Qualsiasi appassionato di musica pagherebbe oro per scoprire dove vanno a morire le band che non fanno successo o per seguire di nascosto uno di questi flop artistici mentre si avvia a raggiungere il luogo segreto del cimitero di tutti i dischi che non ha capito nessuno.
E chissà se, al momento di esalare la coda dell’ultima ghost track, questi album hanno la percezione del loro valore e sanno tumularsi nell’apposita area dedicata. Io il camposanto dei gruppi italiani spariti nel giro di una pubblicazione me lo immagino proprio così: stracolmo di cose giustamente condannate all’oblio in una sorta di fossa comune (meglio non fare nomi), e un sacrario, a lato, riservato ai prodotti che non ci si spiega a causa di quale congiuntura non abbiano mai ottenuto un successo in linea con le potenzialità. Un altare sul quale si staglia, ben visibile anche da lontano, l’effigie di “Dal fondo” dei Petrol.
Per farvi capire quanto tempo è passato, perché nell’industria musicale gli anni solari stanno alla curva di obsolescenza dei progetti come una scala mobile sta al suo corrimano, provate a visitare il sito di Casasonica oggi. Ma la musica è ben altro che un mero hosting sbaraccato e messo in vendita. Conta la passione, l’estro, la complementarietà tra chi ne conosce i segreti, la tecnica, l’orecchio, le ispirazioni, le parole e il loro significato.
Probabilmente i Petrol sono stati l’ultimo grande gruppo italiano riconducibile in qualche modo al rock come lo conoscevamo prima che la realtà, identificata come underground, venisse completamente neutralizzata in un campo magnetico teso come un tranello tra due poli: quello positivo dell’indie, a sinistra, e quello negativo della trap, a destra. E forse il guaio di un album come “Dal fondo” è proprio quello di essere uscito troppo a ridosso del tempo limite, per il rock come lo conoscevamo prima. Però è doveroso ammettere che la sua bellezza è insita proprio nella modernità dell’idea di rock che hanno avuto i Petrol, nel senso che è pervaso da intuizioni impossibili prima. E probabilmente Casacci e compagnia producente avevano riposto in questo supergruppo - torinese quanto loro - più di una speranza, perché è indubbio che, al momento della sua uscita (era il 2007) tutti abbiamo gridato al miracolo.
I Petrol erano la voce di Franz Goria, in precedenza e tutt’ora frontman e chitarra dei Fluxus, l’ex Marlene Kuntz Dan Solo al basso, i sintetizzatori di Alessandro Bavo, in forza ai Sushi e poi produttore di successo, con l’aggiunta di Valerio Alessio, trainante e preciso batterista. Possiamo anche dare qualche coordinata di riferimento per collocare “Dal fondo”: gli A Perfect Circle/Tool, i Bauhaus con la sezione ritmica dei Faith No More, i Nine Inch Nails. Un background mescolato a un post-grunge/punk a tinte noise e dark, nobilitato da un inconfondibile tratto melodico sporcato dal timbro ruvido e suadente di Goria. D’altronde siamo in Italia e sistemare gli accordi in maniera ordinata e scolastica è nel DNA musicale anche dei più cattivi. Chitarre sempre graffianti ma mai suonate heavy e parti di synth con distorsioni ed effetti ad amalgamare il tutto, in un compromesso tra elettrico ed elettronico mai sentito, da queste parti.
Con i Petrol, per farla breve, ricordo benissimo l’amore al primo ascolto. “Dal fondo” racchiude una collezione di gemme che in qualsiasi posto abitato da gente dotata di sentimenti avrebbe reso fama eterna alla band. Vi sfido a trovare una caduta di stile tra i dieci brani della tracklist. Le idee sono ben chiare sul modo di fare i pezzi tirati (“Nel buio” o “Tradiscimi”), le canzoni da meditazione (“Il nostro battito del cuore, “Ogni silenzio” e “Corro inutile”), le canzoni d’amore più sofferte (la struggente “Devo andare via domani”, una delle più belle dichiarazioni di fallimento di coppia mai realizzate alle latitudini sotterranee e alternative dei Petrol).
Nel 2007 “Dal fondo” è stato una vera e propria bomba caduta inesplosa, come quei residuati bellici che si fanno brillare mettendo al sicuro i quartieri residenziali costruiti sopra le macerie. Non chiedetemi però la risonanza immediata che questo disco ha avuto perché non me lo ricordo. Mi sembra abbastanza contenuta, ma potrei sbagliarmi. Di certo è che da lì a pochi mesi si è sentito parlare sempre meno, dei Petrol.
Goria e soci ci hanno poi riprovato due anni dopo con l’EP “L’amore è un cane”, la preview di un lavoro che con tenacia era stato composto della stessa materia del disco precedente ma che, considerando i risultati, ha visto la luce solo nella versione trailer. Peccato. I Petrol, con la loro musica potente e i loro testi raffinati, sono stati l’ennesima occasione perduta che l’Italia ha avuto per redimersi dal peccato originale di considerare rock cose che altrove la gente porterebbe in discarica senza nessuna remora. Ma qui le cose vanno così e non c’è nemmeno più gusto a farlo notare agli altri.