Siamo tutti peccatori. Nessuno escluso. Anche chi ci tenta ad essere virtuoso, chi combatte per ciò che ritiene giusto, i padri e le madri nei confronti dei figli e i figli nei ricordi selettivi dei propri genitori, chi crede che amare permetta di fare qualsiasi cosa e chi dell’amore non ha mai sperimentato neanche una carezza, coloro che affidano alla giustizia il grande sogno e quelli per cui la giustizia è praticamente un ostacolo al tribunale della realtà. Siamo peccatori di fronte a Dio, per chi ha fede in lui, e di fronte agli uomini, in questa oscurità che tutto sembra avvolgere.
Per chi legge i comics “seriamente” Daredevil ha sempre avuto un posto di rilievo assoluto: forse nessun altro supereroe (o sarebbe meglio dire personaggio fumettistico) ha nella sua evoluzione cicli interi di storie profonde, eccezionali, drammatiche e meravigliose sia a livello letterario che artistiche.
La serie tv alla sua terza stagione ci fa nuovamente sperimentare tutta la magia di Daredevil. Un (super)eroe che non è mai solo un eroe: un bimbo, un adolescente e soprattutto un uomo in continuo cammino e alla ricerca del senso pieno che la realtà a volte sembra lasciare trasparire, ma che nella maggior parte delle occasioni invece nasconde. Un uomo privato della vista che si sente obbligato invece ad osservare ogni cosa (con i suoi sensi amplificati e la sua logica/etica cattolica), a cercare di capire il significato del suo mondo e di tutti quelli che ci vivono dentro. Matt Murdock, non è solo colui si nasconde dietro la maschera di Daredevil, è anche l’altra faccia della medaglia, è l’eroe senza cui il vigilante non potrebbe esistere, è la memoria costante della legge divina e umana, è il sacrificio morale e ineluttabile che obbliga ad agire per non perdere ciò che ha valore. Anche quando il dubbio di cosa è giusto e di cosa non lo è si fa profondo e pesante, il dubbio di cosa dovrebbe essere “sacro” e di come quel sacro a volte sembra solo un ostacolo ad un bene meno ideale ma forse più tangibile.
Poi ci sono i comprimari delle sue storie, così essenziali e sfaccettati da rubare la scena più di una volta: Foggy Nelson, amico e motore continuo di una normalità straordinaria dei cittadini di Hell’s Kitchen, Karen Page, una donna che combatte con demoni mai sopiti e ambisce a sconfiggerli una volta per tutti, la suora Maggie e il sacerdote Lantom, la non/famiglia e il continuo “confessionale” per l’anima di Matt. E ovviamente gli avversari, i cattivi della storia, Wilson Fisk e l’agente Poindexter, ognuno incredibilmente originale, le nemesi perfette per Daredevil e i suoi compari, subdoli ed estremi nel perseguire i propri obiettivi personali, a soddisfare i loro bisogni primari, a distruggere tutti gli ostacoli che si presentano man mano al percorso di egemonia della loro realtà interiore ed esteriore.
13 episodi di trovate sceniche, di racconti urbani e spirituali, di incontri/scontri tra ideali e visioni, di Hell’s Kitchen e di chi ci abita, di combattimenti violenti e scenografici, di scelte errate e redenzioni perseguite. Marvel all’ennesima potenza nel suo taglio “nero” e notturno, dove i costumi sono poco più che apparizioni e il sangue scorre a fiumi. I supereroi e le facoltà eccezionali di alcuni non sono sufficienti ad emergere dalla palta in cui sembra nuotare New York: ci vogliono scelte estreme, abnegazione, intelligenza e condivisione sia nei piani che nelle azioni eroiche.
La terza stagione di Daredevil si conferma la migliore produzione per la televisione tratta da un personaggio della Casa Delle Idee; altre eccellenze abbiamo visto in questi anni ma nessuna ha a mio avviso la potenza, la coerenza e la grandezza visiva/narrativa del Diavolo senza paura. Lunga vita a Daredevil in ogni sua incarnazione.