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REVIEWSLE RECENSIONI
18/04/2023
Avatar
Dance Devil Dance
Gli svedesi Avatar tornano con un disco rumoroso e maleducato, ma comunque orecchiabile, all'insegna di una varietà stilistica, da sempre il vero punto di forza della band.

Non so se l’headbanging possa essere considerato un ballo, ma se lo è, allora state tutti pronti a gettarvi nella mischia e a fare compagnia al diavolo, in una lasciva quanto convulsa danza in odore di sabba.  Johannes Eckerström e la sua band di fuori di testa, disco dopo disco, hanno conquistato schiere di fan attraverso una versione modernizzata e originale della formula nu-metal. Che è una definizione, invero, un po’ riduttiva, per una band che fa dell’estro e dell’imprevedibilità la sua arma migliore.

In tal senso, questo nuovo Dance Devil Dance, che arriva dopo l’ottimo Hunter Gatherer (2020), rappresenta alla perfezione tutto lo spettro di sonorità che pullula nei dischi del gruppo svedese: il metal è declinato nelle diverse accezioni groove, metalcore e death, ma le undici canzoni in scaletta non danno mai veri e propri riferimenti, visto che non mancano melodie che ammiccano al pop e momenti riconducibili anche al country. Il risultato è l’ennesimo disco spiazzante, rumoroso e maleducato, eppure, in qualche modo perverso, perfino orecchiabile e radiofonico. Come quasi sempre è avvenuto, c’è molta libertà nell’approcciarsi al songwriting, con suoni che si diversificano tra canzone e canzone, e anche all’interno dello stesso brano, producendo un effetto sorpresa che costringerà l’ascoltatore a chiedersi continuamente: e adesso, dove andremo a parare?

 

Echi country e un riff assassino aprono il disco con la title track, tirata e potente, sorretta dalla voce multiforme Eckerstrom, pronto al ringhio ma anche a cambiare continuamente timbro, "Chimp Mosh Pit" è sudatissimo groove metal, "Clouds Dipped In Chrome" evoca il thrash metal della vecchia scuola, "The Dirt I'm Buried In" strizza l’occhio ai My Chemical Romance, "Valley of Disease" è una fucilata metalcore usque ad finem, e la conclusiva "Violence No Matter What", con il cameo di Lzzy Hale, starebbe molto bene proprio in un disco degli Halestorm.

 

La varietà è davvero il plus di una band che fa della creatività senza limiti il suo punto di forza. Così, i cori acchiapponi che punteggiano "Gotta Wanna Riot" danno al brano un goduriosissimo appeal radiofonico, il cambio passo dal sapore reggae di "On The Beach" seziona in due parti un ruvidissimo groove metal, e l’enigmatica Train regala al piatto inaspettate spezie, aprendosi ai sapori di un valzer che richiama alla mente Nick Cave.

Un minestrone? Certo che si. Eppure, nonostante l’eterogeneità della proposta, Dance Devil Dance, possiede un fascino irresistibile, non si prende sul serio e, soprattutto, accetta l’azzardo di non replicare un suono monotematico, ma di intraprendere diversi percorsi espressivi, con risultati, peraltro, riuscitissimi. Gli Avatar sono mezzi matti, questo è evidente, ma possiedono la capacità di divertire, rimanendo fedeli a se stessi, ma mischiando ogni volta le carte in tavola. Non è da tutti.