I dischi che si soffermano a riflettere sull'era della pandemia sono tantissimi, tanto da essere diventati quasi dei cliché. Certo, riflettere sulla vita, sulla società e di come ci siamo definiti in questi anni bui rappresenta comunque uno sforzo artistico apprezzabile. Tuttavia, il genere è diventato un territorio sovrappopolato, in cui i temi, ormai un po' frusti, sono sempre quelli di come riuscire a superare la solitudine e quanto gli altri siano importanti per noi. Meglio cercare un approccio diverso e rendere costruttiva la riflessione su come sfuggire all'isolamento, superare le proprie nevrosi e rimettersi in gioco. Ed è esattamente quello che si trova nel nuovo album di Florence + The Machine, che affronta un argomento trito e ritrito da una nuova prospettiva, quello dell’artista che crea musica, la suona, la balla, ne esalta il potere salvifico.
In Dance Fever, la cantante Florence Welch si chiede perché creiamo arte, concentrandosi sul fenomeno della "coreomania", una sorta di manifestazione isterica (detta anche tarantismo) a seguito della quale le persone sentono l’irrefrenabile bisogno di ballare fino allo sfinimento. Welch ha trovato questa follia estremamente stimolante, e ne ha tratto ispirazione per porre (e poi rispondere) la domanda sul perché balliamo, ci esibiamo e ci divertiamo, attraverso brani che trasmettono il tipo di beatitudine che potrebbe portare gli ascoltatori in uno stato di incontrollata euforia (le vibranti orchestrazioni dell’iniziale "King", la coinvolgente progressione melodica di "Free", il groove percussivo di "Daffodil").
Welch affronta il tema in "Choreomania", in cui la cantante immagina di ballare fino ad esaurirsi: “Ho continuato a girare e ho ballato fino alla morte”. La musica controlla il corpo, spingendolo fin oltre la soglia del dolore, l'arte e la mortalità sono collegate, il che rende la musica qualcosa di diverso da un semplice piacere: è pericolosa e comporta dei rischi. Che però è necessario correre, perché se il rock’n’roll è morto, se il processo compositivo è agonizzante, per tornare a creare bisogna cercare l’essenza della musica, la sua intrinseca verità, non importa quanto faticosa e dolorosa sia la ricerca. In questo senso, il disco è un esercizio di meta-scrittura di canzoni: Welch commenta il processo di comporre e suonare musica, mentre lo fa.
Solo così si può uscire dalla comfort zone: rischiando. Per Welch, la creatività significa sperimentare la completa libertà, e in tal senso, nella splendida "Free", la songwriter è chiarissima al riguardo: “Ma non c'è nient'altro che so fare / Se non aprire le braccia e darti tutto / Perché io ascolto la musica, sento il ritmo / E per un momento, quando ballo / sono libera”.
Come dicevamo all’inizio, Florence rivolge la sua attenzione anche agli effetti del Covid e della pandemia sulla creatività. Se la musica e il ballo sono sinonimo di libertà, le stesse diventano un bene prezioso, non solo per l’artista ma anche per tutti gli altri, in quanto rappresentano una sorta di liberazione, un’efficace terapia. La vita senza musica sarebbe inutile, a maggior ragione in questi anni bui di paure e isolamento. In tal senso, Dance Fever è una delle poche opere d'arte a tema pandemia che non suona artificiosa: è specifica sul valore della musica per l'individuo e, per estensione, per tutta la comunità.
L'arte, in definitiva, è una liberazione fisica dai demoni interiori, un processo laborioso e doloroso che fornisce un’indispensabile catarsi. L’ultima traccia in scaletta, "Morning Elvis", incarna questa convinzione: fare arte è più di un passatempo gioioso, è salvezza. Mentre il crescendo raggiunge il suo apice, la Welch canta: "Oh, sai che ho ancora paura… Ma se arrivo sul palco, ti mostrerò di cosa si tratta essere risparmiati”. Welch deve fare la sua arte ed eseguirla perché solo così sarà salva. E salvando se stessa, aiuta gli altri ad affrontare i loro traumi derivanti dal Covid. La pandemia ha portato con se la perdita, la scomparsa di cose e persone, senza le quali credevamo di non poter vivere. La musica, però, è stato un prezioso lenimento: ha permesso di superare il dolore e ha garantito la sopravvivenza. Per la Welch e per tutti noi.