-
Nascondi, o pazzo,
il tuo cuore sanguinante nel gelo e nello scherno!
Le cornacchie gridano a stormo
volano alla città tra un frullo d'ali
nevicherà tra poco -
Felice chi ha ancora – un focolare!
[1] Piero Scaruffi, http://www.scaruffi.com/vol3/nico.html#title
[2] Due scritti di Borges: Annotazione al 23 Agosto 1944, in cui Hitler anela inconsciamente la propria sconfitta; Deutsches requiem in cui il protagonista, un nobile nazista, gioisce della disfatta.