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REVIEWSLE RECENSIONI
Cuttin’ Grass, Vol. 1: The Butcher Shoppe Sessions
Sturgill Simpson
2020  (High Top Mountain)
AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
7,5/10
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13/11/2020
Sturgill Simpson
Cuttin’ Grass, Vol. 1: The Butcher Shoppe Sessions
Dopo la delusione di “Sound & Fury”, Sturgill Simpson riporta tutto a casa con “Cuttin’ Grass, Vol. 1: The Butcher Shoppe Sessions”, un album realizzato con il contributo dei migliori musicisti della scena Bluegrass di Nashville.

Tutto si può dire di Sturgill Simpson, tranne che non sia ambizioso. Arrivato a Nashville nel 2012 dopo lo scioglimento della sua band, i Sunday Valley (con i quali ha pubblicato un album e un Ep), Simpson, disciplinato come solo un bravo figlio di militare sa essere, si è subito dato come obiettivo quello di diventare la più importante star del Country contemporaneo. Ovviamente lo ha fatto a modo suo, ispirandosi deliberatamente all’Outlaw Country degli anni Settanta (il suo debito nei confronti di un gigante come Waylon Jennings è indubbio) e grazie ad album temerari, nei quali ha consciamente voluto espandere i confini del Country tradizionale, ibridandolo di volta in volta con il Soul, il Rock e la Psichedelia e inserendo nei testi tematiche estranee al genere come fisica, darwinismo e politica. Dopo un album ancorato alle radici come il debutto High Top Mountain, Simpson non ha perso tempo e ha subito alzato il tiro, pubblicando a stretto giro due veri e proprio capolavori come Metamodern Sounds in Country Music e A Sailor’s Guide to Earth, entrambi candidati ai Grammy come Best Country Album, con il secondo vincitore nel 2017.

Ormai presenza fissa al Saturday Night Live e negli show televisivi di David Letterman e Jimmy Fallon, e con le sue canzoni incluse in film e serie tv, per un po’ Simpson si è sentito arrivato, soddisfatto di aver raggiunto in meno di un lustro l’obiettivo che si era prefissato. Ma da anima inqueta quale è, dopo un breve periodo di basso profilo, ha subito sparigliato le carte, pubblicando SOUND & FURY, un album folle e visionario, pieno zeppo di synth analogici, chitarre saturate e voci processate. Accompagnato da un anime dallo stesso titolo disponibile su Netflix, il disco (che nel titolo cita nientemeno che Shakespeare) è stato senza dubbio un flop commerciale, vendendo un terzo dei lavori precedenti e ridimensionando la figura ormai in ascesa di Simpson.

Simpson però, non si è fatto venire il sangue cattivo dalla tiepida accoglienza riservata a SOUND & FURY. Un po’ si è dedicato alla produzione, lavorando con Margo Price sul bellissimo That’s How Rumors Get Started, uscito a maggio di quest’anno, e un po’ ha proseguito con l’attività live, finché la pandemia non ha fermato tutto. Ritrovatosi con le mani in mano dopo tanto tempo di frenetica attività e in convalescenza dopo aver contratto il Covid-19 (esperienza che lo ha messo di fronte alle storture del sistema sanitario americano), Simpson ha deciso che era giunto il momento di fare un passo indietro e riabbracciare nuovamente la tradizione, ritornando alla musica con la quale era cresciuto: il Bluegrass. Grazie a una campagna di crowfunding, Simpson (che nel frattempo ha sciolto ogni legame con la sua casa discografica, la Elekta) ha quindi assoldato alcuni tra i migliori musicisti presenti sulla piazza – Sierra Hull (mandolino), Mike Bub (basso), Stuart Duncan (violino), Scott Vestal (banjo), Tim O’Brien (chitarra), Mark Howard (chitarra) e Miles Miller (percussioni) – e si è rinchiuso assieme al produttore David Ferguson al Butcher Shoppe Recording Studio di Nashville, un tempo di proprietà del compianto John Prine.

Il risultato di quelle sedute di registrazione è proprio questo Cuttin’ Grass, Vol. 1: The Butcher Shoppe Sessions, un album che Simpson ha definito come “un mixtape per i fan”, nel quale il musicista del Kentucky ha riarrangiato 20 canzoni provenienti da tutto il suo catalogo, escluso SOUND & FURY, andando a ripescare anche qualche titolo dei Sunday Valley. «Tutte le canzoni che ho composto sono state scritte su una chitarra, la mia vecchia Martin D-28, e cantate in un modo che è probabilmente più vicino al Bluegrass che a qualsiasi altra cosa», ha spiega Simpson nelle note che accompagnano il disco. «Da molto tempo pensavo che un giorno avrei voluto registrare quante più canzoni possibile in questa maniera, senza sovrastrutture e ridotte all’osso. Se non riesci a sederti e suonare una canzone in questo stile, probabilmente non è una bella canzone».

Questo ritorno alle origini, alle “canzoni che nostro padre ci ha insegnato”, per parafrasare un disco degli Everly Brothers, e che nel caso di Simpson sono quelle che il nonno gli faceva ascoltare quando era solo un ragazzo del Kentucky (anche se lui all’inizio preferiva i Cream e i Led Zeppelin), a pensarci bene è la cosa più Punk e folle che Sturgill abbia mai fatto nella sua carriera. Con una copertina volutamente sciatta e autoironica, che più lo-fi di così non si può, e una tracklist che si limita a mettere in ordine alfabetico le canzoni, senza preoccuparsi minimamente di creare un percorso sonoro (come invece succedeva nei precedenti album), Cuttin’ Grass è pura attitudine, un vero e proprio schiaffo in faccia a ogni logica di mercato e di posizionamento. Finalmente, con un disco di canzoni acustiche suonate a velocità folle su strumenti tradizionali, Sturgill Simpson ha raggiunto il suo scopo: mettere sottosopra l’industria Country di Nashville, omologata e politicamente corretta, con una ventina di canzoni che parlano del presente e delle sue contraddizioni, vestite però con gli abiti di un genere che affonda le sue radici nei Monti Appalachi degli anni Quaranta.

Pubblicato senza nessun preavviso solo in digitale (vinile e cd sono previsti per dicembre), senza un’etichetta forte alle spalle e praticamente senza promozione, al momento in cui scriviamo Cuttin’ Grass è riuscito a raggiungere comunque la posizione n. 24 della Billboard 200 e la n. 2 della classifica Top Country. Un risultato oltre ogni più rosea aspettativa per un disco alla fine dei conti ostico (55 minuti di puro Bluegrass non sono per tutti) e che non è neanche una raccolta di successi riarrangiati (mancano infatti diverse hit, anche se ci sono sia “Turtles All the Way Down” sia “I Don’t Mind” dei Sunday Valley, amatissima dai fan).

Ai primi di giugno, durante un livestream di beneficenza trasmesso dal Ryman Auditorium di Nashville, propedeutico alla realizzazione di Cuttin’ Grass, Simpson ha sottolineato più volte come il Bluegrass sia stato fondamentale nella sua formazione musicale e come questo abbia influito sul suo songwriting. Progressista quando si tratta di suonare Country e conservatore quando si parla di Bluegrass, Simpson ha capito immediatamente come quest’ultimo sia uno stile che premia la precisione individuale all’interno della dinamica di gruppo. A conti fatti, non è altro che la riproposta dell’eterno dualismo tra libertà dell’individuo e rispetto delle regole di comunità sul quale si fondano gli Stati Uniti d’America. Nato come puro divertimento, alla fine dei conti Cuttin’ Grass è diventato un album molto più politico di quanto lo stesso autore inizialmente avesse potuto pensare: è la perfetta fotografia del Paese, ma mostra anche come questo potrebbe essere se si lasciasse alle spalle ogni tipo di divisione, prediligendo il lavoro di squadra piuttosto dell’esibizionismo fine a sé stesso. Proprio come insegna il Bluegrass.


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