A pensarci bene, nel corso del tempo la parola “romanticismo” ha subito un notevole slittamento semantico. Una volta evocava tempestose notti gotiche, figure maledette e struggenti poesie su un amore impossibile, oggi, più banalmente, rimanda a cuori, rose e frasi motivazionali. A quanto pare, però, Gary Louris, classe 1955, navigato esploratore delle geografie emotive del cuore umano, nel comporre e registrare Dark Country – il suo terzo album solista e, a suo dire, il più personale – ha voluto avvicinarsi più alla prima definizione che alla seconda.
Registrato nel suo studio casalingo immerso tra le montagne del Quebec – dettaglio che da solo evoca immagini di camini scoppiettanti e lunghe notti invernali passate tra una chitarra e un bicchiere di whisky – Dark Country è dichiaratamente una lettera d’amore a sua moglie Stephanie. Louris, voce e penna storica dei Jayhawks, qui si spoglia di ogni orpello e riduce la musica alla sua essenza: voce, chitarra e occasionalmente un tocco di pianoforte. Il risultato è un disco talmente intimo che l’ascoltatore ha quasi la sensazione di essere un intruso in una conversazione privata, o meglio ancora, nel diario segreto di un cantautore che ha sempre preferito raccontare storie universali piuttosto che autobiografiche.
Louris stesso ha dichiarato che questo è il suo lavoro più diretto e sincero: «Non sono solito scrivere testi autobiografici, ma queste canzoni sono tanto letterali quanto possono essere... tutte dedicate al mio amore». Il tono confessionale emerge sin dalla traccia d’apertura, “Getting Older”, primo singolo dell’album. Il brano parla del coraggio necessario per abbandonare una relazione stagnante, «né terribile né trascendente, né amorevole né abusiva» – una zona grigia in cui molti si trovano, o si sono trovati, a navigare prima di prendere una decisione drastica. Louris, però, non lascia spazio al rimpianto: il tema di fondo è che la vita è troppo breve per accontentarsi.
Il resto dell’album segue una struttura quasi ciclica: ballate malinconiche si alternano a momenti di dolcezza e riflessione, quasi a voler ricreare l’altalena emotiva di una relazione vissuta nel tempo. “By Your Side” è un manifesto di dedizione, mentre “Redefining Love” prova a riformulare cosa significhi davvero amare qualcuno al di là delle idealizzazioni giovanili. “Living on My Phone”, invece, introduce un momento di (auto)ironia, riflettendo sul paradosso della connessione costante che, anziché avvicinarci, ci separa.
Musicalmente, Dark Country non si allontana troppo dai territori sonori esplorati da Louris nei Jayhawks e nelle sue precedenti prove soliste (Vagabonds e Jump for Joy), ma rispetto a questi ultimi lavori il disco appare volutamente più essenziale. La produzione, di cui si è preso carico lo stesso Louris, si basa su un approccio minimale, con pochi interventi esterni: Stephen McCarthy dei Long Ryders (ma occasionalmente anche compagno di band nei Jayhawks) contribuisce alla pedal steel, Eleanor Whitmore dei The Mastersons arricchisce “Two Birds” con un delicato arrangiamento d’archi, mentre il tutto viene mixato dalle mani esperte di Paul Kolderie, già al lavoro con Pixies e Uncle Tupelo.
La bellezza di Dark Country risiede proprio nella sua sobrietà. In un’epoca in cui l’industria musicale sembra ossessionata dalla sovrapproduzione e dall’ossessiva ricerca di hit immediate, Louris sceglie la via opposta: un uomo, una chitarra e la pura potenza delle sue emozioni. Questo, ovviamente, significa anche che il disco non ha particolari impennate o guizzi inattesi. La coerenza stilistica è sia la sua forza sia la sua debolezza: a seconda del livello di attenzione dell’ascoltatore, potrebbe risultare un viaggio ipnotico oppure una monotona sequenza di ballate affettuose. Eppure, forse è proprio questa la sua intenzione, perché l’amore – quello vero, quotidiano, che si costruisce nel tempo – non è fatto di fuochi d’artificio, ma di piccoli gesti, ripetuti giorno dopo giorno, fino a creare un mondo a parte; ed è proprio in questo mondo che Louris ci invita a entrare.
Insomma, Dark Country è un disco che va ascoltato nel giusto contesto. Non è un album da sottofondo distratto, né da ascoltare in viaggio in mezzo al traffico. È un disco da gustare con calma e che, come ogni storia d’amore che si rispetti, non ha bisogno di urlare per farsi sentire.